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Arrivederci Gianluca - Bortolami ci parla del suo ritiro

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Uno dei più forti corridori italiani nelle classiche del Nord ha deciso di appendere la bici al fatidico chiodo.
Decisione non propriamente spontanea, ma dovuta ad alcuni problemi fisici, causati anche dalla sua attitudine alle corse sotto alla fredda pioggia. Gianluca Bortolami ha deciso di abbandonare l'attività, per assistere la sua famiglia che si è da poco allargata con la nascita del piccolo Eros. Nella speranza di rivederlo presto, con altri ruoli, alle gare, abbiamo pensato di sentire i motivi che lo hanno indotto a terminare la sua prestigiosa carriera.
Come ti svegli la mattina, ora che non devi più allenarti?
«Inizialmente provavo un forte senso di rammarico e di tristezza, anche se cercavo di trovare il tempo per fare qualcos'altro, per distaccarmi dalla vita "normale" del ciclista. Mentre adesso sto dedicando tutto il mio tempo al mio bambino e alla mia compagna, rimanendo sempre assieme a loro, per questo evento che, per fortuna, ha un po' sdrammatizzato il brutto epilogo di carriera».
Il tuo ritiro è stato causato da un virus, ci puoi spiegare meglio?
«In precedenza ho avuto la mononucleosi, ma prima di capire il vero problema ho continuato a correre, trascurandomi. Purtroppo non avendo colto subito la natura dei miei malanni, ho corso anche il Tour de France senza sapere perché andavo piano. Poi è successo qualcosa, perché mi sono comparse delle aritmie cardiache che non avevo mai avuto prima e che purtroppo aumentavano. Per cui è stata presa la decisione, con lo staff medico della Lampre, di farmi fare degli accertamenti e dei controlli più dettagliati e specifici, in cui è emerso che la cosa era peggiorata negli ultimi tempi, e assieme a loro abbiamo deciso di interrompere l'attività. Il Professor Furlanello, che mi ha fatto smettere, mi ha spiegato che queste aritmie erano provocate da delle piccole cicatrici, che potevano peggiorare anche con una lieve influenza mal curata, come mi era successo verso il finale di stagione dello scorso anno. Con una sonda hanno fatto degli ulteriori accertamenti con esito negativo, altrimenti avrei dovuto mettere un piccolo defibrillatore, per fortuna questo non è stato il mio caso e posso vivere normalmente, però mi è stato consigliato di non fare sforzi fuori dal normale. Per cui una attività ciclistica ad alto livello sarebbe poco indicata...».
Cosa ti lasci alle spalle?
«Tante soddisfazioni ma anche tanti rammarichi, in particolare una infinità di infortuni e malattie di tipo virale, che mi hanno fatto perdere 2-3 anni di attività proprio nel momento cruciale».
Più gioie o dolori?
«Io metto sempre davanti le gioie, perché il resto fa parte del lavoro che facevo e quindi preferisco tenere vivi i ricordi delle cose positive che ho fatto».
La tua vittoria più bella?
«Ciclisticamente parlando il Giro delle Fiandre, mentre in questo momento il bambino che è nato, perché è stato il più bel regalo che potessi avere per la fine della mia carriera».
Quanto ti è bruciato arrivare secondo in una Parigi-Roubaix "semi-pilotata" nel finale dalla tua squadra?
«A dire la verità bruciato non è il termine più adatto, mi è dispiaciuto arrivare fino a lì e non aver potuto lottare per vincere e avere nel mio palmares questa corsa, ma mi trovo un secondo posto e sono contento lo stesso. In tutti gli anni di professionismo ho sempre cercato di inseguire la vittoria in quella gara che sognavo da piccolino, che mi entusiasmava. Fortunatamente un'altra che mi piaceva molto sono riuscito a vincerla, il Giro delle Fiandre, quindi una su due va bene, l'altra ci sono arrivato vicino, l'importante era far bene, anche se è mancato il gradino più alto».
Quali sono i tuoi programmi per il futuro?
«La mia compagna ha un negozio di biciclette, per il momento vedrò di dare una mano, anche se desidererei rimanere nell'ambito del ciclismo pedalato. Sto pensando, vedendo e sperando, da qui a breve, di fare ancora parte dell'ambiente in cui sono dall'età di 8 anni. Spero di poter essere di insegnamento a qualche giovane o di aiuto a qualche squadra che volesse darmene la possibilità».
