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BETTINI MONDIALE!!! - Il sogno di una vita: Paolo iridato | Cicloweb

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BETTINI MONDIALE!!! - Il sogno di una vita: Paolo iridato

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Lasciatecela guardare, questa bandiera che sventola nell'azzurro del cielo di Salisburgo. Una festa del ciclismo italiano nel giorno più importante dell'anno, una vittoria che riconcilia gli appassionati con questo sport sempre troppo malmenato, una prova di squadra uguale a quella che avevamo sempre immaginato e voluto: tutti gli uomini al posto giusto al momento giusto, pronti a sacrificarsi e a dare tutto per una causa comune, che coincideva con la conquista di questo titolo mondiale.
E poi lui, Paolo Bettini, un satanasso, un indiavolato, uno che quando si mette in testa una cosa, dài e dài, alla fine la ottiene. Da quanti anni inseguiva, il Grillo, il Campionato del Mondo? Ed oggi, a 32 anni, può arrivare a dire: "La mia carriera potrebbe anche finire adesso stesso, e sarebbe già perfetta".
Paolo Bettini ha vinto il Mondiale. È lui il nuovo Campione del Mondo, è lui a succedere a Tom Boonen in uno dei più prestigiosi albi d'oro del ciclismo; e a succedere anche a Mario Cipollini, ultimo azzurro a vestire l'iride, nel 2002 a Zolder.
Ma se Paolino indosserà per i prossimi 12 mesi la maglia coi colori dell'arcobaleno, gli 8 compagni di squadra che l'hanno accompagnato, scortato, aiutato in questa impresa, meritano tutti un pezzettino di quella stoffa tanto agognata. Il gioco tattico applicato dalla nazionale azzurra è stato mirabile: dall'inizio padroni della situazione come in rarissimi casi abbiamo visto in passato, sempre presenti in maniera efficace, sempre consapevoli di quello che bisognava fare e - quel che più conta - pronti a farlo, senza risparmiarsi.
E per una volta non ci sono buchi neri da segnalare nell'Italia, per una volta tutti quanti gli effettivi hanno dato una mano visibile, un contributo rilevante al successo finale. Merito loro, e merito di un ct come Ballerini che - riconosciamoglielo - stavolta ha davvero preparato tutto in maniera perfetta. Il click mentale è scattato quando il commissario tecnico ha capito che non aveva senso pensare di controllare la corsa - come successo per esempio un anno fa a Madrid, dove infatti perdemmo malamente.
All'attacco, ragazzi, e all'attacco si è andati, dal primo all'ultimo chilometro, senza lasciare nulla di intentato su un percorso di una facilità ridicola, completamente sbagliato dal punto di vista tecnico, con le salite (facili) lontane dal traguardo, con troppo spazio per recuperare, con troppi fattori negativi per chi volesse tentare l'azione personale. L'Uci vuole così, ma questa è un'altra storia.
Su un tracciato simile bisognava veramente inventarsi qualcosa per sottrarre la gestione del risultato agli sprinter, e bisognava non dare fiato alle ruote veloci, bisognava braccarle, sfiancarle, costringerle ad una consunzione interiore che sul traguardo lasciasse le gambe vuote e le teste stressate. Altrimenti, come sfuggire alla morsa dei Boonen, dei McEwen, degli Hushovd, degli Zabel, degli O'Grady, e di tutti gli altri veltri che aspettavano il volatone per piazzare la comoda zampata?
Non oggi, non contro questa Italia. Nocentini ci ha provato sin dal primo dei 12 giri (22 km e spiccioli ciascuno, in totale 265 km), poi ha promosso la fuga giusta alla seconda tornata, sempre sulla salita della Croce, quella che scollinava a 9 km di discesa e pianura dal traguardo. Il toscano si è mosso con Roche (figlio di Stephen, iridato nel 1987), Schreck e De Groot al km 30 di gara, e subito si sono accodati l'altro azzurro Tosatto con Luis Pérez Rodríguez, Andonov, Kuschynski, Voeckler e Van Goolen. Al momento c'erano in avanscoperta Alex Ardila, colombiano, e, alle sue spalle, Farrar. Ripresi entrambi, la fuga ha iniziato a lievitare in maniera quasi incontrollata, tanto da raggiungere un quarto d'ora di vantaggio su un gruppo in cui si dormiva della grossa, e in cui le squadre non rappresentate nell'attacco (Russia, Svizzera, Australia su tutte) non davano la minima impressione di volersi muovere.
