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9 a Landis, 7 a Cunego - Il nostro pagellone sul Tour de France

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La vigilia - 0
Ci siamo violentati per presentare questo Tour in maniera degna, come possono fare appassionati di ciclismo che hanno un pubblico di appassionati di ciclismo; le liste dei favoriti che cambiavano da un minuto all'altro, le composizioni delle squadre ignote fino a sabato 1° luglio, dopo l'avvio del Tour de France; e allora malediciamo l'interventismo che ha azzoppato il Tour e che ha lasciato camminare indisturbati Campionati del Mondo di calcio e il torneo di Wimbledon nel tennis; e allora malediciamo il complesso d'inferiorità dei dirigenti di ciclismo, che pur di far apparire i loro piatti più lucidi (o meno sporchi, già gli basta) degli altri sono disposti a calpestare, seppur in maniera velata, seppur agendo mediante le squadre, seppur spalleggiando un Codice Etico che sin dall'anno scorso sa di "burletta", i diritti di certi lavoratori. E solo di quelli. Un applauso doveroso ad Alessandra De Stefano, infine, che è stata la prima (in tv, visto che qualche sito internet aveva già dato) a puntare il dito contro le società.

Floyd Landis - 9
In tanti hanno detto che ha vinto il più forte in gara, e probabilmente è vero. Tanti però non hanno sottolineato che quella crisi verso La Toussuire poteva davvero scalzarlo via dai giochi, se altre squadre avessero affrontato la terzultima ascesa, quella della Croix-de-Fer, come se si corresse il Tour de France e non come se si stesse correndo una cicloturistica ad andatura controllata. Uno che perde 10' in 10 km ed è comunque 11° in classifica ha le spalle coperte, e allora - visti gli altri capitani - ha capito che questo Tour, in realtà, lo vedeva davvero come il più forte e completo in gara. 140 km di fuga verso Morzine, alla Chiappucci (con tutte le differenze tra Pereiro e Sastre rispetto ad Indurain e Bugno, per carità), con altri errori tattici dei team che l'avrebbero dovuto contrastare. Ha salvato un Tour de France noioso, talvolta molto brutto, con la classica azione "d'altri tempi", con un numero d'applausi, con una giornata che è quasi valsa l'attesa di qualcosa che sembrava dovesse arrivare e non arrivava mai. Altro americano a Parigi, altra storia umana da commozione. Ha colto al volo l'occasione della vita.

Oscar Pereiro Sio - 8,5
Partiva come terzo uomo della Caisse d'Epargne, dopo Valverde e Karpets, e s'è ritrovato di giallo vestito fino alla cronometro conclusiva del 93esimo Tour de France: gli è stato dato un abbuono di mezz'ora (30', lo ribadiamo per chi preferisce vedere numeri) nella tappa vinta da Voigt a Montélimar e per uno già in passato in grado di entrare nella top 10 della Grande Boucle era una dote troppo generosa per essere sperperata. Si terrà stretto questo secondo posto finale, com'è giusto che sia. Probabilmente, la sua vittoria avrebbe fatto aprire gli occhi a qualche disegnatore di percorso e a qualche direttore sportivo: un Tour vinto con una fuga bidone... sarebbe stato divertente vedere le reazioni dei "boss".

Andreas Klöden - 6,5
Aveva a sua disposizione la squadra più forte del Tour de France, seppur privata di due uomini importanti, quantomeno numericamente. Sui Pirenei sembrava controllare abbastanza agevolmente la questione, contendendosi con Landis la palma di candidato più accreditato alla vittoria finale del Tour. Poi è saltato in maniera neanche troppo dignitosa, sì, è vero, ha colto un terzo posto finale frutto più dell'ultima crono (peraltro scena già vista nel 2004, col sorpasso dell'allora campione tedesco ai danni di Ivan Basso per la seconda piazza) e della debâcle di Sastre che di una gamba che meritava il podio. Le accuse lanciate alla dirigenza del team alla vigilia dell'ultima tappa non lo sollevano da responsabilità: se si è capitani di uno squadrone e si deve esserne il leader, non si deve aver bisogno dell'auricolare per ordinare ai propri compagni di accelerare.

