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Dietro al Giro con il camper - Diario orario di otto giorni in rosa

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Da domenica 21 a domenica 28: 8 giorni, è matematica.
Ma qualcuno già era stato a Piacenza, qualcuno a Pontedera, qualcuno a Sestri Levante e qualcun altro a La Thuile.
Per quest'anno lasciamo stare l'opera magna di tutta la spedizione Cicloweb al seguito della corsa rosa per far spazio a questa specie di diario orario, un excursus degli 8 giorni in 24 ore.
Notizie, chiacchierate, indiscrezioni, o semplicemente emozioni, incontri, sensazioni.
Il Giro, insomma, visto dal camper di Cicloweb.it.

Ore 1.00
Martedì 23
- Incredibile ma vero, siamo arrivati in cima al Bondone! Fuori è completamente buio, se scendiamo dal camper vediamo solo un muro nero, ma la cosa è in sé davvero affascinante, anche perché se si alza il naso all'insù si vedono tante di quelle stelle come poche volte capita nella vita di ragazzi di città... Siamo giunti qui dopo un viaggio che sembrava eterno, e soprattutto dopo aver sapientemente "convinto" due municipali a farci salire in cima anche se la strada era chiusa. Accendiamo il generatore per far funzionare le cariche dei cellulari, qualche anima pia che capisce l'esigenza di non poter intasare il bagno esce alla ricerca di luoghi "appartati", e gli sguardi unanimi di tutti sentenziano: «Si mangia!!». E così, mettiamo sul fuoco una bella pentolona d'acqua e tiriamo fuori dal frigo il santo pesto del genovese del gruppo, il buon Seb. Bavette pronte a essere gettate nell'acqua, intanto la gente apparecchia, dobbiamo scavare fuori il posto per stare in otto, non c'è problema, stringiti tu, io mi sposto là... tutto è pronto, Marco scola la pasta, e il silenzio regna sovrano rotto solo dal rumore delle forchette... bavette e pesto (graditissimi!) all'1.30 di notte... e alla fine della settimana? Ceneremo alle 6 del mattino? Chissà...


E.M.


Ore 2.00

Domenica 28
- È sabato notte, praticamente, ma legalmente è domenica mattina: presto, molto presto. Così presto che è quasi tardissimo, essendo svegli da quasi ventiquattr'ore. La strada verso la Madonna del Ghisallo non è complicata, da Mazzo in Valtellina, e poi noi abbiamo un GPS umano che risponde al nome di Giuseppe, roba da far impallidire il Touring. Si deve seguire l'indicazione per Sondrio prima, per Lecco poi, e poi «per il Ghisallo, se c'è, oppure per Bellagio, o per Erba, insomma uno di questi cartelli Ma'». Guido io il camper, ma solo con le mani e con gli occhi. Il navigatore è Giuseppe, come già detto, ma la toponomastica lombarda non ci aiuta. Leggiamo "Valsassina", e siamo più contenti. Dopo poco Peppe si rende conto che, cardinalmente parlando, non sembra proprio la strada giusta: prende la cartina: «Vallassina, senza "s", 'cci loro!». Per una "s", quasi un'ora di strada in più, e allora si torna a Lecco, dove abbiamo letto l'ultima indicazione verso Bellagio: ci riproviamo, niente, stesso inghippo di prima. Decidiamo di fare la strada al contrario, e di andare verso l'unica direzione non segnalata: bingo! Dopo qualche chilometro, le indicazioni per il Ghisallo: la terza bottiglia di birra può essere bevuta Pe', te la sei meritata!

M.C.

Ore 3.00
Mercoledì 24
- "Toc-toc". Sentiamo bussare al finestrino del camper: «Ahi ahi, ragazzi qua dormono tutti, stiamo facendo troppo casino!». Prepariamo otto facce mortificate e apriamo il vetro: «I torinesi non dormono?», ci fa un simpatico signore per nulla indispettito. «Ho visto che avete ancora le luci accese e allora sono passato a far due chiacchiere»; fuori fa freddo, così facciamo salire il nottambulo straniero, che in segno di pace si presenta con due ottime bottiglie di vino. Un bianco ed un rosso, entrambi eccezionali. Si inizia a discorrere del più e del meno e Adriano, questo è il nome del nuovo amico, inizia a parlare della ragione della sua presenza sul passo Furcia: lavora per una Onlus da lui stesso fondata. Aiuta i bambini poveri dell'India; raccoglie fondi da donare alle Suore missionarie. E proprio in occasione del Giro vuole allestire un banchetto a bordo strada per "tirar su qualche euro". Il prode Mario sente puzza di bruciato, ma Adriano ribatte punto per punto alle obiezioni. Mostra lettere, ricevute, fatture, conti correnti: sembra tutto a posto. Chiacchierando, ormai il vino è finito e il sole bussa all'orizzonte di una nuova giornata. Adriano ci saluta e ci augura buonanotte. Noi ricambiamo, ma è già ora di andare a dormire?!

E.V.