Per chilometri abbiamo pensato che magari sarebbe davvero potuto essere Nocentini a incarnare i sogni di gloria azzurri, in questo Mondiale che si profilava come un terreno di conquista per le seconde linee. Ma quando il gruppo si è messo in marcia, è iniziata un'altra corsa. Sono stati i padroni di casa, gli austriaci, a capire che almeno una parvenza d'impegno ai loro tifosi dovevano darla. E così hanno lanciato l'inseguimento, quando si percorreva il quarto giro e alla conclusione mancavano circa 190 chilometri (75 già alle spalle).
All'Austria si è subito affiancata l'Olanda (con Posthuma), che evidentemente si fidava poco del suo De Groot in avanscoperta; idem la Spagna (che aveva nel primo gruppo Luis Pérez), idem la Svizzera (che non aveva nessuno). Il margine, coi fuggitivi che in ogni caso non si stavano certo tirando il collo, è calato rapidamente. Ardila ha mollato in salita al quinto giro, poi al settimo un nuovo squillo dell'Italia: pur con la fuga in atto (comprendente due dei nostri), Ballerini si è reso conto che le squadre dei big non si stavano dannando: dov'era il Belgio? Dove l'Australia? Tutti sotto coperta, in attesa del mare grosso.
E allora è partito Bruseghin, che non è un gregario, no, quell'uomo è un paradigma dello spirito di squadra, del sacrificio, dell'abnegazione, della fedeltà; il grande Marzio ha attaccato sulla più dura delle due salite (la seconda, quella della Croce), allo scopo di spianare la strada a un tentativo di Pozzato. Tentativo che puntuale c'è stato, col vicentino che si è accodato al corregionale, così come hanno fatto Pérez Arango, Ojavee, Sieberg, Popovych e il temibile belga Nuyens. L'azione non ha avuto molta decorrenza (ripresi tutti in discesa), ma ha confermato che oggi l'Italia non si teneva: non solo le tante punte annunciate (ben 5 oltre a Bettini capitano), ma anche i tre (sulla carta) gregari avevano licenza di offendere: con Tosatto e Nocentini ancora in fuga, anche Bruseghin cercava spazi in cui infilarsi per scompigliare le tattiche avversarie.
Ma mancavano ancora 120 chilometri al traguardo, tanta, tantissima strada. Al nono giro un nuovo snodo importante: con la fuga del mattino ancora in atto, ma ormai vicina all'esaurirsi (un paio di minuti, anche meno, il margine sul gruppo), gli azzurri si sono messi in testa al plotone a tirare. Non per inseguire sterilmente i loro stessi compagni all'attacco (come successo troppe volte in passato), ma per fiaccare qualche luogotenente delle corazzate rivali. Ballan a tirare, Paolini a provare l'assalto sulla solita salita della Croce, in compagnia di Flecha, e Kashechkin (fresco terzo alla Vuelta) a scremare con una gran trenata il gruppo. Ecco allora che, a 75 km dal traguardo, entrano in scena alcuni pezzi grossi.
In discesa, lo stesso Kashechkin conduce un contropiede che si presenta subito per quello che è: una portata succulenta. Col kazako si avvantaggiavano infatti 13 uomini uno più bello dell'altro: Cancellara (svizzero neocampione del mondo a cronometro), Gilbert (vicecapitano belga), Samuel Sánchez (mina vagante spagnola), O'Grady (co-capitano australiano), Devolder (insidia belga), Arvesen, Ljungqvist e Sorensen (veloci e resistenti fughisti scandinavi), Sastre (stakanovista spagnolo), Belohvosciks e Vladimir Efimkin (passistoni dell'est), e poi? E poi Filippo Pozzato e Danilo Di Luca. Ovvero, le nostre seconde linee. E qui si inizia a fibrillare.
