Millimetrico Valverde - Freire bruciato al fotofinish a Irún
Dante lo chiamava contrappasso, noi più prosaicamente diremmo "chi la fa l'aspetti". Perché dopo che vinci un bel po' di volate al fotofinish, bruciando talvolta anche qualche sventato rivale che esulta troppo presto (quella di Zabel a braccia alzate in via Roma e di Oscarito che dal nulla gli sbuca da sotto l'ascella e lo beffa atrocemente è già mitologia da tramandare ai nipotini), te lo devi aspettare che prima o poi qualcuno ti ripaghi con la stessa moneta.
È esattamente quanto successo oggi a Oscar Freire a Irún, nei Paesi Baschi: arrivato ad una volata che forse non avrebbe sperato di disputare, viste le diverse gobbe di un percorso molto insidioso (e alcune anche durette, come l'Erlaiz o lo Jaizkibel - la difficile salita che caratterizza la Classica di San Sebastián - che scollinava ad appena 12 chilometri dal traguardo), il tricampione mondiale si è disposto a giocarsela e possibilmente a portare a casa tappa e maglia.
In effetti nel gruppetto di 49 arrivato con lo stesso tempo al traguardo, non avresti detto che ci fossero ruote più veloci di quella del piccoletto di Torrelavega. Ma sarà per le salite che comunque qualche scoria di acido lattico avranno lasciato nelle gambe meno avvezze alle scalate, o sarà per una forma che non è ancora quella migliore (ma lo sarà mai? o i mille acciacchi fisici di questo corridore avranno sempre l'ultima parola?), fatto sta che Freire non è riuscito a esprimere quanto nelle sue potenzialità. Non è riuscito a scrollarsi di dosso il rivale più tignoso, e alla fine quello l'ha fregato.
Quello, che poi conosciamo tutti col nome di Alejandro e il cognome di Valverde. Da qualche tempo a ogni inizio di stagione c'è chi dice "questo sarà l'anno della definitiva consacrazione di Valverde", poi, per un motivo o per l'altro, quella consacrazione non arriva mai. Il murciano è sempre a livelli ottimi, nessuno lo nega, ma deve dimostrare un sacco di cose, molte di più di quelle già evidenziate.
Se facciamo la tara ai suoi successi, e lasciamo perdere quelli conseguiti nelle decine di brevi corse a tappe iberiche, non resta chissacché: mai visto nelle classiche (lo aspettiamo sulle Ardenne tra 10 giorni), due argenti mondiali (bravo, ma la Spagna è la squadra di riferimento nella corsa iridata almeno da un decennio, e certamente questa cosa gli ha giovato), una vittoria di tappa all'ultimo Tour de France che lasciava presagire futuri immediati di grande splendore, e che invece è stata seguita da un ritiro per motivi fisici. E poi un podio e mezzo alla Vuelta, in attesa che venga chiarita dal centesimo grado di giudizio la posizione di Heras relativamente all'ultimo Giro di Spagna.
Intravedere, il campione si intravede. Ma a 26 anni, quanti sta per compierne, è tempo che qualche promessa venga mantenuta, è tempo che "Balaverde" faccia le cose per intero, e non a metà. Il corrente Giro dei Paesi Baschi lo vede come primo dei favoriti, e lui ha onorato perfettamente tali attese sin dalla prima tappa; lui stesso non si era nascosto alla vigilia, annunciando i suoi propositi bellicosi, che gli vengono stuzzicati da un percorso sempre movimentato e mai banale. Il terreno indubbiamente lo favorisce, in questa settimana. L'importante è che la propedeuticità del pur divertente Paesi Baschi rispetto a Liegi e Freccia e Amstel non venga scambiata per un obiettivo valido per sé. Ovvero, Valverde potrà pure vincere la corsa, dopodiché la sua carriera sarà più o meno al punto in cui è adesso: sono altri i traguardi su cui laurearsi.
Certo, al netto di tutte queste considerazioni, la vittoria è sempre un buon viatico per tutto. Le carte sono già in tavola in Euskal, il numero uno annunciato è già leader, e promette non solo di difendersi ma di continuare ad attaccare. Gli altri non si limitano a guardare, ed è ancora presto per capire chi si giocherà il successo finale. Valverde non si è limitato ad aspettare la volata, ma ha anche fatto un bel forcing sull'Alto de Jaizkibel; poi nello sprint, vinto veramente per un niente (ci sarà stato un pixel tra le due ruote, la sua e quella di Freire, nel fotofinish?), ha giocato anche quel quid di imponderabile che dà pepe allo sport. Ma il grosso delle indicazioni erano già venute prima.
Abbiamo visto quindi un Valverde convincente e sulla buona strada per far bene; ma non solo. Abbiamo visto un breve attacco di Mayo (miracolo!), e speriamo di vederne altri; abbiamo visto una bella azione di Gómez Marchante e Bertagnolli (e poi anche Aitor Osa), e un allungo non convintissimo in discesa del comunque valido Samuel Sánchez; abbiamo visto Martín Perdiguero sbagliare i tempi della volata (tremendamente lungo) dopo aver menato fendenti sullo Jaizkibel; abbiamo visto Sylvain Chavanel sprecarsi in un attacco poco proficuo, in cui è restato per chilometri preso in mezzo tra due fuggitivi (Etxebarria e Fedrigo; il terzo, Vanotti, si era staccato sull'Erlaiz) che non mollavano, e il gruppo che incalzava da dietro.
E poi abbiamo visto i cavalli delle nostre scuderie. Di Luca che si testa in discesa, patisce qualcosa in salita, non perde comunque il ben dell'intelletto e chiude coi primi; Garzelli che fatica più del previsto; Rebellin che arriva puntuale nelle prime posizioni, quelle che gli fanno sin da ora acquisire credito presso bookmakers e appassionati in vista dei pronostici per il trittico ardennese (quello che lui mise in fila nel carniere due anni fa).
In realtà nulla di preciso è dato ancora di vedere, la storia della corsa è tutta da scrivere, e al momento grosse previsioni non se ne possono fare. Valverde sta bene ed ovviamente è il punto di riferimento, ma non gli mancheranno avversari e trappole. Scopriamo insieme come se la caverà.