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Contrini, sei una moto - Fuga vincente al Giro di Svizzera

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Questo sì che è un risarcimento coi fiocchi! Daniele Contrini non è veloce, ma è coraggioso. Per vincere ha bisogno di andare in fuga, di tentare da lontano. Ma non se ne duole, quando sente la gamba va, e pazienza se poi lo riprendono quasi sempre: è il normale destino di chi fa la vita del fuggitivo.
Va sempre bene, anche quando non si vince. Comunque ci si espone, ci si fa vedere, e poi ogni tentativo è degno di rispetto e ammirazione. Va sempre bene, sì. Anzi quasi. Quasi sempre. Perché quest'anno c'è stato un episodio passato troppo sotto silenzio, e che oggi merita di essere rievocato perché finalmente, a distanza di mesi, giustizia è stata fatta.
Alla Tirreno-Adriatico, seconda tappa, Contrini aveva sentito la gamba. Ed era partito in fuga, all'inizio della frazione. Ci era rimasto per 153 km, prima con altri corridori, poi da solo. E aveva conservato un margine sul gruppo, minimo ma presente, fin dentro Frascati, sede dell'arrivo. Quel margine gli sarebbe bastato per vincere, addirittura. Ma ci furono delle moto che si opposero al giorno di gloria del bravo Daniele: moto dell'organizzazione, o della tv, non si sa bene, ma quei mezzi si misero davanti al gruppo lanciato e lo lanciarono ancora di più, risucchiandolo nella loro scia.
Quando si passò dal cartello dei 200 metri all'arrivo, Bettini fece la sua sparata e superò in tromba Contrini, andando a vincere. Bravo Paolino (mica aveva colpa di quanto accaduto), ma pessime quelle moto.
Ora, dicevamo, giustizia è fatta. Non è la giustizia della legge, ma la giustizia di chi ripara da sé a un torto subito. Questo ha fatto Contrini oggi in Svizzera. Non poteva accontentarsi di una vittoria qualsiasi, no, doveva andare a prendersene una in una corsa del Pro Tour com'era la Tirreno. E nella seconda tappa del Tour de Suisse, da Bremgarten a Einsiedeln, è scattato a 115 km dal traguardo, e ha iniziato a guadagnare. Secondo dopo secondo, il margine sul gruppo è rapidamente asceso al minuto, e poi due, tre, cinque, dieci.
Il gruppo ha traccheggiato troppo. Potremmo voler essere aulici a tutti i costi, e dirci che i boss del plotone avevano intuìto che contro la determinazione di Contrini oggi non ci sarebbe stato niente da fare. Preferiamo essere realisti e dire che il bresciano ha avuto la fortuna di incrociare una giornata di distrazione, o di scarsa vena, di chi inseguiva. Tirate voi, no, tiriamo noi, alla fine fra Lampre (Bennati), Quick Step (Boonen), Davitamon (McEwen), Phonak (Clerc), e chi più ne ha più ne metta, non si è trovato un accordo, dietro. Come recita la saggezza contadina, quando sono troppi galli a dover cantare, non fa mai giorno.
Contrini ha dato alla sua azione una continuità impressionante. A 35 chilometri dalla fine aveva ancora un quarto d'ora di vantaggio. Poi, sulla salita di Schindellegi, l'inevitabile calo fisico, col gruppo che ha iniziato a recuperare. Ma era ormai troppo tardi per rientrare. L'unica cosa che sono riusciti a togliere a Contrini è stata la maglia gialla di leader della corsa. Sarebbe stata una ciliegina, non lo neghiamo, ma il fatto rilevante era la vittoria. E vittoria è stata.
Vittoria di Daniele, vittoria del Team L.P.R., che come già mostrato al Romandia, onora tutte le corse del Pro Tour in cui viene invitato: la squadra è affiliata in Svizzera, quindi si giova di una corsia preferenziale per le corse elvetiche. Di sicuro gli organizzatori non potranno lamentarsi del rendimento degli uomini di Damiani e Piscina.
La maglia gialla finisce sulle spalle di Bennati, che con due secondi posti conquista il primato in classifica, ma probabilmente avrebbe preferito mettere la sua ruota davanti a quella di Boonen, in una di queste due tappe, e alzare le braccia sotto lo striscione. Non è successo, ma se l'aretino è bravo, domani resiste sullo strappetto di Ziegelschüren e va a sprintare ad Arlesheim. Coraggio, oggi un Daniele ha vinto, domani può toccare a un omonimo.