Carlos Sastre - 7
Ha fatto del suo meglio il regolarissimo spagnolo, e se non fosse stato per quella sciagurata cronometro finale (da qui nasce il soprannome "di-Sastre") il suo voto sarebbe stato probabilmente anche più alto: in salita ci prova secondo le proprie possibilità, cresce alla distanza mostrandosi più competitivo sulle Alpi che sui Pirenei, a Morzine fallisce l'attacco alla maglia gialla per soli 12" che probabilmente gli sarebbero valsi, più per la "magia" della maglia che per la quantità, una cronometro migliore. Scende dal podio, ma è il suo migliore risultato al Tour de France; chissà, se Basso riuscirà a prendere il via alla Vuelta, Carlos potrebbe disputare anche la corsa spagnola.

Denis Menchov - 6
Si era già visto sul Pla de Beret, nonostante la vittoria di tappa, che la condizione del russo già maglia bianca nel 2003 non era assolutamente trascendentale; quando scattava, difatti, non faceva mai il vuoto, neanche in progressione: chiaro segnale di chi non vuole rischiare di andare fuori-giri. Non inganni poi il suo sesto posto finale, perché il suo Tour è finito assolutamente in calando: sulla carta sembrava da podio, la strada ha dimostrato che non è stato in grado di impensierire i primissimi, deludendo anche a cronometro. Torna a casa con una tappa, ma il suo bottino doveva essere migliore.

Cyril Dessel - 7,5
In un Tour de France tutt'altro che avaro per i colori nazionali transalpini (tre tappe: Casper, Calzati, Fedrigo; due uomini nei primi 10: lo stesso Dessel e Moreau), il già vincitore del Giro del Mediterraneo suggella la propria annata di grazia a Pau, beccando la fuga giusta in compagnia di Mercado. Ottiene la maglia gialla, diventa ovviamente l'eroe nazionale, si difende con i denti su ogni percorso, soffrendo sempre e mollando mai. Patisce anche un capitombolo da paura nella picchiata verso Morzine, ma si rialza in tutta fretta e in tutta polvere, e riesce a salvare la baracca. Finisce addirittura davanti al proprio capitano, Moreau, in classifica generale. Premio meritato per la grande tenacia.

Matthias Kessler, Sylvain Calzati - 8
Se abbiamo trovato due motivi, durante le prime 10 tappe di questo Tour de France, di guardare le dirette dall'inizio alla fine il merito è soprattutto della strana coppia Kessler-Calzati, un tedesco ed un francese. Entrambi ravvivano un inizio di Tour monotono e monocorde con due bellissime azioni solitarie: uno a Valkenburg, l'altro a Lorient. Dopo le vittorie di tappa, poi, importantissimo lavoro di gregariato a favore dei capitani, sia questi si chiamassero Honchar piuttosto che Moreau, o magari Klöden e Dessel; e anche qualche altro vago tentativo di fuga. Un Tour maiuscolo vissuto anche sotto un altro comune denominatore: Kessler vinse la tappa prima di Germania-Italia, Calzati ha vinto prima di Italia-Francia. Che gli amanti di statistiche e cabala si divertano pure...

Robbie McEwen - 8,5
Tre tappe in una settimana, come nelle migliori tradizioni mceweniane. Lascia stare gli sprint per i traguardi intermedi nelle prime tappe, focalizzando energie ed attenzioni ai finali di tappa. "Facile - si dirà - se si è il più forte allo sprint e manca Petacchi": nient'affatto, perché il Tour di quest'anno era davvero zeppo di ruote veloci e le volate non hanno mai avuto lo stesso canovaccio, se non l'analogia - occhio all'ossimoro - di essere tutte diverse tra loro: e Robbie con certe volate ci si trova a meraviglia. Ha uno Steegmans in più a fargli da pesce pilota, e non è poco, ed anche se qualche volata la sbaglia (Freire a Caen e Hushovd ai Campi Elisi, su tutti, lo ringraziano) finisce come plurivittorioso e maglia verde.

Thor Hushovd - 8
Apre e chiude questo 93esimo Tour de France il vikingo Thor Uragano Hushovd: e sarà per la bellezza di quella telecamera posta a mo' di gara d'atletica in parallelo con gli sprinter che ci ha fatto gustare tutta la potenza del norvegese, sarà per quelle tre biciclette affibbiate alla maglia verde McEwen sull'ultimo rettilineo del Tour, quello più suggestivo, quello dei Campi Elisi, e sarà anche per quel taglio sul braccio patito per via di uno sconsiderato tifoso che riprendeva la volata col cellulare (speriamo che almeno gli si sia sfasciato, quel mezzo tanto utile quanto rincretinitore) sul viale di Strasburgo, sarà anche per quel terzo posto di tappa, ad Esch-sur-Alzette, ottenuto pedalando con un piede solo negli ultimi 50 metri. Sarà anche che l'anno scorso vinse la maglia verde senza vincere una tappa, mentre quest'anno di tappe ne ha vinte due ed è stato anche per due giorni di giallo vestito... e allora bravo Thor; bravo il vincente Thor.

