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Capolavoro Liberty - Attacco magistrale, Heras in oro

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Ieri ci chiedevamo chi avrebbe smosso Menchov. Bene, la Vuelta ci ha dato immediatamente una risposta incredibile, bellissima, e anche inattesa.
In effetti ci voleva qualcosa del genere, per ribaltare una situazione che sembrava ormai sclerotizzata. Ma l'azione concertata dalla Liberty Seguros è di quelle che restano nella memoria, che caratterizzano un'intera stagione ciclistica, che si consegnano ai posteri come casi paradigmatici, da manuale. "Ricordi quella volta che sotto la pioggia Heras e quattro suoi compagni...?", proprio così, l'attacco inscenato oggi nella quindicesima tappa della Vuelta entra dritto dritto nell'immaginario popolare.
Una tattica sopraffina (messa a punto da Saiz e i suoi: se volete crederci, è così!), anche più di quella (a questa simile) vista lo scorso anno a Falzes ad opera della Lampre di Martinelli, Cunego, Mazzoleni, Tonti. Perché in questa c'è un che di crudeltà, di leva sull'ingenuità di Menchov, di perfidia accanto alla grandezza del piano e della sua applicazione.
Eccolo il piano: abbiamo visto che il russo non si stacca, e a niente vale portarlo in carrozza anche sulle salite che conducono all'arrivo. Bisogna inventarsi qualcosa. Heras si è ormai del tutto ripreso dall'incidente al ginocchio sinistro, il tempo stringe, i percorsi non saranno più così favorevoli, il giorno per tentare il tutto per tutto è questo. Abbiamo una grande squadra, questo si è visto: Scarponi sta facendo una Vuelta da protagonista pur nel ruolo del gregario, Vicioso è il massimo dell'affidabilità, anche Beloki ha ritrovato antiche sensazioni e si è messo al servizio del capitano. E abbiamo pure Caruso, che abbiamo sfruttato poco in questa Vuelta.
Il percorso: la salita finale presenta tratti molto duri, quasi al 20%, ma anche momenti in cui è possibile recuperare; se Menchov ci arriva tranquillo, saprà gestirsi come ha fatto finora. Per questo non possiamo aspettare il Pajares. A 60 km dal traguardo c'è una salita strana, l'Alto de Colladiella, insidiosa in ascesa, ancora di più in discesa. È lontana dal traguardo, ma non troppo: è il punto perfetto per un'imboscata.
I preparativi: come ogni giorno, al mattino parte una fuga. Meglio se nutrita. Più siamo, più stimoliamo gli altri ad accodarsi. Ci servirà essere in tanti. Il primo che muoviamo sullo scacchiere è l'impagabile Scarponi. E appresso a lui, anche Vicioso; e Beloki; e Caruso. Menchov, a vedere tutto quel movimento tanto presto, capirà senz'altro che c'è qualcosa che bolle in pentola, ma che potrà mai fare, più che mandare uno dei suoi (3, solo 3 gliene sono rimasti) nella fuga? E infatti il capoclassifica sgancia in avanti De Groot, un appoggio può essere utile.
Le prime due salite sono troppo lontane dal traguardo, non ci danniamo lì. La terza è facilissima, la passiamo con una gamba, non è lì che si fa la differenza. La quarta, ecco, la quarta: il Colladiella. "Lo conoscevo bene", dirà poi Heras. Ma lo dirà a risultato acquisito, e invece non era così scontato che quel risultato arrivasse, non nei termini che abbiamo potuto vedere, perlomeno: potevano esserci distacchi più misurati, e invece stavolta evidentemente tutto doveva avvenire in modo perfetto. A volte capita, sai le congiunzioni astrali.
Heras ha dato uno scrollone al gruppo, sull'Alto. Davanti c'erano i fuggitivi, già. Il gruppo, anche pungolato da Sastre, strumento inconsapevole del piano, si sfarina. Restano in pochi, precisamente tutti i primi 11 della classifica. Ma alcuni di loro non hanno una gran gamba, e Mancebo, Sevilla, Mercado, Blanco, e anche Plaza, Danielson e Santos González si staccano. Restano Heras, Sastre, García Quesada e Menchov. Heras e Menchov, Menchov e Heras, loro ci sono sempre stati, fin qui. Anche stavolta. Suvvia Denis, l'Alto è quasi finito, un'altra insidia è passata, guardiamo fiduciosi al futuro. Ed Heras parte.
