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Bettini lungo, Arvesen Kurt - Fuga al norvegese; pasticcio Riccò

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Affascinati, sorridenti, quasi stupiti: la tappa di Fiorano Modenese è stata praticamente stupenda, solo lontana parente di qualche tappa intermedia di qualche Giro che fu.
La Futa piazzata lì, a 187 km dall'arrivo, faceva storcere il naso a tanti, pressoché a tutti. Perché Gpm così difficili posti dopo pochi km dalla partenza il 90% delle volte sono sprecati, sono snaturati, vengono traslati in posizioni non consoni alla loro difficoltà, alle tattiche di gara che possono regalare alla tappa, o al Giro in generale.
La Futa piazzata lì, a 187 km dall'arrivo, faceva preoccupare anche tanti corridori, perché si sapeva che in molti avrebbero potuto avvantaggiarsi sul gruppo Maglia rosa, sul gruppo dei migliori, in modo tale da giocarsi la tappa. Qualcuno, in verità, aveva anche paura di un gran forcing dei big, soprattutto se si fosse mosso qualche outsider considerato pericoloso per la classifica generale.
E difatti non è stata la Futa in sé a dare il la a questa azione di tantissimi uomini, ma sicuramente ha contribuito alla buona realizzazione della stessa, visto che tanti corridori, come Petacchi e McEwen, s'erano attardati lungo il primo, difficile, Gpm di giornata, e quindi le squadre delle ruote veloci si son dovute organizzare dapprima per non far perdere troppo terreno ai propri capitani, così prima di dare una mano alla T-Mobile, impegnata a tenere la Rosa sulle spalle dell'ingegner Pinotti.
La fuga partiva al km 24, con Cioni attivissimo in testa alla corsa. Lo seguivano in tanti, anche perché nei primi 118 km ci saranno stati, più o meno, zero metri di pianura. Quindici le squadre rappresentate in testa, tra le quali manca la T-Mobile di Pinotti che, viste anche le defezioni di tre uomini in questa prima parte di Giro (Barry, Hansen e Ziegler), ha pensato di tenere tutti i propri uomini al fianco del proprio leader.
Olson ed Henderson sono i due luogotenenti che hanno lavorato ad inizio tappa, anche perché i tanti uomini che seguivano Cioni non sono uomini di poco conto: Sella, Arekeev, Bettini, Brutt, Petrov, Noè, Spezialetti, Aerts, Nocentini, Bruseghin, Vila, Marzano, Hincapie, Rubiera, Bazayev, Yakovlev, Arroyo, Arvesen, Mourey, Walker, Galparsoro, ed anche, udite udite, un certo Riccardo Riccò.
Sulle strade del Giro c'era un certo panico. Davanti sono preoccupati: con Riccò in gruppo non era facile scavare del margine col gruppo dei big. Anche dietro sono preoccupati: con Riccò in testa i compagni di Cunego, di Garzelli, di Di Luca, di Savoldelli, forse anche quelli di Popovych, ma anche di Andy Schleck (per la Maglia bianca), non potevano collaborare. Mica si può portare un corridore come Riche Rich all'arrivo, i loro capitani non potevano e non dovevano lasciare via libera ad un'azione simile. E quando in un gruppo di fuggitivi di 27 corridori (non solo Riccò si staccherà, ma anche altri, tra cui Codol) la metà di questi non tira per questioni tattiche, si capisce bene che le strade percorribili sono due: 1) qualche corridore disinteressato ai "giochi di potere forte" acceleri e porti via un gruppetto di 7/8 contrattaccanti non pericolosi per la Rosa né per la top ten; 2) Riccò si rialzi e si faccia riassorbire dal gruppo, come poi è avvenuto.
In realtà c'era anche una terza opzione, quella che avrebbe visto Riccò fare gioco-forza di questa ostilità dei compagni di fuga, e collaborare con gli attaccanti più generosi, infischiandosene della passività, o dei tentativi di buchi, o di alleanze trasversali, tra i gregari dei corridori che si giocheranno sulle salite vere, quelle decisive, questo 90esimo Giro d'Italia col rosso corridore di Algeri (inteso come Pietro, non come città).
