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Vuelta, largo ai camosci - In Spagna si torna alla tradizione

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Dopo l'infelice parentesi 2005, la Vuelta a España torna ad essere una corsa di tre settimane vere. Quest'anno, probabilmente per non calcare la mano in prossimità del Mondiale madrileno, abbastanza facile dal punto di vista altimetrico, gli organizzatori di Unipublic si erano dimenticati che la durata effettiva della corsa doveva essere di tre settimane, proponendo una sequela di tappe solo esornative negli ultimi giorni, ma ponendo di fatto il limite finale dopo 15 tappe. Poi in effetti la classifica si è ribaltata dopo, ma a causa della squalifica di Heras (ancora da confermare, in realtà), che dovrebbe ridare la maglia oro a Menchov. Ma questa è un'altra storia.
Ad un primo sguardo all'altimetria (molto approssimativo, visto che il disegnatore delle piantine dev'essere all'esordio, e non ha ancora ben chiare le proporzioni), o meglio, alla disposizione delle tappe, appare chiaro che la Vuelta 2006 nasce con l'intento di essere molto equilibrata. Il concetto, che a noi piace, è sempre quello: per vincere un grande giro bisogna essere corridori completi, ma essere corridori completi significa saper andare, su tutti i percorsi, per tre settimane.
Per cui ben vengano le salite anche nei primi giorni, non solo per scremare il gruppo dei favoriti, ma proprio per dare alla classifica una fisionomia, che potrà poi anche cambiare nel prosieguo della gara; e i passaggi di maglia non avverrebbero tra comprimari, ma tra i protagonisti. In ciò, la corsa spagnola si distingue: laddove il Tour non può concepire arrivi in quota nei primi 10 giorni, e laddove il Giro in genere ne propone uno, ma non tremendo (ma quest'anno inversione di rotta con la Maielletta), la Vuelta offre nella prima settimana ben tre tappe di montagna, con arrivi in salita.
La quinta, la settima e la nona, il mercoledì, il venerdì e la domenica: e non si tratta di frazioni in cui agire di conserva: lungo la strada per La Covatilla (quinta), ci sono altri 3 difficili Gpm; l'Alto de El Morredero (settima) è preceduto solo da una salitella, ma in compenso la tappa di Alto de La Cobertoria (nona) è una cavalcata di oltre 200 chilometri (una rarità, da queste parti), con due prima categoria, un terza e un categoria speciale (il Puerto de San Lorenzo) prima dell'approccio alla scalata conclusiva.
Non solo montagne, comunque, nell'avvio di Vuelta 2006: si partirà (da Malaga) con una brevissima cronosquadre, giusto una passerella per gli sponsor che non farà alcun male e non distorcerà i valori individuali. Poi tre frazioni che dovrebbero concludersi allo sprint, quindi ancora velocisti a León nella sesta; nella nervosissima tappa di Lugo, invece, spazio agli attacchi di chi ha fantasia.
La seconda settimana è più tranquilla, e non solo perché inizia col primo lunedì di riposo: decima e undicesima frazione sono anch'esse ben nervose, ma non hanno le caratteristiche per sovvertire la classifica. Poi due tappe interlocutorie, quindi la prima cronometro, a Cuenca, lunga solo 33 chilometri. Gli specialisti dovranno dare veramente tutto per rientrare eventualmente in gara, ma saranno aiutati in ciò proprio dal fatto che non ci sono fatiche di Sisifo da sostenere nei due giorni precedenti e nei due seguenti (dopo la crono altra tappa per velocisti, quindi il secondo riposo).
Presumibilmente la corsa di molti velocisti e finisseur finirà (nel senso che si ritireranno) al termine della seconda settimana: purtroppo la vicinanza del Mondiale arricchisce la Vuelta di molti protagonisti, ma poi glieli toglie prima della conclusione.
Col campo sgombro da comprimari, e col secondo lunedì di riposo alle spalle, la gara iberica entrerà nel momento topico. Si comincia martedì 12 settembre, con l'approdo all'Osservatorio di Calar Alto (con altre due difficili rampe nelle gambe), si prosegue il giorno dopo con la frazione di Granada (Alto de Monachil nel finale); e si chiude, per quanto riguarda le montagne, giovedì 14, con il durissimo arrivo alla Sierra de la Pandera.
Ultima chance per i maxifuggitivi venerdì 15 a Ciudad Real; quindi la crono che sancirà il vincitore della Vuelta 2006: a Rivas Vaciamadrid, alle porte della capitale, gli ultimi 28 chilometri di fatica di questa edizione: la parola finale spetterà quindi ai cronoman, ma non si può dire che gli scalatori non avranno avuto fin lì spazio per fare la differenza; e anche il limitato chilometraggio dell'ultima prova contro il tempo non garantisce recuperi enormi.
Cosa c'è, cosa manca: c'è un po' di tutto, in effetti, non si vedono particolari categorie che possano lamentarsi (al Giro per esempio l'hanno fatto gli sprinter, al Tour gli scalatori), e tutti potranno trovare un po' di terreno congeniale alle proprie caratteristiche, anche se appare chiaro che chi ha disegnato questa corsa ami di più quelli che pedalano in salita.
Manca, forse, una tappa veramente difficile nella seconda settimana; ma, oltre che per il ragionamento pro-cronoman che forse avrà animato gli organizzatori, la chiave di lettura di questa assenza si può trovare guardando la planimetria generale: in effetti, il passaggio sui Pirenei sarebbe calzato a pennello, proprio in qualcuna di quelle giornate; se non c'è, vuol dire che c'è qualche motivo sotto: allora appare lampante la scelta politica (molto più che tecnica) di saltare a pie' pari la più famosa catena montuosa della Spagna.
Come mai? Una risposta ce la diamo, e onestamente non ci dispiace: i Pirenei, da che ciclismo è ciclismo, sono legati a doppio filo con il Tour de France: alzi la mano chi ricorda qualche proverbiale impresa dei "vueltini" sulle salite pirenaiche. Non che non ce ne siano, ma letteralmente scompaiono al confronto con la sterminata letteratura (e leggenda) costruita su quelle strade dai corridori impegnati nella Grande Boucle. Non si può obiettare che sui Pirenei il marchio stampato a fuoco sulla pietra sia quello del Tour.
E allora, nel solco di una via tracciata già dal Giro d'Italia (ovvero: differenziarsi quanto più possibile dalla corsa francese, per non esserne fagocitati prima o poi), anche la Vuelta sceglie di smarcarsi da tutto ciò che può essere assimilabile al Tour: le lunghe crono? Ci sono già nella corsa più importante del mondo, perché dovrei appassionarmi a quello che ne sarebbe un surrogato in un giro meno famoso? I Pirenei? Se li voglio gustare davvero, fino in fondo, me li guardo alla Boucle, alla Vuelta mi saprebbero di dejà-vu e per di più con attori meno celebrati.
La Vuelta, così facendo, sottolinea la sua alterità rispetto alla corsa vicina di casa; passa sulle sue (e solo sue) salite, continua nel suo solco (tappe brevi: inutile fasciarsi il capo, le tappe lunghe, per i diesel, ce le ha già il Giro; questa corsa è diversa, è fatta così, qui lo spettacolo è più concentrato in pochi chilometri), va avanti verso i suoi obiettivi, e sarebbe bello che, prima o poi, riuscisse a ricorrere molto di più nell'immaginario popolare del mondo del ciclismo.

 

Marco Grassi

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