Ore 4.00

Sabato 27
- Sto guidando da troppe ore per ricordare di preciso quante sono. E la strada percorsa è ancora poca. Faccio due rapidi calcoli: stiamo viaggiando a una media di 30 km/h!, più o meno come la tappa alla quale abbiamo assistito il pomeriggio passato. Fuori è tutto nero, e il mio "navigatore" non ha resistito al richiamo di Morfeo. Dorme beatamente nonostante le curve e la radio a palla per tenermi compagnia. Conto i chilometri passati e quelli che mancano per raggiungere il Passo del Tonale, quando all'improvviso inizio a vedere una parvenza di luce dagli specchietti retrovisori. Ad est è già l'aurora. Davanti a noi ancora il buio, che però tra qualche minuto inizierà a diradarsi. A pochi chilometri dalla cima riesco finalmente a scorgere il profilo delle montagne: è bellissimo, mi emoziona. Non pensavo che quassù fosse così bello. Non riesco a tenere questa gioia per me e sveglio immediatamente la stanca Elisa che a malapena apre gli occhi e annuisce. Oramai siamo in cima, però qui sembra una città! Riconosco tre "grattacieli": che tristezza. Piccola sosta per due motivi: il primo è fisiologico, il secondo è rosa ed è appeso in camera di Elisa! Di nuovo in macchina e giù verso la Lombardia. La strada è ancora lunga, ma arriveremo.

E.V.

Ore 5.00

Mercoledì 24
- Siamo ancora svegli. Già, i nostri orari ormai sono completamente sballati, inutile negarlo o provare a stupirsi. Ce ne stiamo seduti sparsi per il camper, freschi freschi di cena appena consumata, quando una mia domanda attira l'attenzione di tutti: «Ma che ci facciamo ancora qui?! Lo andiamo a vedere questo Plan de Corones o no?!». Silenzio. Fuori fa freddo, il cielo è coperto, minaccia di piovere. Gli occhi assonnati dei più sono una risposta più che eloquente. Per fortuna, assoldo un seguace, il mai stanco Euge, e, coperti al meglio, ci avventuriamo fuori. Il silenzio è rotto solo dalle folate di vento. L'aurora tinge di pennellate color violetto le nubi sopra di noi, con quella luce di primo mattino che dona a tutto un'atmosfera quasi surreale. L'inizio della salita è a poche decine di metri dal camper. Una striscia bianca e rossa preclude, almeno nelle intenzioni, il passaggio. Mi sento quasi una fuorilegge mentre la oltrepasso, e poggio i miei piedi sul tanto decantato sterrato ecologico del Plan (che più che sterrato sembra la rampa cementata di un garage...)... gli alberi che coprono i due lati della strada lasciano il terreno ancora in penombra nonostante il chiaro incipiente, ma una cosa è inconfondibile: il drittone davanti ai miei occhi si impenna verso l'alto, e un'unica scritta sul terreno, in rosso acceso, non lascia dubbi: "Qui inizia l'inferno". Un mostro addormentato, ecco cosa mi sembra. Domani (oggi, in realtà, ma noi dobbiamo ancora andare a letto...) qui ci sarà battaglia, qui si scriverà una pagina di ciclismo. Beh, non vedo proprio l'ora che questo inferno ancora assopito abbia inizio...

E.M.

Ore 6.00
Domenica 21
- Investito della carica di primo pilota del camper di Cicloweb mi accingo, in compagnia di Enula, a raggiungere Torino, dove si trovavano ad attenderci l'autoctono Eugenio, la bella "mula" Elisa e il genovese Sebastiano. Sveglia alle 5 per sfruttare la disponibilità del papà di Enu e le coincidenze ferroviarie da Bergamo, per Torino, via Milano. Orari non comodissimi, ma per il Giro questo ed altro!
Partenza al fulmicotone, con attraversamento della Val Seriana ad alta velocità e arrivo in stazione FS di Bergamo con un sincronismo auto-treno da far invidia alle ferrovie svizzere.
Partiamo, siamo entrambi eccitati all'idea di rivedere i nostri amici, memori della fantastica esperienza rosa dello scorso anno, inoltre io mi sento molto responsabilizzato dal dover guidare per la prima volta un camper.
Due treni regionali in perfetto orario, strano, e un fantastico Eurostar nuovo di zecca anch'esso puntualissimo; scendiamo a Torino Porta Susa, ma manca il Vittone!
Qualche minuto dopo Eugenio arriva a prelevarci con la macchina, passiamo a riempire la tanica di benzina per il generatore e poi via, verso casa sua. La nostra carovana non è ancora partita ufficialmente, faccio qualche manovra con il camper per prendere confidenza con mezzo e misure del "bisonte" e lo parcheggio davanti a casa, per consentire alle donne della comitiva il carico di cibarie e suppellettili varie, come solo loro sanno fare!

A.S.