Parte a un passo dallo scollinamento, così, praticamente alla chetichella. Non andrà lontano, si dice Menchov. Nei primi metri di discesa lo riprendo, continua a dirsi. Lo riprendo più avanti, ora recupero e poi rientro su di lui. E invece, pensa te la perfidia (eccola), su quella discesa, difficile, pericolosa, c'erano nascosti dietro l'angolo Vicioso e Caruso. Si erano fermati, tutto secondo programma, e avevano aspettato l'allungo del capitano. Se lo prendono in carrozza, e lo portano via. Sul punto più complicato della giornata: in discesa è difficile sapere realmente come si sviluppano le cose, anche radiocorsa fa fatica a dare le posizioni, e poi radiocorsa dovrebbe comunicarle alle ammiraglie, e il diesse dovrebbe comunicarlo al corridore interessato. Troppo tempo, ci passa, e in quel tempo sai quanto possiamo guadagnare, in fila ordinata, dandoci i cambi?
Quando Menchov si rende conto di essere caduto mani e piedi nella più colossale imboscata dell'anno, è troppo tardi. È troppo tardi perché il piano va avanti inesorabile, e alla fine della discesa ci sono altri due agenti segreti ad aspettare il trenino di Heras: Scarponi l'impagabile e Beloki il generoso. Beloki, che fior di passista, bruciato da una caduta al Tour 2003, forse pian piano si sta rialzando, ma le sue leve potenti ora può metterle a disposizione della causa, in questo tratto di pianura e falsopiano tra la Colladiella e l'ascesa finale.
Dietro, annaspano: cosa possono fare, da soli, Menchov, Sastre e García Quesada, al cospetto di un treno con quattro locomotive? Pochissimo, perbacco. Possono tutt'al più fermare gli uomini che hanno avanti, e così fanno: ecco Sorensen, ecco De Groot, ecco Adolfo García Quesada, che si immola in maniera struggente per il fratello Carlos. Nulla vale, però. Menchov pensa e ripensa all'attimo fatale, mentre il treno Liberty arriva puntuale sul gruppo dei primi. Ecco a cosa serviva essere in tanti: diventa più facile, tra 20, trovare persone che collaborino. Le trovano, c'è la Quick Step con Bettini che fa dei bei turni in testa, ci sono i Davitamon Ardila e Aerts.
E Menchov continua a pensare a quel momento: "Perché non sono subito rientrato su Heras? Perché l'ho lasciato andare?". Forse non ne aveva, dice la vocina. Non importa, se anche così è stato (e non lo è stato) doveva andare fuori soglia, al doppio di quanto potesse, ma non doveva lasciarselo sfuggire così. Perché poi avrebbe tirato i remi in barca, si sarebbe rilassato fino alla salita finale; poi lì magari avrebbe perso qualcosa, ma non 5'17". E invece, per essersi lasciato scappare Heras, ora è lì che deve tirare alla morte, in discesa, in pianura, in falsopiano. E più tira, più ci dà dentro, più quelli davanti guadagnano. Arriva il blackout.
Il blackout è di testa più che di gambe. García Quesada se ne va, se ne va anche Sastre, se ne vanno tutti e noi si rimane qui, soli con noi stessi e con i rimpianti che ci porteremo dentro per chissà quanto tempo. Perché perdere fa male, sempre, ma perdere con l'idea di non aver fatto tutto il possibile per evitare la sconfitta, è tremendo.
Però, però: a ogni rovescio, anche terribile, fa da contraltare una vittoria. Meravigliosa, in questo caso. Una vittoria completa, sotto ogni punto di vista: al tracollo del rivale, si aggiunge il successo di tappa, che non può non arrivare: all'ennesima trenata di Scarponi, Heras se ne va, lascia poi anche Pascual Rodríguez e Sánchez González, e corre lontano, su rampe durissime, su cui stavolta si sente imbattibile.
A completare il quadro, anche la pioggia battente, che cade sulle sofferenze di questi ciclisti e anche del pubblico (folto, finalmente), accorso a vivere in diretta una giornata speciale. Heras, vestito di quell'improbabile maglia azzurra a pois gialli (della classifica a punti), va a vincere, ed è una vittoria completa, che non prevede il suo contrario, che non potrà più essere messa in discussione. È una vittoria non di una tappa, ma di una Vuelta, una vittoria ottenuta a una settimana dalla fine, perché non c'è più spazio per Menchov, e se anche ci fosse, il russo non ha squadra, non potrebbe organizzare niente. E Sastre, che ha qualche compagno in più, lo teniamo a bada come si conviene.
Grande spettacolo, grande spettacolo. Una giornata che riscatta quasi da sola un'intera Vuelta vissuta in tono minore, senza grossi sussulti fin qui. Ma se tutto l'understatement che abbiamo riscontrato fino a oggi era un contrappasso per avere quel che abbiamo avuto oggi, allora è bello che sia andata così. Grazie di tutto ragazzi, non chiederemo il rimborso del biglietto.

Marco Grassi    

 

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