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Boonen mito Mondiale - Valverde secondo, Bettini solo 13° | Cicloweb

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Boonen mito Mondiale - Valverde secondo, Bettini solo 13°

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Cinquanta chilometri di straordinaria bellezza, cinquanta chilometri da lasciare senza fiato, cinquanta chilometri di corsa memorabile dopo 220 da pennichella pomeridiana; e poi, l'epilogo più amaro per l'Italia, ma lo stesso una grande, magica festa di ciclismo.
Cinquanta chilometri, quelli finali, pieni di cose e di facce. Su tutte, quella di Paolo Bettini, che corre in maniera magnifica, arrembante, ma alla fine insufficiente. È lui, per rispondere a Martín Perdiguero sulla terz'ultima Avenida del Cardenal, a dare il la alla corsa vera, quella dei big. Ben architettata dalla Spagna, l'azione: già in avanscoperta Pereiro (con Piil), l'idea di Antequera è di lanciare poi due capitani, uno su ogni rampa. Il primo è Martín Perdiguero, appunto, che si porta dietro, oltre al Grillo, uomini di spessore quali Allan Davis, Gilbert, Lagutin, Calcagni, addirittura Fischer, indomito brasiliano.
Il secondo capitano spagnolo a muoversi è Valverde, sull'Avenida de Asturias, e con lui ci sono Wegmann e Devolder. La situazione a quel punto (staccati nel frattempo Calcagni e Fischer) è splendidamente rischiosa: si tratta di avere uno dei nostri, in formissima, contro ben tre uomini di casa; e contro due belgi, pronti a fare corsa parallela; e un uzbeko, un danese, un temibile australiano molto veloce, e un tedesco da battaglia, che potrebbe essere il primo degli alleati.
Che fare? Liberata la mente dal pensiero (che sicuramente avrà sfiorato Ballerini) orrendo di mettere i nostri a inseguire dietro, non resta che lasciar fare, fidando nelle gambe e nello spirito di Bettini. Ormai una frittatina l'abbiamo fatta, visto che nessun altro degli azzurri ha affiancato il livornese (non fa testo il breve allungo di Pozzato con Mancebo e altri dopo la penultima Dehesa de la Villa), ma Paolino non si smentisce e dà una potente scrollata a poco meno di 30 km dalla fine. All'inizio resiste Wegmann, che dà pure dei bei cambi su quella Avenida del Cardenal Herrera, poi rientrano i due belgi, Piil, Martín Perdiguero e Valverde.
La situazione è ottimale: il drappello è scremato e passibile di futuri ulteriori scrolloni, e non si può non notare la scarsa verve mostrata dai due spagnoli quando Bettini ha attaccato. Se si va avanti così, le possibilità del Grillo sono molte. Purtroppo, però, il terreno di gara è quello che è, e gli inseguitori sono molto favoriti. Così la Francia e l'Australia ricuciono tutto, e rimettono il timer a 0 appena prima dell'ultima Dehesa. Se ci fosse stato un altro azzurro a tirare a tutta per Bettini, forse le cose non sarebbero andate così.
Comunque lasciamo da parte la dietrologia, per ora. Perché a quel punto abbiamo ancora una situazione su cui avremmo messo la firma alla vigilia: abbiamo una squadra pochissimo sfruttata per tutto il giorno (a parte Bettini che però è un battitore libero ed esula dalle logiche incentrate su Petacchi). Al contrario, la Spagna ha speso molto, e sicuramente ha pagato un tributo maggiore al nostro l'Australia. La Germania è più o meno nelle nostre condizioni, ma è più debole.
Si sta talmente tanto tranquilli che Lombardi si mette in testa sulla Dehesa e tiene il ritmo, un buon ritmo ma non impossibile, sì da evitare sia scatti degli avversari che defaillance di Petacchi. Fino all'ultima Cardenal, insomma, le cose vanno a meraviglia. Poi, la situazione precipita, o perlomeno ci sfugge un attimo di mano. Sappiamo, da Velo, che Petacchi ha capito di non esserci, non come vorrebbe e si aspetterebbe, non come tutti noi vorremmo e ci aspetteremmo. E allora parte il segnale a Bettini: "Va' e fai la tua corsa".
E Bettini va, va insieme a un Vinokourov più che mai sardonico: a metà corsa veleggiava in coda al gruppo, facendo finta di non avere più benzina, poi invece sull'ultima salita è lì, in prima linea, pronto a incendiare la corsa. Diavolo di un kazako, non c'è modo che deluda le attese che riponiamo in lui.
La fase più bella del Mondiale inizia agli 8 chilometri, quando appunto Vino parte e si porta appresso Bettini. "Fuori i secondi", restano in gioco i big. Noi ci giochiamo il solito livornese di fuoco, il Kazakistan è Vinokourov, ma fanno capolino anche mister Van Petegem, e ancora Valverde, che ha dimenticato che non corre da luglio, dal Tour. C'è Boogerd, perfino, uno che i finali decisivi li conosce a menadito; ci sono alcuni comprimari di valore, da Dean a Moerenhout, da Serrano a Stangelj, da Elmiger a Nuyens. Troppa gente?
Sì, in effetti siamo troppi, e allora Vino dà un'altra botta. Forte. Vino se ne va, oddio, il magnifico kazako si è involato e non lo riprendono più. Attimi di smarrimento dietro, mancano 4 chilometri, chi si muove? Chi si brucia? È Santa Francesca Cabrini, o Miki Boogerd (non si capisce bene), ad accollarsi la faticaccia di chiudere su Alexandre. Il momento è topico: scendere dal treno? Non sia mai, Bettini ci sale con tutte le sue speranze e le sue ambizioni. A 3 km dal traguardo c'è in testa un terzetto meraviglioso: l'unica certezza è che è presente il sicuro secondo al traguardo (Boogerd of course). Gli altri, Bettini e Vinokourov, si giocheranno i restanti posti, e non siamo sicuri che non saremmo ugualmente contenti se dovesse primeggiare l'uno o l'altro.
Invece quel momento speciale, quell'università del ciclismo viene demolita dal rientro, ai 2 km, di Moerenhout, e Serrano, e Stangelj. Gli equilibri si rompono, ora ci sono due olandesi (Boogerd e Moerenhout), chissà se è il caso di rallentare, di lasciare a loro il peso dell'azione. Tra un pensiero e l'altro, passa qualche secondo, e dietro non mollano, figurarsi, questo è il Mondiale, non si lascia spazio a nessuno!
Dietro, vediamo un po': non c'è nemmeno un italiano. Possibile? Possibile. Sono tutti con Petacchi, ancora più indietro, sono col capitano, anche Paolini, anche Pozzato, anche Bernucci. I venti immediati inseguitori non mollano la presa, la curva dell'orrore, quella dei 600 metri, è l'ultimo momento in cui i 6 di testa hanno un bagliore di illusione di potercela fare. Superata quella, si accorgono che il destino incombe alle loro spalle, e tutti i salmi, come si dice, finiscono in gloria.
Alla conta di chi c'è e chi non c'è in quel gruppo sopraggiungente, ci accorgiamo che non solo Petacchi, ma anche i più accreditati rivali della vigilia, Zabel e soprattutto McEwen, hanno perso contatto. Il più veloce del lotto è Tom Boonen. Guido Trenti, italiano che corre per gli Usa e che è in squadra con il belga ma anche con Bettini, preferisce aiutare il più giovane dei suoi abituali capitani; e si mette in testa a dare l'ultima trenata. Bettini, Vinokourov, Boogerd: ripresi, amen.