Ore 7.00

Sabato 27
- Torino-Domodossola, Mergozzo-Brescia, Brescia-Monte Bondone, Monte Bondone-Plan de Corones, Plan de Corones-Dobbiaco, mi mancava il vero tappone di montagna alla guida del camper: San Pellegrino-Mazzo di Valtellina.
Partiti alle 23 dal Passo che segna il confine tra Veneto e Trentino, avevamo già affrontato il Tonale ed eravamo all'imbocco dell'Aprica: dopo 8 ore di viaggio, di cui ormai 3 continue, il sonno cominciava a farsi sentire, ma non volevo chiedere il cambio, perché i miei amici dietro dormivano e al mio fianco rimaneva il solo Giuseppe a farmi da fido navigatore.
Per cui avanti, scaliamo l'Aprica. "Scaliamo", che parolone: «Andre', qui non ti staccheresti nemmeno te!», mi sussurra Beppe. Effettivamente la strada sale, ma non in modo irresistibile, quasi come il sonno che cerca di sopraffarmi, ma che continuo a tenere a distanza.
Fortuna che il nostro "bisonte della strada" è dotato di un discreto impianto Hi-Fi, che ci permette di ascoltare per l'ennesima volta lo stesso Cd a base di Ligabue & 883, solo che dopo tanta strada e tante ore la lucidità lascia il posto alla pazzia che ci fa cantare a squarciagola i pezzi più famosi dei due cantautori italiani. Fortunatamente le tendine che dividono la cabina di guida dall'abitacolo sono abbastanza pesanti da non far svegliare gli altri, cosa di cui ci sarebbe comunque importato poco, considerando che noi eravamo davanti attenti alla strada e loro erano dietro a poltrire.
Proprio sotto quello che il giorno dopo sarebbe stato lo striscione d'arrivo, Giuseppe, da buon romano, tenta di proporre un "cornetto e cappuccino", ma il nordico Euge, dall'ammiraglia, declina e tira dritto. Ormai è tutta discesa fino a Mazzo, anche se la strada ci riserva ancora qualcosa che avrebbe potuto essere tragico.
All'uscita di una curva incrociamo un camioncino che sale ad alta velocità, nemmeno il tempo per rendermi conto che mi sarebbe potuto venire addosso che sento un fortissimo botto e uno stridere di metallo sull'asfalto. Istintivamente tolgo il piede dall'acceleratore, Giuseppe mi chiede cosa sia successo, guardo lo specchietto retrovisore e vedo la benna di una ruspa scivolare in mezzo alla strada, seguita dalla sponda del cassone.
Il camion aveva perso buona parte del suo contenuto e se fossimo arrivati in quella curva solamente un attimo dopo, saremmo stati investiti in pieno... meglio non pensarci troppo, lo stereo suona "Rotta per casa di Dio" e noi ci accodiamo più o meno stonati, verso quello che per molti ciclisti è il crocevia fra inferno e il paradiso: il Mortirolo.

A.S.

Ore 8.00

Mercoledì 24
- Le 8.30, in verità, appena due ore dopo esserci addormentati, con qualche problema di freddo, in cima al Passo Furcia. Un piazzale, anche un po' fangoso per via della pioggia, sotto una seggiovia, in mezzo ad altri camper, venti metri sotto l'inizio del Plan de Corones. Qualche ora prima le chiacchiere con Adriano, una sorta di predicatore pro-India, e qualche buon bicchiere di vino avevano fatto da contorno ad una succosa serata. Poi, alle 8.30, i "toc toc" alla porta ed alle finestre del camper: «Chi è?», chiedo, e poi mi riaddormento. Me lo racconterà poi Enula, perché io non lo ricordo. Fatto sta che ribussano, e stavolta mi alzo. «Ci spiace, ma c'è da spostare il camper perché questo è il posteggio adibito per la stampa e per l'organizzazione»: sono i carabinieri al seguito del Giro, e il risveglio non è dei migliori. Spiego loro che siamo giornalisti, che abbiamo tutti il pass, ma - in primis - mi fanno vestire per spostare quantomeno la macchina (la nostra ammiraglia al seguito). Scarpe indossate, occhi semiaperti, e macchina spostata. Prendo un po' di freddo per spiegare che, insomma, il camper proprio non lo spostiamo, a quell'ora del mattino, rischiando di non trovare più posto. I carabinieri hanno buonsenso, fanno spostare solo le auto. Arrivano le auto dell'organizzazione, che a fine tappa si ritroveranno in un pantano. Io ed Andrea, su tutti, torniamo a dormire dopo la notizia della cancellazione del Passo delle Erbe: abbiamo un Plan da scalare, e un camper da portare a Gemona.

M.C.

Ore 9.00

Mercoledì 24
- Non c'è che dire, proprio una levataccia! Qualcuno prova ad addormentarsi di nuovo come se quello appena passato fosse stato solo un brutto sogno, raggiungendo chi, nonostante tutto, da quei sogni, i propri, non si era mai svegliato. Alcuni, solo pochi, restano invece a parlare, sommessamente, alternando qualche biscotto con i molti sbadigli di un sonno che pian piano cominciava a tornare. Apriamo le finestre, nella speranza di venir illuminati da un sole che, pure se pallido, avrebbe dato speranza a chi, come tutti, attendeva questa salita da mesi. Niente da fare, niente sole. La pioggia, mista a neve, cominciava a scendere in modo impercettibile, ma alzando gli occhi era facile prevedere che non sarebbe stata una nuvola di passaggio. «Torniamo a dormire dai, magari al risveglio la situazione sarà migliorata», anche se gli occhi delusi di molti di noi erano i primi a non dar credito ai nostri auspici. Ed ecco, è in quel momento che ho pensato: "Peppe, se non sali ora potresti svegliarti con la notizia dell'annullamento della scalata finale, potresti non salire più". E spinto più dall'adrenalina per non perdere un'occasione così speciale che da un fisico già debilitato dall'irrisorio riposo, ho caricato il mio zaino, chiuso la zip ai miei tre maglioni e salutato in fretta e furia quei pochi che erano rimasti ancora in piedi. Sì, in fretta, perché sapevo che se mi fossi fermato a ragionarci un attimo avrei di sicuro cambiato idea, ed il display che appena fuori dal nostro camper segnalava -1°C non era altro che la conferma del mio folle volo. Ma sapevo che lassù, sulla cima di quel panettone avvolto in mezzo a nubi minacciose, la grande festa aspettava solo me.