40" di vantaggio sul gruppo all'imbocco del decimo giro (-66 al traguardo), poi il ricongiungimento coi fuggitivi della prima ora. Un piccolo capolavoro tattico, con i neoarrivati italiani che facevano affidamento sui compagni già allo scoperto, e con Tosatto che si è svenato per spingere quanto più possibile la fuga. E infatti grazie alla sua azione il margine sul plotone è salito fino a oltre un minuto, dopodiché, sulla salita, l'azione di Kashechkin ha datto una bella sfoltita al gruppetto di 25 battistrada, e i nostri esausti Tosatto e Nocentini hanno mollato.
Ma troppi uomini importanti erano presenti davanti perché si raggiungesse un accordo stabile, e questo è stato uno dei due motivi del naufragio di questa bellissima e promettente azione (in cui, manco a dirlo, gli azzurri erano messi benissimo, con due campioni come Di Luca e Pozzato). Il secondo motivo del suddetto naufragio è da ricercare in seno alla formazione belga, che, troppo arroccata intorno a un Boonen che poi si confermerà non essere al massimo, non dà credito ai suoi uomini davanti (Gilbert, Devolder e Van Goolen, mica male), e tira per annullare la fuga.
Praticamente i belgi hanno fatto quello che noi avevamo fatto l'anno scorso a Madrid (o nel 2003 a Hamilton, per esempio, o nel 2004 a Verona). L'Italia delle tante punte, potendosi permettere il lusso di giocarsi due uomini come Di Luca e Pozzato (che sarebbero capitani in quasi tutte le altre nazionali) a 60 km dal traguardo, ha effettivamente mandato in crisi le tattiche degli avversari. Il tutto nella maniera più spettacolare possibile: attaccando di continuo.
Da qui in poi è tutto un crescendo.
Il plotone freme, sul decimo passaggio sulla salita della Croce Bettini era con Paolini già in testa al gruppo, a scalpitare, con Boonen, Vino e Valverde a marcare da vicino. A 40 km dalla fine (inizio dell'11esimo giro), il plotone torna compatto. Bel lavoro dei belgi, e ora che fate? Niente, continuano a voler tenere la corsa in qualche modo cucita, mentre Ballan si inventa un gran forcing sulla prima delle due salite, lasciando il compito a Rebellin di fare lo stesso sulla seconda. Nessuno si stacca, ma queste trenate resteranno nelle gambe veloci, oh se resteranno!
Bettini proprio non resiste, non ce la fa ad aspettare ancora, mancano 30 km quando, sulla salita della Croce, subito dopo il forcing di Rebellin, scala di marcia e scatta deciso, e solo Wegmann riesce a prenderne la ruota. I tre caballeros, Valverde, Vino e Boonen, non se l'aspettavano, e si fanno sorprendere da quest'azione restando un po' troppo arretrati. Davvero credevano che il Grillo sarebbe rimasto a guardare fino all'ultima tornata? Poveri illusi. Qui c'è da faticare, sempre, perché quello lì non può proprio fare a meno di colpire ai fianchi quelli che teme, li colpisce e li ricolpisce, fino a vedere il bianco della loro bandiera: ha sempre fatto così, e così ha ottenuto le sue migliori vittorie, perché cambiare abitudini a 32 anni?
In ogni caso che sia presto lo capisce anche lo stesso Bettini, che si rende conto che non vale la pena di dare tutto per un'azione che sarà annullata sulla troppa pianura che separa lo scollinamento dal traguardo. Paolino si rialza, idem Wegmann, e allora parte in contropiede Rebellin, insieme a Loosli: l'Italia ha sempre un uomo pronto a intervenire, una favola di nazionale.
Anche Davide sa benissimo di non avere chance, a quel punto, ma la sua azione è utile per far riorganizzare i nostri in gruppo dopo la salita, visto che sono tutt'al più gli altri a doversi mettere in testa per inseguire. Su Rebellin e Loosli arriva anche Chavanel, ma all'ultimo passaggio sotto allo striscione (22 km alla conclusione) è di appena 11" il margine sugli inseguitori (che sono ancora tantissimi, 100?, 120?). Presi i tre, ci provano Trenti (italiano che corre con passaporto statunitense), Calzati e Alex Efimkin. Niente spazio, nemmeno per loro, stavolta siamo noi a chiudere, con Ballan.