Marco Grassi




E al Delfinato fa festa Hushovd


Sono passati 1098 km d'allenamento, per qualcuno, di immensa gioia, per taluni, di stravolgente fatica, per talaltri.
È da ormai un lustro che il Criterium del Delfinato, ed il suo trionfatore finale, parla la pochezza di due lingue: l'americano (Armstrong nel 2002 e nel 2003) ed il basco (Mayo nel 2004 e Landaluze lo scorso anno). Anche quest'anno, non si è usciti da tale canovaccio: vince Levi Leipheimer, corridore stagionatello della Gerolsteiner, che qualche anno fa - in casacca Us Postal - si era piazzato sul podio, anche se sul gradino più basso, della Vuelta a España. Non un corridore che fa strappare i capelli, insomma (neanche i suoi, visto che è quasi completamente calvo), ma un regolarista - forte sia a cronometro, da buona "tradizione" statunitense, sia in montagna - che potrebbe inserirsi nelle zone alte della classifica anche tra un mesetto, quando la maglia di leader non avrà più pallini blu a sbiadire un poco il giallo del primato, e quando i big più accreditati, su tutti il nostro Ivan Basso e Jan Ullrich (che nel frattempo corre in Svizzera), potrebbero marcarsi un po' troppo a uomo e lasciare scoperto qualche pertugio importante.
La tappa di oggi ha fatto solamente da corollario ai classici discorsi sul futuro più o meno prossimo che vedremo in Francia, quasi sulle stesse strade, di qui a poco: e dire che pure oggi, al Delfinato, ci si è divertiti, con uno Stuart O'Grady temerario (bella la tradizione che vuole le ruote veloci attaccare: lo stesso australiano un paio d'anni fa, ma anche Napolitano ed Hushovd quest'anno) nel combattere il gruppo con un'azione solitaria, di quelle che - solitamente - servono agli atleti per accumulare chilometri e "vento". Però la Crédit Agricole aveva il norvegese Thor "Uragano" Hushovd davanti, e non poteva lasciarsi scappare la ghiotta occasione: strano il comportamento della Caisse d'Epargne, che ha tirato per gran parte della tappa e si è poi defilata nel momento decisivo. Evidentemente Valverde ha preferito non rischiare, e non lo biasimiamo, anche perché il modo in cui Hushovd si è preso gioco di Dumoulin (che, a dispetto della corporatura esile, è molto veloce) e Gilbert, altro splendido protagonista di questa edizione di Criterium, non lasciava scampo ad altri epiloghi.
Futuro prossimo, dicevamo, e prossimo futuro molto incerto, su tutti, per tre di cui si parla già da tempo in prospettiva Tour de France: il primo (in ordine rigorosamente inverso dalla classifica) è Floyd Landis, che paga 57'06" da Leipheimer e che è stato anche sul punto di ritirarsi, tra ieri ed oggi; alla Phonak però non gliel'hanno permesso, e il morale sarà sotto i tacchi. L'altro è Alexandre Vinokourov (51'08" il suo distacco), un altro "cavallo di razza" per le classiche che si appiattisce nella preparazione specifica verso il Tour de France, o comunque una grande corsa a tappe; dopo Di Luca al Giro, insomma, si prospetta un altro tonfo per un altro principe delle Ardenne. L'ultimo è Yaroslav Popovych (42'37"), e questo forse è proprio il più preoccupante: se difatti sappiamo che Landis è tutto fuorché un campione e Vinokourov ha sempre dato il meglio di se sull'onda dell'entusiasmo dopo risultati ottimi, l'ucraino cresciuto a pane&Locatelli lo si aspettava in rampa di lancio verso il post-Lance in casa Discovery: ed invece, neanche a cronometro è riuscito ad essere competitivo, facendosi preferire Azevedo (soprattutto, anche se corre in maniera scriteriata) ed Hincapie, soprattutto in prospettiva; passaggio a vuoto, insomma, e probabilmente per lui, in Francia, ci saranno di nuovo compiti di gregariato.