G.M.

Ore 10.00
Lunedì 29
- Torino: Eugenio, il papà, Giuseppe ed io ci apprestiamo a riportare il camper al salone di noleggio. Giuseppe è in macchina con Euge, io guido il camper con Vittone senior accanto: si scambia qualche chiacchiera sulla guidabilità di un bestione simile, sulla viabilità di Torino, sul tempo del Plan de Corones e su quello a La Thuile. Svolta a sinistra, becco un semaforo rosso in pieno: incredibile, 8 giorni senza pecche (o quasi) e quasi all'ultimo poteva succedere il patatrac. Successo niente, meglio così. Il tipo del noleggio camper è misterioso, squadra il camper in lungo e in largo, poi se ne esce con frasi del tipo: "Questo bozzo già c'era?", riferendosi al paraurti posteriore, oppure: "E questo graffio?", rivolgendo lo sguardo alla carena sulla tenda, per finire poi con un: "Questa serratura è forzata!" che, lo diciamo da esseri umani, già ci stava invogliando a rifilargli un cartone sul muso. «Avevamo le chiavi, che bisogno c'era di forzare la serratura?», chiedo con un tono un po' serafico. «Controlliamo, se erano cose che già c'erano, nessun problema». Tana per il noleggiatore: voleva vedere se cascavamo in qualche confessione. Giammai. I segni già c'erano, ne eravamo sicuri. Paghiamo il saldo del noleggio e ce ne andiamo. «Che pollo - dico agli altri - dei graffi sullo specchietto destro non se n'è accorto...».

M.C.

Ore 11.00

Martedì 23
- Apro un occhio: tutti dormono. No, non tutti: Seb è di fronte a me e mi fissa annoiato e più sveglio che mai. Bene, allora non sono l'unica mattiniera stamani. «Ma che ore sono?», chiedo: le 11, e il sole filtra dalle fessure della tenda, fuori sentiamo il vociare della gente che affronta la salita, ma dentro tutti sembrano irrimediabilmente rapiti dalle spire di Morfeo. Basta, non riesco più a stare qui zitta e ferma: usciamo! Ci vestiamo in silenzio e scivoliamo fuori dal camper. Attorno a noi distinguiamo quella che la sera prima era solo un'oscurità indefinita: un piazzale pieno di camper, tanta gente che sale o fa pic-nic, dei prati scoscesi, alberi, fiori... andiamo in esplorazione. Il sole c'è, altro che previsioni del tempo nefaste. Una pista da sci, anche se coperta d'erba, passa proprio a fianco del nostro parcheggio: da bravi amanti di questo sport invernale, andiamo a esplorarla. Non c'è quasi nessuno qui, solo piante e fiori, tantissimi fiori... lilla, gialli, bianchi, mai visti, non li conosco, ma sono stupendi, e meritano ognuno una bella fotografia. La giornata si preannuncia splendida. Attorno a noi tante montagne a perdita d'occhio e nuvole sparse. Siamo sulla prima salita del nostro Giro, chissà cosa ci aspetterà oggi... ehi, ma finalmente il camper laggiù dà segni di vita! C'è una tenda aperta...Sarà meglio tornare, sennò qui moriamo di fame!

E.M.

Ore 12.00
Domenica 21
- Non sembra vero ma è così: tra pochi minuti partiremo per la nostra avvenuta rosa, e gli ultimi preparativi fervono. Io e l'altra donzella della compagnia, Enula, siamo a bordo del nostro camper, parcheggiato ancora a Torino, e decidiamo per un'organizzazione ferrea e tipicamente femminile di tutto quanto stiamo stivando sul veicolo: altrimenti, con sei maschi in otto metri quadri rischieremmo di impazzire. Da fuori, Euge, Andrea e Seb ci passano tutti i vari pezzi di spesa e di pentolame, valigie e quant'altro, e le cose da sistemare sembrano non finire mai... siamo emozionate come bambine al primo giorno di scuola aprendo tutte le varie porte e i vari scaffali del camper, per non parlare dei vani del minuscolo bagno: «Sì dai, il dentifricio mettiamolo qui, sembra fatto apposta...!». Troviamo un posto a tutto, ordinando le cose per bene. Impartisco anche qualche lezione di terminologia triestina, giusto per preparare il terreno a una settimana di dialetti misti. E quando i ragazzi mettono piede sul mezzo...: «Alt! Tutti seduti, e aprire le orecchie, qui ogni cosa ha il suo posto e ogni posto la sua cosa, il primo che sgarra se la vedrà con noi...!». Sì... pia illusione!

E.M.