La prima salita vede ancora l'impagabile Bruseghin a tirare il collo al gruppo, poi passa ancora Ballan in testa, Ballan, che magnifica azione, il suo forcing letteralmente spacca il plotone, non gli resistono proprio, Ale se ne va da solo, e dietro non si può far altro che boccheggiare, smadonnare, riconcentrarsi e ripartire non appena la pendenza si allevia. Fuori i secondi, e infatti parte in contropiede uno dei più temuti, Vinokourov, con Bettini implacabile ombra alla sua ruota. E poi nell'ordine Boogerd, poi Valverde, poi Schumacher e Sánchez González.
Ballan scoppia, ha finito il suo compito, ha scompigliato abbastanza il gruppo (Boonen paga, eccome se paga), si può sfilare più che soddisfatto di se stesso. I favoriti sono comunque tutti lì, in un grande marcamento, Bettini per un attimo non sa che fare, se partire lancia in resta cercando di portarsi appresso quei 5 o 6 compagni di avventura che garantirebbero qualche chance di arrivare; o se fermarsi, in attesa di sparare tutto, ma tutto davvero sull'ultima salita della Croce. Così fa, decide di attendere, mentre Vino saggia le forze in campo con una progressione sul falsopiano.
Nulla di fatto, si va sull'ascesa conclusiva. È Paolini, fido come sempre, a piazzare il primo scatto. Wegmann, bel finale, si mette a forzare, Kroon e Arvesen reagiscono bene, ma non hanno ancora fatto i conti con Bettini. Sempre lui, sempre di più. Scatta un'altra volta, stavolta vuol essere l'assalto definitivo.
Fa il vuoto, il toscano, se ne va come il vento, mentre alle sue spalle si organizza un gruppetto interessante, con Kroon che dà tutto per il suo capitano Boogerd, e con convitati del calibro di Vinokourov, Wegmann e Millar. Valverde arranca più indietro, Boonen aspetta tempi migliori che non arriveranno.
Su un altro percorso, Bettini non lo vedrebbero più, se non dopo l'arrivo. Su questa ciofeca di Salisburgo, lo riprendono prima ancora che lui faccia la bocca all'idea di essere lanciato verso una vittoria storica. Sono comunque 6 bellissimi corridori in fuga a 7 km dalla conclusione del Mondiale, e le chance di Paolino di imporsi in una volata ristretta sono intatte. Purtroppo il tracciato è davvero scarso, e facilita il rientro anche del resto del gruppo, sicché ai 5 km ci ritroviamo sconfortati in una situazione di 60 corridori che faranno un volatone degno di una tappa piatta del Tour; e con Boonen, Hushovd, Zabel, McEwen, O'Grady, Eisel candidati a giocarsi la vittoria. Potrà mai Bettini batterli tutti?
Ai 5 km Schumacher prova a spiazzare tutti, ma Pozzato è perfetto e lo neutralizza. E lì parte un'altra azione eccezionale, Rebellin estrae dal cilindro il numero che spariglia definitivamente le carte. Se ne va con decisione ai 4 km, tutto si rimescola in gruppo, non si riescono più a tenere le posizioni, chi si inventa un modo per riprendere lo scatenato vicentino?
Vinokourov, chi sennò? Solo che per annullare l'azione di Rebellin, il kazako sciupa le sue ultime energie, e non gli rimane niente per piazzare un contropiede che resta solo abbozzato. Ci riprova Cancellara ai 2 km, ma Paolini lo stoppa, gli azzurri arrivano dappertutto. Bettini cura la ruota di Boonen, ottima posizione. Un chilometro e mezzo al redde rationem, e allunga Millar, e stavolta è Pozzato, ancora lui, a togliere le castagne dal fuoco, per poi mettersi addirittura a fare l'andatura, onde evitare che qualcuno decida di partire senza preavviso. Sarà volata, quindi.
Ma come la storia dello sport ci insegna da un secolo, non bisogna mai dare niente per scontato. E qui entra in scena la Spagna, finalmente: amorfa fino agli 800 metri, la nazionale iberica si inventa un colpo di scena sensazionale. In effetti, una volta che Pozzato si sposta, c'è quel Valverde in seconda ruota che puzza di bruciato, lì dietro a Samuel Sánchez, e davanti all'altro spagnolo Florencio. È un attimo: quest'ultimo dà il la a Sánchez, e contemporaneamente frena, mentre il compagno spara tutto quello che ha, trascinandosi Valverde: il più classico dei buchi, col gruppo in fila rallentato da Florencio mentre gli altri due spagnoli fanno per andarsene via e centrare una doppietta magica.