Tom Boonen - 4,5
Che strano non vederlo esultare mai a braccia alzate, anche se per quattro dì è il leader della corsa. Che strano rendersi conto che anche l'impavido Tom, che anche il campione del mondo Boonen, che anche l'aitante belga - insomma - possa vivere un periodo d'appannamento, di non brillante condizione, di qualche passaggio a vuoto che lo fa partire troppo lontano dalla linea d'arrivo, che gli fa sprecare qualche uomo importante a troppi chilometri dal traguardo, che gli fa lasciare un Trenti a casa, ad esempio, che lo fa ritirare prima di Parigi perché "sì, vabbè, le Tour c'est le Tour, ma io sono il campione del mondo e non posso finire la stagione in Francia", che non gli fa vincere neanche una tappa in terra francese dopo due vittorie per anno nelle due partecipazioni passate. E a noi, che siamo piccoli uomini, ci piace dare una virtuale pacca sulla spalla a Tom e dirgli: "Capita, dài, è successo a tutti".

Damiano Cunego - 7
Preferiamo in realtà quando dice di voler fare esperienza alla Liegi, e poi fa 3° dietro a Valverde e Bettini, rispetto a quando dice di voler fare esperienza al Tour de France, e finisce 12esimo dietro a Dessel, a Zubeldia e a Rogers, tanto per citarne tre non a caso. Non eravamo molto d'accordo con la sua partecipazione, ma un Tour va corso prima dei 26 anni, ci mancherebbe, e quindi possiamo anche applaudire la scelta di Damiano: per non illudere eventuali aspettative mantiene un profilo bassissimo, prendendo bastonate a crono e cercando la fuga sui Pirenei, seppur in maniera coraggiosa, ma con la tattica di corsa di un comprimario (mi stacco in salita, mi riaggancio in discesa, provo l'anticipo, mi riprendono, vado su col mio passo); poi arrivano le Alpi, e Damiano torna ad essere Cunego: prima della tappa dell'Alpe d'Huez è 33esimo in classifica. Dopo quel giorno (sarà anche per l'avvento di Martinelli in Francia?), è tutto un crescere, un essere protagonista, un cercare la ribalta, la maglia bianca, la fuga, la vittoria di tappa, magari anche la top 10; confeziona una cronometro finale d'applausi, ottiene maglia bianca e 12esimo posto in classifica (in linea con i predecessori tra gli under-26), ma l'inizio è stato troppo brutto per un già vincitore di un GT e di una classica Monumento. Orsù, dunque, manca soltanto un passo verso la totale maturazione: il saper reggere le grandi pressioni. Ma siamo sulla buona, buonissima, strada.

Oscar Freire - 7
Prima di quest'anno aveva vinto soltanto una volta, al Tour, e le tappe delle grandi corse a tappe, soprattutto nelle volate di gruppo, non le aveva mai troppo digerite, preferendo sempre gruppetti meno numerosi e tappe più movimentate dei tavoli da biliardo. Oscar estrae dal cilindro di tricampione del Mondo, invece, due volate esemplari, soprattutto quella di Caen dove sceglie il pertugio a destra mentre il gruppo era tutto spostato a sinistra: una perla d'astuzia a cui ci ha abituato il cantabro, che però a lungo andare si macchia (con Popovych) di uno dei gesti più brutti del Tour de France: verso Carcassonne, lo spagnolo della Rabobank e l'ucraino della Discovery decidono di mettere in mezzo Ballan, che va in bambola e non riesce a trovare il bandolo della matassa: e dire che ad Oscar non serviva, perché in uno sprint a tre aveva il 95% di possibilità di vittoria; e dire che a lungo andare non è servito neanche l'aiuto (eventuale) della Discovery alla Rabobank. Quel non fare la volata per il 2° posto, poi, per uno che era in lotta per la maglia verde, è stato, più che un'ammissione di colpevolezza, un vero e proprio sintomo di vergogna. Peccato.