Ore 13.00

Venerdì 26
- Oggi mi sento quasi a casa, siamo sulle mie Dolomiti, sulle salite che ogni anno passo a scalare in bici e a scendere sugli sci. Comprensorio Dolomiti Stars, ebbene sì, mai vista nessuna catena montuosa più bella. Ma bando alle ciance, oggi si prospetta una giornata di grande ciclismo e noi non possiamo farci trovare impreparati, ma soprattutto non possiamo farci trovare a stomaco vuoto col rischio, a pochi metri dall'arrivo, di non riuscire a sostenere i nostri beniamini.
Per cui sveglia presto, oddio... prima del solito, ma comunque ad un orario decente, ovvero quando i camper attorno al nostro hanno già le tavole imbandite per il pranzo!
Il mio problema numero uno è mangiare, istinto animale da secoli, in questo caso condito dal desiderio di non voler assolutamente mangiare pasta, ma le salsicce che la gentilissima mamma di Elisa ci aveva regalato il giorno prima a Gemona.
Euge ha il mio stesso pensiero e mi invita a seguirlo all'ammiraglia per prelevare barbecue e generatore di corrente. Prima brutta notizia di giornata, il motore del generatore si accende regolarmente, ma di produrre energia elettrica non ne vuole sapere. Accantoniamo quindi l'idea di produrci corrente in maniera autonoma, mandando Mario, lo scroccone dalla faccia di bronzo, a implorare al bar dell'albergo una presa di corrente a cui collegare una ciabatta con a cascata tutti i nostri apparecchi.
Risolto il problema energetico, il prode torinese ed io ci gettiamo a capofitto in quello, ben più serio, degli approvvigionamenti alimentari. Da fuochista navigato animo in poco tempo la carbonella, combattendo con il forte vento che si era appositamente levato per disturbare il nostro operato. Euge prepara le salsicce e i wurstel, pranzo da far invidia al Kaiser, me li passa e io li sistemo sulla griglia, mentre il calore del barbecue fa il suo lavoro ed i miei compagni di viaggio apparecchiano un improvvisato banchetto alle mie spalle.
La carne è pronta, la tolgo dal fuoco e la serviamo in tavola nei piattini di plastica, materiale maledetto che di li a poco mi avrebbe fatto cadere addosso dell'ottimo succo di frutta all'arancia rossa su maglietta gialla, che sarebbe finita al ritorno a casa direttamente nel cestino della spazzatura per le irrimediabili macchie riportate, ma l'importante era riempire lo stomaco, in qualsiasi modo e a qualunque costo.

A.S.

Ore 14.00

Sabato 27
- Dio santo, se questa è dura. Avevo sentito parlare del Mortirolo, ma credevo che dopo aver fatto il Plan de Corones nulla mi avrebbe mai spaventata. Quanto mi sbagliavo. Non molla mai, mai, mai... le gambe non fanno molto male, ma il fiato quello sì che lo sento mancare, sento il cuore che batte a mille, lo sento nelle orecchie... 'sti ragazzi tengono un ritmo infernale, «...ma dài, rallentiamo no?!». No, niente da fare... ah, ma io mica glielo dico che voglio fare una pausa, mica voglio passare per la piattola del gruppo, io... che stanca!! Però qui vale davvero la pena tutto. La gente che sale è tantissima. Ogni ciclista che ci supera merita tutti i nostri incitamenti, e risponde con un sorriso. Tranne uno che riesce a dire: «Facile eh, salire a piedi!». Macché facile, pazzo! Qualcuno chiede supplicante una spinta... i ragazzi rispondono scherzando: «Ma poi ti squalificano!», e penso che il sorriso di risposta del ciclista in questione sia proprio amaro. L'unica a ricevere la tanto sospirata spinta è una pulzella, che caso! Brava, più brava di tutti, però. Gli striscioni sono davvero tanti. Alcuni invitano a fermarsi a mangiare una costina e a bere un bicchiere di vino, e la tentazione è proprio tanta. Altri, la maggior parte, sono per lui, quello che non c'è fisicamente, ma che è nel cuore di tutti: Marco, "il Pirata". Finalmente troviamo un tornante dove fermarci, ai 4,5 km di ascesa... finalmente, Deo Gratias, non si sale più!! Il sole picchia forte, si fa amicizia con i vicini, e si riempie l'asfalto con gli incitamenti al nostro beniamino speciale: "Animo Ruben!". Eh sì, proprio animo ci vuole, per una salita così... animo come coraggio, ma animo anche come capacità di respirare ciclismo attraverso tutti i pori come stiamo facendo noi...

E.M.

Ore 15.00
Domenica 21
- Il primo che vediamo, Giuseppe ed io, è Eugenio. Stazione di Domodossola, qualcosa come 7 ore di treno, da Roma. Eugenio è con la macchina, sarà l'ammiraglia al seguito del camper; andiamo incontro, una volta arrivato Sebastiano, ad Andrea, Enula ed Elisa, che han parcheggiato il camper qualche curva più in là. Abbracci e baci, non ci si vede da una mesata, e con qualcuno anche da più tempo. Si sistemano le valigie, si piazzano per bene gli striscioni di Cicloweb.it sui vetri laterali del camper, e poi si va. È già un po' tardi, incontriamo Cascata del Toce ed Ely, e ci piazziamo a 100 metri dall'arrivo, anche se potremmo star dentro. Le prime chiacchiere "da redazione", in attesa di Marco che arriverà domani. Eh sì, è iniziata l'avventura.

M.C.

