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Danilo va veloce - Intervista a Napolitano

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Danilo Napolitano, velocista siciliano del Team L.P.R., vincitore quest'anno di 7 corse, tra cui spiccano senz'altro la volata della Coppa Bernocchi nel Trittico lombardo e il Giro di Romagna. Ma non solo, perché Danilo quest'anno si è divertito a smentire un sacco di voci che lo volevano poco adatto al professionismo. Ha vinto in Italia, in Francia, in Germania battendo corridori più navigati ed aggiudicandosi corse importanti. Il suo nome è circolato con leggera insistenza negli ultimi tempi anche per la selezione azzurra di Madrid di Ballerini, almeno per quello che riguarda il ruolo di riserva, ma Ballerini ha già declinato il "consiglio".
Sta di fatto che il 2005 ci ha regalato un velocista di razza in grado di mettere sin da subito, come già ampiamente dimostrato, i bastoni tra le ruote a tante, forse tutte, ruote veloci.
Come hai iniziato ad andare in bicicletta?
«Mio fratello correva in bici, e non è stato difficile a 7 anni essere convinto a seguirlo in questo sport; ho fatto tutta la trafila delle selezioni giovanili, esordienti, allievi, juniores, dilettanti».
Quanto tempo hai militato tra i dilettanti e quali sono state le tue squadre?
«Il primo, quello con la Sintofarm, è stato il peggiore della mia vita: difatti nello stesso anno ho vissuto il "carcere", interno alla squadra, ed il militare di leva per lo Stato; il secondo ed il terzo anno sono stato con Gavazzi alla Resine Ragnoli, mentre il quarto anno e metà del quinto li ho corsi con il Velo Club Bassano 1892».
Quando hai scoperto di essere un velocista?
«Un giorno, in una corsa, ho fatto tutto da solo: eravamo con il gruppo agli 800 metri dall'arrivo ed avevamo un fuggitivo davanti. Ho accelerato, ho ripreso il fuggitivo ed ho alzato le braccia al cielo sotto lo striscione d'arrivo staccando addirittura il plotone. Praticamente una vittoria più da finisseur che da velocista, però iniziò tutto da lì».
A metà dello scorso anno, il passaggio al professionismo.
«Esordio alla Clasica di Alcobendas, in Spagna, altro ricordo che catalogo sotto la voce "incubo della mia vita": due corse in due giorni, due ritiri, non andavo assolutamente avanti. La cosa difatti mi buttò giù psicologicamente, pensavo di non essere adatto a fare il professionista. Poi fortunatamente arrivò qualche piazzamento che mi diede un po' di fiducia».
Diciamo che arrivasti davanti a Zabel nella volata del gruppo (davanti c'erano due fuggitivi) nella 1° tappa del Giro di Baviera.
«Sì, è vero, ma il giorno dopo lo stesso Zabel mi batté per la vittoria di tappa, quindi il piazzamento del giorno prima contava poco per il singolo valore, ma è stato davvero molto importante per me poter venire a conoscenza del fatto che ce la facevo a stare davanti».
Ad inizio stagione molti addetti ai lavori menzionavano molto più i nomi di Grillo, Samuele Marzoli e Chicchi per il futuro dello sprint italiano. Poi, di colpo, inizia a vincere un certo Napolitano, di cui forse non si parlava perché il Team L.P.R. è una piccola squadra.
«Può darsi che sia dipeso anche da quello, non lo nego, ma effettivamente la cosa non mi ha sorpreso ad inizio anno, visto che molti tendono a non credere in me ed a non darmi fiducia».
Come ti spieghi una cosa del genere, date le potenzialità che hai e che sicuramente avevi anche qualche anno addietro?
«Le cose stanno così: sono grosso e non ho la possibilità di dimostrare che sono forte. È una voce che circolava e che mi sono impegnato a smentire andando veloce».
