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CI MANCHI... ci manchi... - Velo: «Quanta ipocrisia sul Pirata»

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Nel giorno che segna l'anniversario della scomparsa dell'amatissimo Marco Pantani, abbiamo sentito uno degli uomini che gli sono stati più vicini, sia in sella a una bicicletta lungo le cavalcate più memorabili della carriera di Marco, sia nei momenti, piacevoli o bui, della vita privata. Marco Velo, direttamente dalla Spagna, dove festeggia la seconda vittoria stagionale di capitan Petacchi nella Vuelta a Andalucìa, ci racconta il "suo" Marco, tra il dolore della mancanza, i misteri mai risolti e, soprattutto, i ricordi indelebili che il campione romagnolo gli ha regalato.
14 febbraio, il giorno di San Valentino. Com'è cambiato per te questo giorno tipicamente di festa?
«È cambiato nel senso che è diventato il giorno in cui è morto il Panta, e quindi per me è una giornata negativa. Ricordo che quella sera stavo andando a cena, mi ha telefonato Manuela Ronchi, per dirmi che Marco era morto. Non ci volevo credere, ovviamente ho interrotto la cena e sono corso a casa. Non potevo credere che avesse fatto quella fine. Sono stato suo amico per 4 anni, abbiamo trascorso assieme dei momenti bellissimi, tra cui le vittorie al Giro e al Tour del '98, e quelle al Giro del '99. Eravamo molto in sintonia, andavo spesso a casa sua anche nel periodo post-Campiglio, sperando di convincerlo a tornare in bici e ad allenarsi. Ero anche molto in amicizia con la famiglia, e lo sono tutt'ora, li sento ogni tanto. Sì, oggi è un giorno triste, in gruppo torniamo spesso su questo discorso, e oggi lo abbiamo ricordato. Petacchi infatti ha dedicato la sua vittoria a Marco...».
Torniamo a quei giorni di Campiglio. Come era visto Pantani dal gruppo?
«Molti corridori in quel Giro chiesero a Marco di fare da portavoce del gruppo nella questione sui controlli antidoping che vedeva contrapposta la Federazione all'Uci. Ricordo che in una delle prime tappe, quella che arrivò a Foggia, giunsero molte telefonate in camera di Marco di diversi corridori che gli chiesero questo. Gli stessi poi si tirarono indietro. Noi eravamo già sottoposti ai controlli dell'Uci, che poteva effettuarli ogni volta che voleva, ed era assurdo che qualsiasi persona potesse svegliarsi una mattina e decidere di farci altri controlli. Sinceramente però non credo che questi fatti siano collegati a quanto successe dopo».
Quindi tutto ha a che fare con la mattina dei controlli?
«Quella mattina del 5 giugno fui controllato anch'io visto che ero decimo in classifica e venivano controllati i primi dieci. Quel controllo non era una sorpresa: si sapeva che saremmo stati controllati alla partenza dell'ultimo tappone alpino. Proprio da qui partì il disappunto di Marco: era qualcosa di assurdo sapere in anticipo di questi controlli, e avere l'idea di non presentarsi puliti. È come se sai che in autostrada a un certo punto c'è l'autovelox e acceleri. Da lì nacquero tutti i dubbi e le incertezze di Marco. Non posso dire se il suo controllo fu regolare o meno, dal momento che non ero presente: il mio di certo lo è stato, non posso dire niente perché fu un esame come tutti gli altri. Di certo quel tipo di controllo ci tutelava poco, visto che veniva preso in considerazione solo l'ematocrito, un valore facilmente falsabile; ora per fortuna ci sono controlli più garantiti».
Cosa dici delle "voci" che davano Marco per squalificato già la sera prima?
«Di queste voci parlai anche nella puntata di "Porta A Porta" che si tenne qualche giorno dopo la morte di Marco: però come tutte le voci vanno prese con le pinze, e secondo me non sono da prendere in considerazione. Giravano già da tutto il Giro, e in ogni gara circolano di queste dicerie: ad esempio nel mondiale di Hamilton, prima che uscissero i risultati dei test antidoping, qualcuno mise in giro la voce che alcuni italiani sarebbero risultati positivi: venne fuori uno scandalo, ma alla fine non risultò vero. Quella sera a Campiglio ridemmo di quelle voci su Marco. Certo che dopo che si rivelarono vere ci vennero molti dubbi, come mai erano state messe in giro, se fossero state vere. Ma secondo me si è trattato solo di un caso. Ovviamente è solo il mio parere, non ho di certo le prove per asserire queste cose con certezza assoluta: è probabile che magari siano state messe in giro solo per invidia, ma le cose riportate dagli altri non possono essere prese per valide, e quindi non me la sento di fare accuse a nessuno».