Ore 16.00
Lunedì 22
- «Dài, ancora avanti, un altro metro e siamo a posto»; non è mai facile parcheggiare un energumeno di quelle dimensioni, per di più nel pieno centro di una città, a Brescia. O almeno lì pensiamo di trovarci, dopo esser andati a naso seguendo quel castello vicino a cui avevamo letto che ci sarebbe stato l'arrivo. Scendiamo alla svelta e cominciamo ad orientarci alla meglio: «È l'arrivo del Giro, qualche indicazione ci sarà». Ed invece nulla, solo lunghi vialoni isolati che non hai idea di dove ti conducano. Chiediamo, tocca fare in fretta, visto che non sapevamo neanche quanti chilometri separano i girini dalla città lombarda. Finalmente, al secondo tentativo, arriva la soffiata giusta: «Continuate su questa via ed incrocerete il rettilineo d'arrivo, non prima di un buon quarto d'ora però». Non possiamo permettercelo, dobbiamo far prima, ed allora il passo diventa sempre più svelto, il respiro sempre più corto ma l'adrenalina sempre maggiore. Una radio ci rasserena un pochino: "Venti km all'arrivo!". Rallentiamo, cominciamo a vedere i primi striscioni, le transenne, ed eccoci, finalmente, sul vialone finale, a quasi un chilometro dal traguardo, però. Affrettiamo di nuovo il passo, come una sorta di corsa virtuale con i ciclisti; salutiamo alla buona chi ci riconosce e chi da quel viale comincia a vivere questa fantastica avventura. Abbiamo i pass, entriamo, ma Andrea ed io non riusciamo a portarci più avanti perché stanno già passando le prime vetture delle direzione di corsa. Siamo là, insieme ai fotografi, a più di 100 metri dalla linea del traguardo, ma siamo felici lo stesso perché coscienti di avercela fatta, di aver vinto il nostro sprint virtuale. Ed infatti, pochi minuti dopo sarà volata, sarà Bettini.

G.M.

Ore 17.00

Venerdì 26
- Siamo troppo sfasati. Finiamo il pranzo (pomeridiano) velocemente, ci imbacucchiamo, indossiamo tutti la maglietta di Cicloweb e quasi in ritardo ci avviamo verso la salita di San Pellegrino. Attenzione però, melodie famigliari mi fanno drizzare le orecchie: il suono proviene da uno stereo a tutto volume piazzato fuori da un hotel. Il Bepi! Mi avvicino di soppiatto e trovo i fan di Savoldelli, miei compagni di indimenticabili avventure. Vado loro incontro in compagnia di Elisa, ma prima le sussurro: «Credo che abbiano bevuto troppe birre, non mi riconosceranno», mi sbagliavo: ci accolgono più festosi che mai, con calici ed abbracci. Li immortaliamo, così folkloristici ed impavidi - alcuni di loro sono in canottiera! - in qualche scatto di pellicola, poi ci congediamo e riprendiamo la camminata che ci sta conducendo nel vivo della corsa. Le ali di folla tutt'intorno alla strada, che attendono dal giorno prima il passaggio dei corridori, accolgono anche la nostra combriccola. In effetti siamo carini, tutti vicini con la magliettina uguale. Lo constatiamo percorrendo al contrario gli ultimi tratti della tappa. Dei tifosi di Pellizotti, giunti direttamente da Bibione, ci fermano e fanno le foto al nostro gruppo. Poi una voce femminile ci chiama: è Violetta! Ci fermiamo a salutarla, finalmente la conosciamo di persona. Molti scambiano noi due ragazze per miss al seguito della carovana e ci chiedono gadget, magliette e quant'altro: rispondiamo a tutti con un sorriso. Alcuni ci incitano, attraverso un altoparlante, a lanciare un saluto. Che trambusto... dopo tanta insistenza, imbarazzate, facciamo loro un cenno con la mano: i tifosi ringraziano soddisfatti. Dopo mille episodi simili, arriviamo in un punto che piace a tutti. Siamo ai 1500, ci appostiamo qui ad aspettare i nostri eroi. Nell'attesa, facciamo nuovi, piacevoli, incontri ravvicinati. Fisico da atleta, sì, ma da calciatore, completo da Ciclowebbista doc, scarpe da bici che gli intralciano la camminata, sguardo di chi ti conosce da una vita, un po' sfatto dopo aver appena percorso qualche memorabile salita, ecco Zillo dinnanzi a noi! Ci dà un caloroso saluto poi se ne torna più in basso, alla postazione dei suoi amici. Ad un certo punto poi sbuca un altro ciclista con la nostra divisa. Ci urla: «Ciaooo!!», ma non si ferma, nonostante le nostre sollecitazioni. Mentre sta per scomparire dalla nostra visuale, inglobato dalle ali di folla, facciamo in tempo a strillare: «Dicci almeno chi seiii!?!» e lui, per tutta risposta, visibilmente stanco: «Indovinate!».

E.B.