Il Team L.P.R. però ha dimostrato che qualcuno che credeva, e crede, in Danilo Napolitano c'era e c'è.
«Omar Piscina è stato l'unico ad interessarsi a me lo scorso anno, grazie anche alla famiglia Rossato che lo invitava spesso alle corse per seguirci da vicino».
Ed il contatto quando è avvenuto?
«Il Team L.P.R. mi voleva già in maggio per farmi correre la Settimana Internazionale Coppi & Bartali nel 2004, ma poi abbiamo ritenuto tutti che fosse troppo presto e troppo traumatico farmi passare in una corsa italiana dove tutti cercano il risultato».
Una squadra, seppur dilettantistica, che si priva del suo uomo veloce per fargli vivere senza intoppi il mondo dei professionisti merita un plauso, no?
«Assolutamente sì. Rossato m'ha fatto maturare in due anni, come corridore ed anche come uomo, in una maniera che non avrei immaginato potesse farti crescere una persona che non è tuo padre».
Vista la stazza, sei una persona che tende ad ingrassare?
«Ingrasso velocissimamente, credo di essere ai livelli, tanto per fare due nomi celebri, di Pieri e di Ullrich. Anche nelle corse a tappe devo stare attentissimo a cosa mangio, perché tutto quello che ingerisco tendo ad assimilarlo con il grasso. Nella prima corsa a tappe fatta in Francia quest'anno, io mangiavo quello che mangiavano tutti gli altri, una dieta di squadra decisa dalla dottoressa del Team L.P.R.: ebbene, se gli altri dimagrivano, io sono tornato in Italia con 2 kg in più! Infatti abbiamo studiato una dieta personalizzata che consiste praticamente nel mangiare meno possibile durante il giorno e nutrirmi poi normalmente in corsa. Questo è l'unico modo che, difatti, mi ha permesso di dimagrire e di essere realmente competitivo».
Quest'inverno hai affrontato la tua prima preparazione da professionista. Come ti sei preparato a livello psicologico e fisico?
«Ho cercato innanzitutto di dimenticare gli ultimi sei mesi del 2004, altrimenti come ho già detto non sarei andato avanti: questo è stato lo stesso metodo di quando passai dilettante dalla categoria juniores, ed ho immaginato che fosse lo stesso per un professionista che passa dalla categoria inferiore. Anche fisicamente la preparazione è stata molto più mirata, puntando al fondo, alla resistenza in salita, con uscite lunghe su percorsi vallonati. Alla fine, sembra che tutta quella fatica abbia pagato».
Hai battuto corridori come Usov, Chicchi, Brown e Bennati. Chi tra questi è stato il più tosto da lasciarsi dietro?
«Bennati. Ho corso il Giro di Romagna in una condizione non eccelsa, dato che avevo corso troppo poco, forse, dal ritorno in Francia. Il caldo afoso, che io odio, ci ha messo anche del suo. Ma anche alla Bernocchi, dove c'era Petacchi, ho faticato tanto; infatti appena arrivato ho dovuto cercare una sedia per rilassarmi un secondo perché avevo realmente le gambe che tremavano dallo sforzo».
Se vinci quando non sei in forma, quando sei in forma sei imbattibile?
«Spero sempre che di me si parli poco; così sarà sempre un ulteriore stimolo per non accontentarmi. E che riscuota fiducia. Non mi serve essere imbattibile; voglio soltanto stimoli e fiducia».
Di contro, con avversari come Boonen e Casper, nelle varie volate sparse tra Belgio e Francia, non c'è stato nulla da fare. Non sei riuscito a passarli.
«Il fatto è che ci ho corso davvero poco contro questi due corridori, e così è più complicato per un velocista che non parte con i favori del pronostico riuscire a leggere la tattica da attuare in volata. Di certo non saranno queste sconfitte a demoralizzarmi, anche perché ricordiamoci che Boonen è un fuoriclasse e che, soprattutto, con entrambi ho perso al massimo di 10 centimetri, mica di una bicicletta».