Tornando alle note liete, oltre al vincitore Leipheimer, sottolineiamo la coesione in casa AG2R tra l'autoctono Moreau e lo spagnolo Francisco Mancebo: 2° e miglior scalatore il francese, 5° e maglia a punti per il "seigiornista" (per via del capo ricurvo) ex-campione nazionale spagnolo; in Francia sarà ovviamente Mancebo a curare la classifica generale, ma l'ultima squadra entrata nel Pro Tour ha in seno un bel diversivo tattico, sia per le vittorie parziali che - eventualmente - per rimpinzare la propria presenza nella parte alta della classifica.
Altro corridore che sorride è Ullrich, anche se assente, perché (seppur a tratti) Mazzoleni e, soprattutto, il giovane austriaco Kohl, si sono dimostrati assolutamente competitivi sulle pendenze francesi. Anche strutturalmente, entrambi si confanno al modo di correre, e di pedalare, del Kaiser, e per fronteggiare la Csc saranno pedine utilissime.
Altre note positive (anche se una tra queste, nei meandri, ne nasconde una negativa) vengono da Valverde e Caucchioli: il primo è partito piano, si è staccato, è andato col suo passo, si è fatto aiutare dai compagni (ottimo Arroyo, in questo senso) e poi sul Col de la Croix de Fer ha addirittura attaccato, portandosi appresso Mayo (di cui abbiamo decantato le gesta ieri, e su cui tra poco torneremo) e dimostrando, insomma, di crescere bene. Il veronese è invece uno che non si vede mai, che si stacca quasi sempre, che fa l'elastico come nessuno: perdi poco oggi, perdi poco domani, alla fine della fiera riesce sempre a strappare un dignitoso piazzamento finale. Anche al Tour del 2004 fece la stessa cosa, ma venne beffato dalla crono finale che lo relegò all'11° posto.
La "negativa" di cui sopra, per inciso, riguarda Oscar Pereiro Sio, proprio il corridore che soffiò al "Cau" il 10° posto due anni fa alla Grande Boucle: l'anno scorso, in maglia Phonak, ci fece divertire come soltanto Vinokourov a Parigi. Quest'anno, alla corte di Echavarri ed Unzue, e in squadra con Valverde e Karpets, prevediamo meno spazi e meno "colpi di testa". Peccato.
Menchov e Mayo, poi, Piepoli e Marzano, anche, per finire con Zabriskie ed Iglinskiy: il russo di casa Rabobank ha dimostrato di essere un ottimo corridore per le salite pedalabili, e se riuscirà ad assorbire le botte patite nella penultima tappa e si allenerà senza troppo dolore può seriamente pensare di poter entrare nella top-5 della prossima Grande Boucle; Mayo è tornato a farci divertire in salita, ed una tappa condita dalla lotta per la maglia a pois porterebbe il bilancio del Tour 2006 del basco ad un segno più che positivo; Piepoli, anche se (presumibilmente) non correrà il Tour, è stato ancora pimpante in salita ed è riuscito a spillare anche un onorevole 8° posto; Marzano, dopo due anni passati tra difficoltà e problemi, è riuscito a tenere il passo, quantomeno, del gruppo dei primi inseguitori, ed anche se non è più giovanissimo è un bel corridore che potrà far bene (anche se il Tour è ancora troppo duro); Zabriskie ha corso due cronometro eccellenti, la posizione in bici è addirittura migliorata, ed ha una gamba invidiabile: tra l'americano e Cancellara, Riis ha almeno il 60% di possibilità di vestire la prima maglia gialla del Tour (ci sarà da battere McGee ed il redivivo Millar); il kazako di Stanga, invece, è quello che non ci si aspettava proprio: 13° in classifica, sempre molto reattivo in salita, ha fatto ciò che doveva fare Grivko che, come Thomas Dekker, è invece mancato.
Ci piace anche ricordare Turpin, eroe solitario di Briançon che, nella tappa successiva (quella di ieri), è caduto in discesa e si è fratturato il femore: dalle stelle alle stalle in poche ore.
Certo, tra la Svizzera e casa di qualcuno (di Basso e Savoldelli, ndr), altri nomi verranno fuori per la Grande Boucle. Ma un Delfinato così bello, così combattuto, con percorsi simili e protagonisti all'altezza è stato, ci scommettiamo, non solo un allenamento di 1098 km.

 

Mario Casaldi



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