Ore 18.00
Giovedì 25
- Elisa ed io andiamo in sala stampa, a Gemona del Friuli, dopo la tappa: io devo scrivere la pagina del focus di Simeoni, Elisa ha da scrivere la pagina di ieri del diario di Lobato ed in più ha da fare un ritratto della gente friulana, della gente di Gemona, della gente che s'è stretta al ricordo della tragedia del terremoto. Andiamo in macchina, sono ormai le 18.15, e con Andrea abbiamo scommesso che in un'ora saremo di nuovo lì, in quel parcheggio, pronti per salpare verso il San Pellegrino. Parcheggiamo l'auto, Elisa va alla Posta, io inizio a salire, piazzo il portatile di Euge sulla scrivania, lo accendo, intanto cerco l'alimentatore per ricaricare la batteria del pc; tasca davanti, vuota; tasca laterale, fili, ma niente alimentatore; tasca posteriore, doppino del telefono, microfono, ma dell'alimentatore neanche l'ombra. Sciagura. Me tapino. Arriva Elisa, l'avviso. Si scurisce il viso: «Dov'è?». Bella domanda, chiamo Eugenio: «No, in camper non c'è». Buio. Cerco meglio nella borsa, poi mi chiama Giuseppe: «Ma', non è che te lo sei dimenticato ieri su a Plan de Corones? Quella scatoletta nera che ti avevo detto...». Boom. Disgrazia. Mi faccio passare Euge, gli chiedo preventivamente scusa, poi passo al setaccio l'ufficio stampa di Rcs per chiedere se qualcuno - magari - avesse trovato un alimentatore abbandonato su una scrivania. Alimentatore nero su scrivania bianca. E io non l'ho visto. Spegniamo il pc, torniamo al camper. Da oggi, e-mail col telefonino: almeno quello, anche senza il mio cervello, funziona.

M.C.

Ore 19.00

Domenica 28
- Laggiù stanno festeggiando, c'è il podio, la festa, i colori e gli applausi... ma noi abbiamo una missione importante da compiere: Euge, Seb ed io ci sentiamo particolarmente "alternativi" mentre, unici nella folla, corriamo in direzione opposta al podio premiazioni. La nostra meta: il camper della Saunier Duval. In mano abbiamo la maglietta di Cicloweb, omaggio che vogliamo tributare al nostro diarista di questa edizione della corsa rosa, il simpaticissimo Rubén Lobato, diventato un beniamino per tutti i ciclowebbisti, e non solo. Quando arriviamo al camper lui non c'è ancora, e dopo pochi minuti compare, sudato e stanco, ma sorridente come sempre. Ci vede e ci viene incontro: «Avete visto che ero sempre in fondo? Così la telecamera mi riprendeva tutto il tempo!» scherza con noi. Quando gli mostriamo la maglia si squaglia... ride, fa qualche battuta, è felice. Un piccolo pensiero da parte nostra, così tanto gradito. Ma non basta: «Fatti fare una bella foto con la maglia», lo invitiamo e lui: «Sì, certo - e, girandosi dall'altra parte chiama: - Litu!!». Ecco che arriva Ángel Gómez, l'alter ego di Rubén, il compagno di camera che la sera non poteva dormire perché «quando parla al telefono questo qui urla!», si mettono in posa, sorridono, fatta la foto, e ringraziano: sì, ringraziano, loro, quando saremmo noi a dover dir loro tante grazie, per la pazienza, per la disponibilità, per aver portato a termine un Giro da gregari senza troppi onori e gloria, ma ugualmente con tanto entusiasmo. Non finisce qui, Rubén chiede che gli firmiamo la maglia... la gente attorno è divertita, non si è mai visto un corridore che chiede ai tifosi di firmare la maglia, ma tant'è...: «Ora devo andare, ho l'aereo tra poco». Grazie Rubén, alla prossima.

E.M.

Ore 20.00

Mercoledì 24
- Giuseppe ed io in sala stampa, a far finta di fare i bravi giornalisti, qualche centinaio di metri più in alto. Gli altri, i restanti, vanno a vedere "TGiro", rotocalco delle tre settimane rosa condotto da Fabretti, col commento tecnico di Gigi Sgarbozza. Ebbene, i nostri impavidi amici sfidano il freddo della sera sul Passo Furcia con le mezze maniche delle nuove maglie da ciclista di Cicloweb.it. Su tutti, la bionda Elisa, unica donna a far da contorno al pubblico della trasmissione. Viene fatta mettere in prima fila, accanto a lei il prode Eugenio, entrambi inquadrati perfettamente: Elisa se ne accorge, colpo di reni - alla McEwen - e logo Cicloweb.it in bella vista. Evvai!

M.C.

Ore 21.00

Sabato 27
- La camminata su e giù per il Mortirolo non è mica stata facile, e dopo una giornata così intensa sapere che ci aspetta una cena a casa di un amico è quel che di meglio poteva starci: Guido, alias ProfRoubaix, ci viene incontro in bici da corsa e completino ciclowebbistico lungo la discesa verso Mazzo, e ci sta a fianco, chiacchierando con noi, fino giù alla Chiesa dove è parcheggiato il camper. Ci dice: «Ora vado, voi preparatevi, vi aspetto a casa mia, subito». E anche noi sulla casa viaggiante ci spostiamo a Grosio, per raggiungerlo. Ad accoglierci, la sua famiglia al gran completo. Stasera si cena in 12! Per noi non esistono problemi, abituati come siamo a rimpicciolirci in pochi metri di camper... ma per loro? Cerchiamo in qualche modo di renderci utili, apparecchiando, affettando il salame. Siamo affamati e la cuoca (la moglie di Prof) ci delizia con una super portata di autentici pizzoccheri valtellinesi, divorati in pochi minuti. La bimba di Guido ci osserva con sguardo attentissimo, determinata nell'imparare i nomi di tutti quei ragazzi con la maglia con le banane. Vuole sapere anche io mio: «Mi chiamo Enula!»; qualcosa non le quadra. Ci riflette molto, vuole approfondire l'argomento. «Enula? Il nome di un fiore? Dài, diciamo tutti i nomi dei fiori che conosco. Rosa, Margherita, Dalia...», a questo punto corruccia la fronte: «Mamma, non capisco, allora qualcuno si chiama Papavero?». Decisamente intraprendente, per aver appena cominciato la scuola materna. I discorsi ciclistici abbondano ma non stancano, e quando ormai dobbiamo andarcene la telefonata di Morris intrattiene Mario e Guido ancora per qualche tempo. Ringraziamo di cuore per l'amicizia e l'ospitalità, dobbiamo partire, è tardi, ma anche oggi ci siamo riempiti i polmoni di amicizia ed emozioni speciali.