Alejandro Valverde, Danilo Di Luca - n.g.
Ci hanno quasi condotti sull'orlo di una crisi di nervi, i ritiri di Danilo Di Luca prima e di Alejandro Valverde poi; eravamo già rimasti orfani di Basso, di Ullrich, di Mancebo, di Vinokourov, e i primi giorni di corsa ci han tolto anche il primo vincitore e l'attuale leader del Pro Tour. Con una facile battuta potremmo dire che entrambi "sono andati in bianco", sperando di trovare solidarietà in chi legge. Problemi di stomaco per l'abruzzese, una caduta malandrina, a centro gruppo e a 40 km dall'arrivo, in una tappa assolutamente tranquilla, che gli ha causato anche la frattura della clavicola destra, per lo spagnolo. Entrambi non giudicabili, dunque, col rammarico di non averli potuti vedere davvero protagonisti.

Michael Rasmussen - 7,5
Ad uno così gli si deve far fare il gregario se, e soltanto se, in squadra si ha un fenomeno, uno che dà il 105% di sicurezza al team, uno che ha una condizione eccelsa ed un carisma da invidia: e a noi non sembra che la Rabobank l'avesse. Già sul Pla de Beret non s'era più di tanto capito di quelle trenate del danese e di Boogerd prima del presumibile (e mai avvenuto) allungo di Menchov: insomma, per arrivare ad una volata di tre corridori sulla cima di una tappa pirenaica non è che si debba per forza fondere la squadra e i due migliori gregari, anzi, li si può far benissimo arrivare col capitano, per fungere in futuro da ottimo diversivo, anche tattico. E invece al danese viene chiesta la maglia a pois, forse memori della sciagurata crono di Saint-Etienne dell'anno passato, privandoci così di qualche bel fuoco d'artificio veramente importante in montagna. Obiettivo raggiunto, professionalità conclamata, ma amaro in bocca per tutto quello che poteva essere, e non è stato.

José Rujano, José Ángel Gómez Marchante - 3
Si puntava alle tappe, alla maglia bianca, a far bene, al podio, alla top 10: sono solo alcuni, in ordine sparso, degli obiettivi dei due corridori all'inizio del Tour de France. Rujano ha corso poco, quest'anno, ed evidentemente la sua marcia di avvicinamento alla Francia, o a qualsiasi altro obiettivo, dovrà necessariamente cambiare se vorrà essere preso in seria considerazione, mentre Gómez Marchante, pur non entusiasmando ai livelli del Giro dei Paesi Baschi, aveva disputato un buon Giro di Svizzera in appoggio a Koldo Gil. Deludere ci può stare, non raggiungere gli obiettivi prefissi anche, per carità, ma scomparire totalmente dalla scena, senza mai farsi vedere, farsi notare, non può essere nel dna di chi vuol essere protagonista, nel futuro, delle corse a tappe. Urge una sterzata, anche violenta.

Matteo Tosatto - 8
Avevamo già iniziato a farci la bocca, a lasciare la casella "Vittorie italiane al Tour 2006" a quota zero, e invece verso Mâcon si imbrocca la fuga giusta, come già successo per l'Italia, con gli uomini giusti, anche questo già successo, ma per la prima volta la situazione tattica sorride a 36 denti (compresi quelli del giudizio, dunque) verso il tricolore che già in Francia ha sventolato fiero il 9 luglio, anche se per via di un altro sport: Moreni, Quinziato e Tosatto - in rigoroso ordine alfabetico - sono tutti veloci, probabilmente il solo Isasi può impensierirli; poi Isasi scatta con Leipheimer, e quantomeno perderà brillantezza in volata; poi Scholz fa un bel contropiede, e Moreni e Tosatto trovano la giusta collaborazione. Lo sprint finale è di nervi e potenza: davanti ai 150 metri, non si fa superare neanche per un secondo dal mantovano. Bello, bello davvero, che uno squadrone come la Quick Step salvi la baracca grazie alla vittoria di un "gregario" e che l'Italia trovi il sorriso e la gioia di una vittoria grazie ad un ottimo ragazzo ed un signor corridore. Grazie Matteo, sarebbe stata una beffa lasciare la Grande Boucle senza esultare a braccia alzate.