Ci sembra di capire che ti piacerebbe ricoprire il ruolo di Direttore Sportivo.
«Sì, è una cosa che mi piacerebbe, perché da corridore riuscivo a vedere bene la corsa e questo potrebbe agevolarmi nel trasmettere ai miei possibili atleti quello che ho imparato in tanti anni di attività. Magari potrei essere d'aiuto ai più giovani per inserirsi in un mondo molto diverso da quello dilettantistico».
Cosa ne pensi dei corridori che appena scesi dalla bici fanno subito i ds, non sarebbe più utile farli transitare per una Coverciano del ciclismo?
«Sarebbe una bella cosa, il problema è trovare il tempo per fare questo. Ora, ad esempio, ci sono tanti personaggi che hanno il patentino di Direttore Sportivo, chi con meriti e chi meno, ma penso che i corridori più affermati e da tanti anni nel professionismo possano tranquillamente diventare ds, mentre non vedo questa cosa in altre persone, che magari hanno meno esperienza ma già esercitano questo ruolo».
Pensi di avere lasciato qualche tuo erede in Lampre?
«Spero di sì. Secondo me a Bennati e Ballan non manca molto per consacrarsi nelle classiche del Nord, avendo già dimostrato lo scorso hanno ottime cose. Se tutto andrà per il verso giusto li vedremo protagonisti nelle prossime edizioni di Fiandre, Gand e Roubaix, senza dimenticare che ci sono anche altri giovani interessanti che possono far bene in determinate gare e condizioni».
Ti sei sentito un po' la loro guida lo scorso anno?
«Mah, non è una questione di vanto, ho sempre cercato di aiutare i giovani che venivano, a inserirsi tra di noi senza far loro pesare età, ambiente e risultati, li consigliavo sul modo di correre, di allenarsi. Qualcuno ha già messo a frutto questi insegnamenti, ma i risultati che poi ottengono e otterranno sono solo merito delle loro capacità. Sono tutti degli ottimi ragazzi e se continueranno in questa direzione potranno fare molto bene».
Chi potrebbe contrastare il Boonen visto nel 2005?
«Nelle corse come Fiandre e Roubaix ne vedo veramente pochi in grado di batterlo quando sta bene, mentre nelle altre classiche un Bettini o un Di Luca hanno già dimostrato di poter andare molto forte. Poi ci sono alcuni giovani che devono dimostrare di poter competere con il belga, che alla fin fine ha solo 25 anni».
Dario Pieri riuscirà a trovare lo smalto di qualche anno fa?
«Purtroppo sono alcuni anni che viene posta questa domanda, ci sono delle volte che inizia bene e poi si perde per strada. Essendo suo amico, spero tanto che sia questo l'anno giusto, lo spero, perché chi gli ha dato fiducia dopo tutti questi anni e che continua a dargliene dovrebbe essere ripagato. Anche lui stesso deve ottenere un risultato che possa dare una conferma definitiva, altrimenti sarebbe preferibile una fine totale dell'attività, non può continuare in questa maniera con il nome che ha e con quello che ha fatto, è un peccato che un atleta del genere, con un bagaglio di classe, di potenza e di forza perda tutto per delle stupidaggini».
Come hai vissuto il caso Festina nel 1998, in qualità di corridore di quel team?
«Avrei dovuto far parte di quel Tour de France, ma un mese prima, durante il Giro di Svizzera fui colpito da una brutta bronchite, che mi escluse dalla squadra che avrebbe dovuto prendere parte alla corsa francese. Ciò che è successo l'ho saputo dalla televisione e dai giornali, fino a quel momento non sapevo niente di tutta questa storia».
Nel 2004 si è chiuso il processo al Dottor Ferrari, per te come si è concluso?
«Non ho più saputo niente, sono stato chiamato a testimoniare e le cose che ho detto erano la realtà dei fatti. Per quel che so io è stato chiuso, poi non so se ci sia altro in seguito».
A breve termine dove rivedremo Gianluca Bortolami?
«Purtroppo ho sperato fino all'ultimo momento di poter continuare a correre, questo non è stato possibile e quindi sono rimasto appiedato per il momento. Nell'attesa di una qualche proposta mi dedicherò all'attività che svolge la mia compagna e a far maturare una nuova squadra, la mia famiglia».

Andrea Sacconi



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