In quel frangente, solo pochi uomini avrebbero saputo mantenere la lucidità per capire all'istante cosa fare. Uomini di classe; uomini di esperienza; uomini di valore. Uomini come Zabel; uomini come Bettini.
Solo loro due si accodano al trenino iberico, e quando Valverde, lo stracco Valverde salisburghese, si rende conto che il giochino non è riuscito, che Erik e Paolo non ci sono cascati, capisce già come finirà il suo romanzo: terzo (con Samuel sconsolato quarto), per quello che è il terzo podio mondiale in quattro anni. Avrà tempo per rifarsi, questo è poco ma sicuro.
La lotta allora è fra gli altri due. Bettini resta copertissimo alle spalle di Zabel, aspetta e aspetta, e così facendo forse induce il tedesco a forzare, ad anticipare, a partire un attimo prima del necessario. Ma capiamolo anche, Erik, vecchio Erik, grande Erik, a 36 anni subentra anche lo spasimo di un traguardo mai raggiunto, e che non vedi l'ora di raggiungere prima che sia troppo tardi, e poi è una vita che si piazza soltanto, al Mondiale fu terzo nel 2002, secondo nel 2004, e questa sarebbe una vittoria che coronerebbe la carriera di un gigante, un uomo esemplare, un atleta che i colleghi fanno a gara per prendere d'esempio, e che poi, quando perde (e perde spesso, da qualche anno in qua) è sempre il primo a correre a complimentarsi con chi l'ha battuto, a regalare un sorriso, una pacca, un abbraccio.
Zabel attacca la volata, ma Bettini non può mollare proprio ora, non esiste, e allora Paolino si tuffa, passo da sinistra?, no, c'è un pertugio in mezzo, tra Erik e Valverde ormai sfiatato, ed eccolo il Grillo prendere il binario centrale, sbucare tra i due marcantoni e allungarsi sul traguardo, mettere la sua ruota davanti a Zabel, prendergli mezza bicicletta di vantaggio, capire che lo spazio tra sé e quella striscia bianca sull'asfalto è troppo poco perché possano più rubargli il sogno, e allora, si alza dal manubrio, leva le braccia al cielo, urla come un invasato, urla al mondo, urla la sua gioia infinita perché ora sì, ora può dirlo, "sono Campione del Mondo", e metterci tutte le maiuscole che vuole.
Una vittoria limpida, eccezionale, ottenuta con un coraggio senza pari, con la voglia di buttarsi in tutte le azioni importanti, il desiderio di essere lui in prima persona il motore degli eventi, lui che promuove attacchi, che propone fughe, che mette se stesso in prima linea, senza spaventarsi di quello che sarà. Il Bettini che in questi 10 anni abbiamo imparato ad amare alla follia; il Bettini simpaticone, ma anche rompiscatole, il Bettini che sa quanto vale e che non si farà mai mettere i piedi in testa da nessuno.
Il Bettini che sa anche chi ringraziare: Franco Ballerini, che ha creduto in lui, che ha costruito una nazionale di "tanti capitani e nessun capitano, una nazionale che ha imparato dai suoi errori", e certo, gli errori in passato ci sono stati, e nessuno lo mette in dubbio. Ma oggi abbiamo visto finalmente l'Italia che avevamo sempre sognato. Abbiamo capito che allora era possibile, che si poteva correre in questo modo, e di conseguenza vincere. Abbiamo osato, siamo stati ripagati anche con un pizzico di fortuna. Ma siamo stati infinitamente più bravi che fortunati. Bravi, sì, diciamocelo forte e chiaro, rivendichiamo il rispetto che merita il nostro ciclismo, l'ammirazione che meritano i nostri campioni, la stima che ha saputo meritarsi il nostro ct.
Bravi, grazie. Grazie Franco, grazie Paolo, grazie tutti: è stato bellissimo.

Marco Grassi    



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