Nel 2006 il passaggio alla Lampre.
«Ottimo!».
Ma dalla parte di Lampre o da quella di Caffita?
«Io mi sono accordato con Giuseppe Saronni, e non so se questo vorrà dire che correrò l'anno prossimo con la Lampre o con la Caffita o con qualsiasi nome si chiamerà la squadra».
È presumibile che uno dei tuoi obiettivi sarà correre il Giro d'Italia.
«Se sto bene certamente, non lo nego. Perché devo ammettere che perdere non mi piace poi troppo, e prendere delle bastonate sulle strade di casa, proprio al Giro d'Italia, non è certo il massimo. Poi bisognerà vedere come sarà strutturata la squadra, se avrà un capitano per la Classifica Generale, soprattutto se rimarrà Martinelli; insomma, il fatto che mi piacerebbe farlo è innegabile, ma è altrettanto innegabile che mi piacerebbe farlo bene».
Quindi allo stato attuale delle cose una corsa come la Milano-Sanremo rimane l'obiettivo più alto alla tua portata?
«Sì, ma non ossessivamente. Non voglio fare come Cipollini che ci si è dannato per quindici anni prima di vincerla o come gli ultimi anni di Petacchi, seppur in modo più contenuto, o come hanno fatto tanti altri corridori. Voglio viverla, voglio provare com'è, vorrei provare ad arrivare lì e vedere cosa ne esce; ma se non ce la farò non sarà un dramma, anche perché ci sono tante altre corse di spessore in giro per l'Europa che velocisti con le mie caratteristiche possono aggiudicarsi. Questo, ovviamente, non vuol dire che non mi impegnerò alla morte per battere tutti anche a Sanremo, prima o poi».
Curiosa la coincidenza che ti vuole compagno di squadra futuro di quel corridore, Bennati, che ti ha fatto sudare più di ogni altro la vittoria.
«Quello mi fa paura. La presenza di un velocista simile in squadra potrebbe togliermi spazi importanti; certo, potrei imparare qualcosa dalla sua esperienza, ma sin da ora siamo sugli stessi livelli quanto a prestazioni sportive, e quindi gli obiettivi saranno inevitabilmente gli stessi. Le corse saranno comunque tante, e spero che con l'aiuto dei direttori sportivi potremo toglierci entrambi le nostre soddisfazioni».
La propensione di Bennati verso il pavè potrebbe favorirti, magari, distogliendolo da qualche volata di gruppo.
«Sarei bugiardo se dicessi che non lo spero. (ride). Lo spero davvero».
Quale dilettante potrà competere in futuro con i più forti velocisti?
«Alberto Curtolo. Bravo ragazzo e bel corridore, fatto crescere gradualmente come il sottoscritto e del quale non mi sorprenderebbero affatto vittorie importanti».
A fine Vuelta, sempre in Spagna, c'è una certa "corsetta" che si corre in maglia azzurra.
«Ballerini non mi ha mai chiamato, si è soltanto limitato a farmi i complimenti per la volata vinta alla Coppa Bernocchi e basta. Direi che per quest'anno non se ne parla neanche, semmai avanti, più avanti, si vedrà. Attualmente, dico la verità, non ci penso».
Ti gratifica il fatto che appassionati e colleghi facciano il tuo nome per Madrid?
«Sono onorato che gli venga in mente il mio nome, vuol dire che qualcosa di buono l'ho fatto nel ciclismo professionistico».
La tua ambizione massima?
«La Milano-Sanremo la dicono tutti, ed allora dico un posto nella selezione dell'Italia, ai Mondiali o alle Olimpiadi non fa differenza».
Anche perché all'azzurro d'Italia ci si arriva vincendo, e vincendo si prendono anche parecchi baci dalle miss.
«Certo! E sia l'una che l'altra sono cose che non guastano mai».

Mario Casaldi    



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