A che pro, però? Avrebbe avuto senso dare l'anima in una fuga che, a quel punto, avrebbe vissuto costantemente col fiato sul collo del gruppo e, soprattutto, sarebbe valso a Richie Rich uno spendimento di energie affatto trascurabile, se è vero che il corridore di Formigine (paese attraversato nel finale della tappa di oggi, quindi era anche comprensibile capire il perché Riccardo volesse mettersi in luce) è la seconda punta della Saunier Duval guidata da Simoni. E allora le chiavi di lettura si moltiplicano, perché Pietro Algeri in squadra non ha soltanto Simoni e Riccò, ma ha anche due corridori come Piepoli e Mayo; e se il primo in pianura avrebbe forse faticato comunque un bel po' (ma davanti c'erano anche Marzano e Sella, di certo non due passistoni), allora perché non giocarsi, in una tappa intermedia che tanti big hanno dimostrato di sottovalutare, prendendola sottogamba, il basco Mayo? Perché non responsabilizzare un corridore che da qualche stagione vive sotto (pochi) alti e (la maggior parte) bassi e che oggi avrebbe potuto rappresentare un ulteriore diversivo per quelle che saranno le tattiche in salita dei giallobianchi italo-spagnoli?
L'altra chiave di lettura è un po' più circoscritta, da leggere tra le righe, e ci vede costretti ad annotare che, evidentemente, in gruppo, le recenti dichiarazioni un po' spaccone di Riccardo Riccò stanno iniziando a portare i primi "contro", dopo i tanti "pro" suscitati dalla verve che annunci di scatti, di azioni, di tentativi di vittoria, possono portare, soprattutto ai tifosi del ciclismo. La sensazione, a dir la verità poco piacevole, è che a Riccò, dalla Tirreno in avanti, si perdonerà sempre molto poco, quasi mai si lascerà fare quando ci sarà lui nel mezzo. Dovrà essere bravo, Richie Rich, a prendersi le proprie vittorie di forza. Nessuno sconto dal gruppo, e forse sarà anche meglio così. Se ci riuscirà, a vincere, saranno sempre vittorie doppie.
Rimane il fatto che, una volta riassorbito Riccò, la Saunier Duval s'è trovata l'unica squadra, tra quelle dei big, a non avere nessuno davanti (e qui torniamo al discorso di Piepoli e/o Mayo), e che in 22 si va spediti, anche se il gruppo dietro non ti lascia troppo spazio. Difatti il vantaggio massimo non è mai stato così elevato, al km 140 si sono toccati i 6'50", con Noè virtualmente Maglia rosa.
E così la Liquigas, che aveva fatto tanto per farsi togliere 'sta benedetta Maglia da qualcuno, stava praticamente ritrovandosi di nuovo in testa alla generale pur senza volerlo, visto che Spezialetti e Noè non collaboravano affatto, mentre i tre uomini Lampre erano veramente scatenati nel tentativo di far rientare prepotentemente in classifica due uomini già in grado di finire il Giro tra i primi dieci (Bruseghin e Vila) e un ragazzo che appena tre anni fa vinceva il Giro d'Italia Under 26 (Marzano). La fuga, in effetti, era veramente ben assortita: Cioni (4° nel 2004) aveva tutto l'interesse a scavare minuti tra sé e i big, così come Petrov, così come lo spagnolo Arroyo (che si candida al ruolo di vera sorpresa di questo Giro) ed il toscano Nocentini, ma anche Rubiera (visto che Popovych non sembra eccellere) e Sella sono in grado di tenere sulle montagne, anche quelle più dure, anche quelle che il Giro ha in programma, ma non ha ancora presentato.
Poi c'è il discorso della tappa, che è sempre importante, ma che oggi è forse passato in secondo piano, almeno fino a 5 km dall'arrivo, quando comunque il gruppo tirato dalla T-Mobile (con Pinotti in prima persona) e Saunier Duval-Prodir aveva rosicchiato minuti ai battistrada e s'era riportato ad un distacco nell'ordine dei 4'30".