E.B.

Ore 22.00
Mercoledì 24
- Siamo di ritorno dal Plan de Corones e nessuno, questa volta, ha voglia di cucinare. Qualcuno pronuncia la parola "pizza", suscitando un promettente gorgoglío nelle nostre pance. In pochi istanti è deciso: «Si va in pizzeria!!». I nostri occhi quasi luccicano, nel sederci in quel caldo, rustico e accogliente locale tirolese. Ci sentiamo sollevati e sfogliamo avidi il listino con le pizze. Gli aromi culinari che aleggiano in sala ci fanno per un attimo dimenticare l'angustia del camper, e anche il vissuto della giornata invernale sul Furkel Pass e in cima al Plan si tramuta in ricordi, si chiude nel cassetto più prezioso, e quando rievochiamo gli istanti trascorsi lassù ci sembra di volare nello spazio e nel tempo. Il cameriere prende le ordinazioni con spiccato accento altoatesino, ridiamo della nota stonata che unisce la pizza a questi quasi-tedeschi, ma la fame è troppa e la pizza la vogliamo, non importa come, dove e perché.

E.B.

Ore 23.00
Giovedì 25
- Finalmente arrivati. Iniziamo a salire sul San Pellegrino, stavolta almeno siamo certi che la strada non sia chiusa, anche se davanti a noi c'è un camper che procede ai 20 all'ora e ci costringe a frenare e scalare marcia ad ogni tornante, irritando in maniera pruriginosa Mario alla guida, e me che stasera ho l'onore di fargli da navigatore. Qui davanti nell'abitacolo è bellissimo, perché le luci del vano abitabile del camper non disturbano, e si può vedere tutto il paesaggio che ci circonda. La cosa che stupisce è la quantità di gente che c'è sulla salita, via via sempre più numerosa, camper, tavolini, barbecue, striscioni, luci accese a testimoniare che nessuno dorme... ad un certo punto davanti a noi si apre una radura pianeggiante (siamo a circa -2 dalla vetta, poco più). Qui lo spettacolo è incredibile, mai vista una cosa del genere in vita mia: ci saranno decine di migliaia di persone, tendoni allestiti da improvvisati buffet, c'è da bere e da mangiare a volontà, e soprattutto c'è musica a tutto volume, gente che balla, che canta, che salta, chi più o meno brillo, chi più o meno scatenato. Una festa in pieno stile, la gente del Giro che fa baldoria prima del tappone del giorno dopo. È questo che tutti noi ci aspettavamo di trovare sulle salite, e che di solito non trovavamo, o almeno non in queste proporzioni: dispiace solo che il posto per il nostro camper lì non c'è, dobbiamo fermarci su in cima, e la stanchezza è davvero troppa per scendere e mescolarsi alla folla. Ci consoleremo con l'altrettanto grande festa, ciclistica stavolta, del giorno dopo...

E.M.

Ore 24.00
Giovedì 25
- Una lunga fila di camion ci conduce fino al confine, dove abbiamo valutato sia meglio dormire. Sondiamo il posto, è ok, ci torneremo. Ma prima dobbiamo assolutamente riempire il cassone dell'acqua del camper, dobbiamo lavarci; la giornata del Plan ci ha regalato tante emozioni, ma anche tanta stanchezza. Non si trova nulla, un ambiente quasi fatato di un ordine ed una pulizia che mai avevo visto prima. Continuiamo, qualche minuto ed ecco un fiume, la Drava, non uno qualsiasi, ed una piccola località di montagna arroccata su quelle rive ci invita a svoltare a destra, in cerca di una fontana. Eccola lì, ai margini di una piazza linda come il pavimento di casa, col solo rumore di quello che è ancora un piccolo ruscello che si affretta a scendere a valle. Scendiamo, in silenzio, o almeno tentiamo. Proviamo a montare il tubo, ma non prende: il collo del rubinetto è troppo grande. Panico. Cerchiamo di bloccarlo facendo pressione con le mani, ma non va, perde ancora, è tutto inutile. Ci resta solo un'ultima soluzione, che mai avremmo sperato di dover sperimentare proprio là, con quel freddo, tra quella quiete. Scoliamo in fretta alcune bottiglie d'acqua e quant'altro ed iniziamo a caricarle, a turno, con perfetta sincronia, per svuotarle nel cassone e riportare il sorriso in gruppo. Cinque, dieci, venti volte a testa, più di cento litri in neanche mezz'ora di frenetico andirivieni fino a quando Euge ci dice «Stop, il lavoro è terminato», ci sono borracce per tutti. È duro il lavoro del gregario, ma non c'è gioia più grande che render felici coloro che meritano. E noi meritavamo, tutti.

G.M.


I ragazzi di Cicloweb.it

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