T-Mobile Team - 5
Non inferiamo perche ha la parziale scusante dello shock subito con l'implicazione di Ullrich e Sevilla nell'Operación Puerto. Però, benedetti figlioli, ma come le gestite queste squadre? Van benissimo le vittorie di Kessler e le bellissime prove di tutti nella crono di Rennes; va bene anche il 3° posto di Klöden ed il 10° di Rogers nella classifica finale; per non parlare del successo nella prova a squadre: miglior team del Tour de France 2006. Sì, ok, però siccome le corse si corrono e non si leggono soltanto i risultati alla fine... perché i 30' regalati a Pereiro Sio? Toccava forse alla Phonak tirare? Perché mettersi in testa solo in fondo alla Colombière quando Landis aveva ormai 9' di vantaggio su tutti? Perché Klöden non era in palla? Ma se poi lo stesso tedesco s'è lamentato delle direttive della dirigenza...!? Ludewig e soci hanno sfruttato male (e non è la prima volta) il materiale umano a loro disposizione; senza voler sollevare dalle responsabilità i corridori, per carità, ma Kessler ed Honchar tre tappe vinte e tre giorni in giallo le hanno portate in dote. I dirigenti, a parte gli sbagli, che ci hanno messo?

Serhiy Honchar - 8
Dategli un tic-tac, e vi spianerà il mondo. Due cronometro lunghe, due vittorie nette, pulite, indiscusse ed indiscutibili. Un'annata di grazia, con la maglia rosa vestita al Giro d'Italia e due vittorie, più tre giorni in giallo, al Tour de France: sui Pirenei non è brillante e perde il vessillo di leader, anche perché la T-Mobile fa subito capire di voler correre per Klöden: nessuno spazio fuori dagli schemi per il bergamasco d'Ucraina Serhiy. E lui sta alle regole, sulle Alpi ritorna a trainare il gruppo sui primi chilometri di salite, con la classica andatura caracollante di chi sembra sempre fare un sacco di fatica; e probabilmente è così, anche se quel 55x11 di Rennes e quel qualcosa di poco meno duro a Montceau, beh... di fatica ne ha fatta fare a noi guardandolo, figuriamoci a lui che lo spingeva, aiutandosi - tra l'altro - con testa e spalle pur di fare velocità.

Johan Bruyneel - 4
Chi lo considerava un mago di tattica, di bluff, di impostazione di squadra e di occhio in corsa dovrà ricredersi. Aveva ragione il mai diplomatico Boonen, evidentemente, quando diceva che nelle vittorie di Armstrong al Tour de France lo zampino di Bruyneel era quasi nullo. Si trova senza Graal, il belga, e cerca di elevare al ruolo di capitano ben quattro corridori: Azevedo, Hincapie, Popovych e Savoldelli. "Di quattro - avrà pensato - almeno uno farà bene, no?!". No. Per la più classica legge del contrappasso, l'uomo che ammazzava le corse (o comunque non metteva becco quando qualche suo uomo le ammazzava) è stato annientato dai suoi stessi uomini: il migliore in classifica è Azevedo, 19esimo; il migliore risultato parziale è la tappa di Carcassonne con Popovych, sul cui svolgimento, ed epilogo, rimandiamo diritti alla parte finale del giudizio su Oscar Freire.

Levi Leipheimer - 5
È da apprezzare perche dopo una cronometro come quella dell'americano a Rennes il 90% dei corridori in gruppo se ne sarebbe andato a casa, soprattutto quella parte di atleti che era venuta in Francia con qualche favore del pronostico dalla sua parte: e invece l'ultimo vincitore del Criterium del Delfinato ha saputo soffrire, passare sopra le batoste ricevute, ed andare avanti a forza di sinusoidi, con la ottima prova a Pla de Beret, quella buona sull'Alpe d'Huez, la discreta difesa a La Toussuire, quella disastrosa a Morzine, e poi le energie per beccare la fuga giusta verso Mâcon, con quei minuti guadagnati che l'hanno portato fino alla 13a posizione finale. Voleva vincerlo, non ci è riuscito, ma bravo per la tenacia.

