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Kronplatz no, Piepoli sì - Tappa ridotta, Basso altro allungo

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Oggi ci si sente come quando, da bambini, ti invitavano al luna park, ma poi non ti facevano salire su nessuna giostra. Il giocattolo era davanti ai nostri occhi, l'avremmo potuto toccare con le mani, se avessimo voluto, ma purtroppo non c'è stato verso, non abbiamo potuto giocarci, non ci siamo potuti divertire. L'arrivo più atteso del Giro d'Italia 2006, quello sullo sterrato (o semi-sterrato, sia come sia) di Plan de Corones, è stato cancellato. Cancellato da una nevicata, anzi da una vera e propria bufera. La delusione è tanta, ma la promessa degli organizzatori ("Se non nel 2007, nel 2008 o nel 2009 qui torneremo, ci riproveremo") allevia un tantino l'amarezza.
La giornata era iniziata con le proteste dei corridori, che non volevano saperne di partire per una tappa in cui avrebbero dovuto affrontare col maltempo (e tanto freddo) il Passo delle Erbe e poi l'inedito, durissimo, Plan de Corones. Dopo un tira e molla che ha ritardato il via (con Basso che ha pilatescamente abdicato al ruolo di portavoce del gruppo, investendone il suo fido scudiero Lombardi), l'organizzazione è andata incontro ai corridori, decidendo di annullare il passaggio sul Passo delle Erbe. Una scelta in ogni caso discutibile: pare che non mancassero i presupposti per fare la salita (e soprattutto la discesa), ma si è voluto dare ai corridori quello che in quel momento era considerato un contentino, a fronte della loro assicurazione che sarebbero saliti sul Plan senza problemi.
Pur storcendo il naso (le immagini viste in tv della neve sull'ascesa finale non tranquillizzavano il gruppo), i girini sono partiti; purtroppo la situazione al traguardo, anziché migliorare come era previsto dal meteo, è andata peggiorando, in maniera irreversibile. E così è arrivata la decisione più sofferta: niente Plan, per questa volta, e arrivo anticipato al Passo Furcia, 5,5 km più a valle. Il Furcia, una salita non proprio morbida (qui Cunego vinse nel 2004), ma tutt'altro sapore rispetto a quello che tutti pregustavano.
La tappa, fatalmente, ne è risultata più che sminuita. Dopo i circa 80 km di fuga di Cioni e Poilvet, con la Saunier Duval a inseguire, ai piedi del Furcia i migliori erano tutti assieme. Pérez Cuapio ha dato fondo alle sue (ritrovate) energie e si è messo in testa a tirare un gruppo via via sempre più assottigliato. E via con le solite cronache di questi arrivi, che - un po' per volontà degli organizzatori (Maielletta, San Carlo, Bondone), un po' per colpa della neve (oggi) - stanno venendo tutti uguali nella lettura tattica.
Come da copione, e malgrado le sempre più flebili dichiarazioni battagliere delle partenze, tra i primi a perdersi c'è Di Luca, che all'inizio diceva di non essere ancora al massimo della condizione, ma strada facendo da quel massimo ci si è allontanato anziché avvicinarsi. E poi come di consueto si è spento l'ardore di Savoldelli, più mogio via via che passano i giorni, minato da un'allergia che non gli dà pace.
Stavolta, però, c'è la lietà novità di un Cunego non imballato come sulle ultime salite affrontate: sarà l'aria di vittoria che respira da queste parti, sarà che la crisi di pianto di ieri ha fatto sì che si sfogasse per benino e gli ha dato un minimo di serenità in più, sarà che qualche miglioramento, in effetti, lo sta facendo, sarà che la superiorità ormai più che conclamata di Basso lo libera dal tormento di dover essere alla pari del varesino, saranno tutte queste cose, fatto sta che Damiano resiste benino per un buon tratto.
Poi Pérez dà un'altra sgasata e il Piccolo Principe si stacca, ma non va alla deriva, stavolta resta in zona, addirittura alla fine sorpassa Simoni, che era più avanti di lui. È proponibile parlare di un Cunego che era in recupero e magari sugli ultimi km durissimi avrebbe fatto valere le sue doti (è pur sempre più scalatore di Basso)? Nessuno ormai può dirlo.
La lotta di vertice intanto era ridotta ai soliti noti: i Saunier contro Basso, con la presenza pertinace e ogni volta inattesa di Gutiérrez Cataluña: ogni giorno si dice che lo spagnolo salterà, ma lui è sempre lì coi migliori, avvinghiato a quel secondo posto su cui nessuno alla vigilia avrebbe scommesso un penny. Per quanto ci riguarda la scommessa è sempre valida, e cioé "Quique" perderà diverse posizioni nei due tapponi, anche se oggi ha pure piazzato lo scattino, lui che in teoria dovrebbe stare a ruota e sperare di non staccarsi.
I Saunier, allora: per l'ennesima volta, la terza su quattro, Piepoli è andato più forte di Simoni. Gibo non ha retto il ritmo di Pérez Cuapio, e ha dato ancora il via libera al suo compagno. Nonostante il passaggio a vuoto, il trentino guadagna in classifica la posizione che Savoldelli perde. Praticamente siamo al si salvi chi può, con Belli che oggi ha sofferto parecchio (anche lui) e con solo un uomo che è sempre al suo posto, che pare non essere toccato da nulla, tutto gli scivola addosso, ormai le sue imprese le ha fatte, ora non gli resta che controllare che non avvenga nessun misfatto, e poi si accontenta e se ne sta tranquillo senza nemmeno sprintare all'arrivo.
Quell'uno è Ivan Basso, secondo sul Furcia, primo-anzi-primissimo in classifica, inavvicinabile al punto che oggi Piepoli ha collaborato con la maglia rosa, anziché starsene a ruota (anche se aveva Simoni dietro): ciò significa che la Saunier voleva vincere un'altra tappa, e che per farlo ha dichiarato apertamente che non spera più di agguantare Ivan in classifica: ormai è chiaro, Simoni fa la corsa su Gutiérrez per il secondo posto, è vero che è un traguardo di retroguardia, ma è anche vero che, ad essere realisti, non ce ne sono altri a disposizione.
Un altro giorno è passato, uno dei più temuti (forse IL più temuto da Basso, che infatti ammette: "Su queste pendenze credo che Piepoli mi avrebbe staccato, se non fossero stati cancellati gli ultimi chilometri"); un giorno in meno manca alla fine, a Milano. È vero che ora ci sono altre tre tappe importanti (una difficile e due difficilissime), ma è anche vero che in giro, a parte ovviamente Basso, non pare esserci nessuno che possa fare la differenza. È questa la vera differenza.


Marco Grassi

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