Ma secondo te perché tutte queste cose sono venute fuori solo dopo la morte di Marco? Non si sarebbe potuto indagare prima?
«Non lo so. La verità non si è ancora saputa, e credo che non si saprà mai. Non ci sono prove certe su niente. L'unica certezza che si ha, è che Marco non c'è più. Quel giorno gli trovarono i valori fuori, e gli crollò il mondo addosso, fino a condurlo a quel tragico 14 febbraio. Si sono dette mille cose, che ha pagato per tutti, eccetera, ma ripeto, l'unica certezza è che lui non c'è più».
Quindi tu non credi nella teoria del capro espiatorio?
«Non credo. Non lo so, i controlli sono stati fatti regolarmente, anche se continua a sembrarmi strano che gli avessero riscontrato quei valori visto che si sapeva che ci avrebbero controllati. Di certo da quel giorno gli crollò tutto, si rivelò una persona debole, perse le sicurezze e si lasciò rovinare da delle persone che si fingevano sue amiche e invece lo trascinarono in quel brutto mondo».
Cosa pensi della Fondazione Marco Pantani, e dei modi che vengono attuati per ricordarlo?
«Ho parlato spesso con molte persone responsabili, e ho anche preso parte a diverse manifestazioni a scopo benefico. Perciò posso dire solo che fanno del bene. Io per carattere mi fido delle persone anche se non le conosco, però se mi viene il dubbio anche minimo che le cose vengono fatte per altri scopi allora taglio tutto. Ma in questo caso non posso dire nulla di male. Ricordo che durante il giorno di riposo del Giro dell'anno scorso sono andato a consegnare un assegno ai ragazzini della scuola di ciclismo "Pantani Corse". Secondo me ci mettono tanto del loro, e hanno lo scopo di fare del bene, quindi non ho motivi per avere opinioni che non siano positive».
Secondo te Marco, più in generale, è ricordato degnamente?
«Io credo di sì, alla fine è il solito il discorso: io con i miei compagni di squadra e anche con il Peta ne parliamo spesso, e tutte le persone con cui parlo, ne parlano bene. Quando penso a Marco, l'immagine che mi salta alla mente è quella di lui a braccia alzate. Al resto, non ci voglio neanche pensare».
Qual è la cosa che ti fa più male in tutta questa faccenda?
«La cosa che mi fa più male è sentire sono tutte quelle persone che vanno in tv presentandosi come amici di Marco e invece lui non le sopportava. Mi fa male l'ipocrisia di certa gente. Ad esempio non sono andato al funerale perché era presente troppa gente che era contro Marco, ma che si è presentata lì a fare la bella faccia solo perché c'era la telecamera, giusto per dire "Io sono stato al funerale di Marco Pantani". Ho preferito andare il giorno prima, e sono stato uno dei pochi a cui i genitori hanno permesso di vedere Marco nella camera mortuaria prima che lo chiudessero, proprio per questo rapporto che c'era tra me e lui. Ho preferito vederlo a tu per tu, piuttosto che nella bara. Chi sono queste persone? Non sto qui a fare nomi: me li diceva Marco, a lui davano fastidio, perché dicevano di conoscerlo e non era vero. Io li so, e li tengo dentro di me».
Qual è il più bel ricordo che hai di Marco in bici?
«Il giorno in cui vinse a Montecampione nel Giro del 1998, quando staccò Tonkov. Ricordo che mentre io stavo arrivando sotto il traguardo, un po' in ritardo visto che ero stato l'ultimo ad abbandonarlo sulla salita prima che scattasse, lui stava già salendo sul palco per essere premiato e ricevere la maglia rosa. Marco mi ha visto, e sebbene lo speaker lo stesse chiamando e lui fosse già sulla scaletta, scese, corse verso di me e mi abbracciò là in mezzo alla strada...».
E il più bel ricordo giù dalla bici?
«Fuori dalle corse ci sono stati molti momenti belli. Marco era bravissimo a creare gruppo, aveva carisma. Un momento preciso non mi viene in mente, ma abbiamo passato insieme molte serate in cui ci si divertiva. Un gruppo si crea anche e soprattutto giù dalla bici, quando il pensiero è lontano dalle corse, e in questo Marco era un maestro».
Come vive il gruppo questa assenza?
«Oramai nel gruppo sono rimaste in poche le persone che hanno corso con Marco come colleghi, sia in squadra sia come avversari. Ma di certo lui manca, e la sua mancanza si sente anche tra la gente che si vede alle corse: lui attirava la folla, e sicuramente questo oggi manca. Quando c'era lui era un'altra cosa. Forse io ingigantisco la cosa perché gli correvo al fianco... ma non ho mai più visto fuori da un hotel o da un pullman la gente così come c'era per lui. Sì, ci manca».

Elisa Marchesan



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