Tom Boonen in maglia iridata


Gli ultimi 500 metri sono una storia già scritta, eppur bellissima da vedere. A Boonen, a quel punto vincitore annunciato, si affianca in una volata di forza, lunga, palpitante, quel Valverde che già tanto ha dato in questa giornata, in questi ultimi 50 chilometri. Tom, al contrario, è sempre stato ben coperto, non ha speso un grammo in più di quel che doveva. E questo fattore, in capo a 273 chilometri di gara, ha il suo peso, un peso non indifferente, specie se si aggiunge in favore di quello che parte già favorito.
Il testa a testa, che si consuma mentre Bettini, unico nostro alfiere lì presente, si immalinconisce e scivola indietro (solo 13°, alla fine), vede Boonen venir fuori con tutta la freschezza, la potenza, la gioia, la vitalità dei suoi 25 anni non ancora compiuti. Boonen, Boonen, Boonen, un campione del mondo al cubo, un fantastico corridore che quest'anno ha vinto quanto l'intero gruppo sognerebbe di vincere in una carriera. Fiandre, Roubaix, Mondiale, lui stesso lo sottolinea alla fine, che si tratta di un'impresa incredibile; mentre Valverde, padrone di casa, sorride amaro, al suo secondo argento mondiale dopo quello di Hamilton (ma lì almeno vinse il suo connazionale Astarloa); mentre Geslin è quasi incredulo per essere capitato su quel podio con quei due colossi; mentre Bettini è già fuggito, contrariato come non mai; mentre Petacchi, triste tristissimo, sente sulle sue spalle tutto intero il peso di quello che sarà al più presto etichettato come il fallimento di Madrid; mentre il ct Ballerini si sta già chiedendo se e dove ha sbagliato; mentre il nazionalismo spinge molti a condannare questa corsa, anteponendo la ragion di stato a quella, che dovrebbe prevalere, dello spettacolo e del cercare un Campione del Mondo il più degno possibile; mentre l'iraniano Mahdi Sohrabi, unico superstite dei 6 iscritti dalla sua federazione, è ancora lontanissimo dalla fine delle sue odierne fatiche, che troveranno pace solo 27'13" dopo quelle dei primi, ultimo di un gruppo reso inutilmente eterogeneo da troppe mezze figure gettate nella mischia, mandate loro malgrado al massacro dall'ennesima boutade di un'Uci che deve al più presto ritrovare se stessa per il bene del nostro ciclismo.

Marco Grassi        



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