Allo sprint i più veloci erano Bettini, Bazayev, Hincapie ed Arvesen, ma quando si è in così tanti davanti, e ci sono anche più compagni di squadra che possono contare sulle alleanze, sugli scatti e sui contropiedi, e difatti il primo a muoversi in solitaria è stato Marco Marzano, forte di altri due compagni nel gruppo di testa; a seguirlo il solo Brutt (e oggi per la Tinkoff altri due uomini in fuga, ancora applausi!).
Ripresi i primi tre, è stato il belga Aerts a muoversi, effettuando anche una buonissima azione: a Rubiera infatti ci sono voluti parecchi metri prima di riportarsi alla ruota del vincitore della Freccia Vallone 2002. È toccato poi al giovanotto australiano Walker, già campione nazionale lo scorso anno, mettere il naso fuori, rintuzzato da Spezialetti. Prima dei 3000 metri alla conclusione anche Nocentini provava l'allungo, ma sin dallo scatto la sua azione non è mai parsa troppo convinta, tant'è che Brutt gli si era piazzato subito alla ruota e poi è ripartito lasciandolo sul posto, portandosi però appresso Emanuele Sella, veramente in forma (fisica e mentale) smagliante in questo primo scorcio di Giro d'Italia. Il russo tirava dritto, non badava alla sua ruota, né al distacco con il resto del gruppo, pensava soltanto allo sforzo che stava producendo, e a quanto mancasse all'arrivo, per non dire di quanto sarebbe stato importante per Oleg Tinkov e per tutto il team italo-russo una vittoria di questo calibro.
Ai 600 metri dal traguardo Sella accelerava, lasciava Brutt sul posto, e da dietro Bettini sentiva il suo ruolo di favorito in serio pericolo. L'azione di Sella era strepitosa, un tentativo veramente da applausi per il vicentino, però Bettini non voleva farsi sfuggire la grande occasione di alzare le braccia al cielo. A ruota dell'iridato l'aspra lotta tra Bazayev, che aveva battezzato la ruota di Paolino già ai meno 10 km dall'arrivo, ed Arvesen vedeva prevalere il norvegese che, al momento del lancio dello sprint da parte di Bettini, effettuato a 500 metri dallo striscione d'arrivo, è stato l'unico in grado di tenere il ritmo del toscano: ma 500 metri sono un'enormità, anche per un Campione come Paolo; Sella veniva sorpassato, ma Bettini era stanco, così il Campione del Mondo tra gli Under 23 di San Sebastián '97 (corsa vinta in volata su un certo Oscar Freire) batteva il Campione del Mondo tra i professionisti di Salisburgo 2006. Bettini sul traguardo recriminava, immaginiamo con sé stesso, per la grande occasione persa, anche se ad un certo punto non ha veramente avuto altro da fare, essendo senza compagni di squadre ed essendo anche il più veloce del drappello dei battistrada.
Al momento dell'arrivo dei big, 4'19" dopo quello di Kurt-Asle Arvesen, quello che recriminava di più era Gilberto Simoni, che ha da subito ammesso la pericolosità di questa fuga nell'economia del Giro, e soprattutto del suo Giro, della corsa e delle tattiche che, da domani in poi, dovrà attuare il trentino e dalla Saunier Duval tutta, che oggi è parsa in totale bambola.
Ad alcuni corridori tra quelli in fuga oggi, difatti, non sarà sembrato vero avere in dote quattro-minuti-e-diciannove-secondi da una tappa apparentemente banale come quella di oggi, forse disegnata male, ma che è stata affrontata col piglio giusto, e che ci ha, appunto, affascinato, fatto sorridere, quasi stupito.
S'è sempre detto che "le corse le fanno i corridori": spesso è una banalità per scansare le responsabilità, soprattutto di qualche Organizzazione poco avvezza ai percorsi spettacolari. Oggi, però, la bella corsa l'han fatta proprio i corridori, quei 22 coraggiosi che c'hanno fatto così divertire.

Mario Casaldi    

 

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