Iban Mayo - 4
Eh no, aspettarci un comportamento coerente da Mayo è proprio un errore che non dovevamo commettere; o forse sì, perché di sognare non s'è mai stancato nessuno e quel volo al Delfinato verso La Toussuire, nella stessa tappa (anche se più corta) del Tour de France ci avevano inevitabilmente fatto sbilanciare verso una vittoria di tappa, magari la maglia a pois, magari qualcosa di più, ma ci bastava anche qualcosa di meno. E forse qualcosa di meno sarebbe bastata anche ad Iban: una tracheite, magari. Una tracheite in meno. Ennesima accettata alla psiche di questo forte scalatore basco. Non sappiamo se sia stata la sola causa, tale malattia, ma in salita non andava neanche a spingerlo, e non era normale vederlo così. Provi a cambiare rotta, provi a dirottare l'Euskaltel in Italia: maggio, Mayo... provaci a maggio.

Team Csc - 5,5
Vale lo stesso shock della T-Mobile, o forse anche qualcosa di più, visto che Basso aveva appena vinto il Giro d'Italia e visto che il miglior sostituto era Sastre (8° fino a ieri il miglior piazzamento al Tour dello spagnolo) e non Klöden, già sul podio alla Grande Boucle. Riis ha salvato - almeno sportivamente, perché sul piano umano sta rischiando una figuraccia colossale da più o meno tre settimane, ed è lì lì per cadere nel baratro degli ignavi - la baracca puntando sull'esperienza dei propri uomini, pur perdendo Julich nella prima cronometro a causa di una caduta. Poi ci ha pensato il solito Voigt ad invertire la tendenza vincendo una tappa, dopo che anche Zabriskie aveva ciccato la crono, e poi il meraviglioso Frank Schleck sull'Alpe d'Huez ha accarezzato il faccione rotondo di Bjarne. Sastre ci ha provato sempre, quando poteva, ma anche per loro vale qualche domanda fatta alla T-Mobile: quei 30' a Pereiro, perché? Perché Voigt avrebbe potuto vincere la tappa? Perché non inventarsi qualcosa per ridurre il distacco da Landis prima dello Joux-Plane, visto che Sastre stava bene? Un podio sfiorato che poteva essere tranquillamente raggiunto.

Lampre-Fondital - 7
Ci fossero state 42 tappe, in questo Tour, probabilmente il risultato sarebbe stato il medesimo: 0 vittorie. L'unica possibilità, forse, era far arrivare una tappa a Lourdes, come in una sorta di pellegrinaggio... merito al team di Saronni e il duo Bontempi (di cui poi Fabrizio è stato dirottato al Brixia per far spazio a Martinelli), però, di aver provato con insistenza ed ottimi mezzi a far arrivare la vittoria un italiano ben prima della 18a tappa: Bennati secondo in volata, Ballan secondo in fuga, Commesso idem più lacrime, Cunego secondo sull'arrivo in salita. Addirittura, la beffa del 6° posto nella classifica a squadre che non fa guadagnare il bonus al team italiano. Fortuna che Bennati ha indossato per un giorno la maglia verde e Cunego s'è appropriato a Morzine della maglia bianca e non l'ha più lasciata, neanche dopo la crono, altrimenti si sarebbe continuato ad accostare il coraggio con un bottino magro, e magari nelle prossime corse sarebbero stati più attendisti. Bravi, ci avete fatto divertire.

ASO - 2
Signori miei, ma ve lo dicono proprio tutti, nessuno escluso, che 'sto percorso è ridicolo: perché continuare? Chiunque parli del Tour storce il naso a pensare ai primi dieci giorni tutti piatti o poco più, a pensare ad una sola vera tappa pirenaica in programma, a pensare al Massiccio Centrale nuovamente snobbato, a pensare che il Tour ha rischiato di essere vinto da Pereiro Sio con una fuga bidone in una tappa di pianura, quando il grosso del gruppo è arrivato fuori tempo massimo, a pensare che il Tour è stato salvato da un numero (annunciato: spavalderia baldanzosa o mani avanti per non cadere indietro?) di Landis verso Morzine, sulle Alpi, in una bellissima tre-giorni (Alpe d'Huez, La Toussuire, Morzine) che è stata d'applausi, va detto per onor del vero (visto quanto poco ci vuole per farci contenti?). Ed anche a pensare che Lelangue, attuale team manager del team elvetico, è stato dal 1998 al 2004 nello staff della ASO, accanto a Leblanc, nell'organizzazione del Tour de France... no, no, dài, liberiamoci da questi pensieri e... "Vive le Tour, forever" (ma sistemate il percorso!!).

Mario Casaldi



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