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Un Giro "Professional" - Selle Italia e Panaria, ecco Savio e Reverberi

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È stato il Giro d'Italia di Savoldelli, lo è stato di Basso, di Petacchi e McEwen, di Bettini e Di Luca. Ma è stato il Giro d'Italia anche (o soprattutto) di Selle Italia-Colombia e Ceramica Panaria-Navigare, poste in ordine di classifica generale: 3° Rujano, il piccolo venezuelano che ha spianato le montagne, 10° Sella, il vicentino che l'anno scorso emozionò tutti sulle strade di Romagna tanto care ad un compianto Campione che nessuno scorderà mai.
O poste in ordine di vittorie di tappa: 3 contro 2, con la doppia affermazione di Parra Pinto, altro sudamericano (ma colombiano, stavolta) nel week-end dolomitico di Ortisei e Livigno e la perla di Rujano sul Finestre e doppio Sestriere per la squadra di Savio e Bellini, prologo con Lancaster (con tanto di prima maglia rosa) sul lungomare calabrese di Reggio e vittoria (a tavolino, d'accordo, ma pur sempre vittoria) di Luca Mazzanti a Frosinone, dopo la caduta di Cooke ed il declassamento di Bettini in rosa per la famiglia Reverberi.
O poste secondo le maglie portate a casa: 1 contro 0, sempre a favore dei primi, oppure 1 contro 1 se diamo la giusta dimensione alla prima maglia rosa indossata dall'australiano Brett Lancaster che fa il paio (o quasi) con la maglia verde finale ancora di Rujano, e non poteva essere altrimenti, di miglior scalatore del Giro 2005.
Numeri importanti, da squadre di primissimo piano, se consideriamo che la rosa l'hanno indossata sei squadre (Panaria con Lancaster appunto, Quick Step con Bettini, Davitamon con McEwen, Liquigas con Di Luca, Csc con Basso e Discovery con Savoldelli fino a Milano), che la verde fino all'anno scorso conferiva punti Uci al pari di quella ciclamino (montagna la prima, a punti la seconda classifica) e che 5 tappe su 21 sono quasi il 25% dell'intero bottino.
Perché tutto questo, doveroso, preambolo? Facile, perché la Selle Italia-Colombia e la Ceramica Panaria-Navigare sono le due "intruse" del Giro d'Italia, quelle due wild card che l'organizzazione Rcs, nella persona di Angelo Zomegnan, ha voluto conferire alle squadre escluse dal circuito Pro Tour, da quest'anno primattore sui palcoscenici più importanti del panorama ciclistico europeo.

Gianni Savio, capello bianco e baffetto grigio da "Via col vento", ti parla e ti avvolge con i suoi modi di fare, quasi recita: «Siamo stati la rivelazione del Giro d'Italia, che è andato anche al di là delle nostre più rosee aspettative. Abbiamo corso come ci si aspettava da noi, assecondando i motivi per cui siamo stati invitati. La combattività e l'aggressività in corsa sono da sempre stati i modi di correre delle mie squadre. Qualcuno ha storto il naso quando è uscito il nome della Selle Italia-Colombia come seconda invitata tra le squadre Professional nella kermesse rosa, ma ricordo che negli anni passati siamo stati vincitori di maglie verdi, maglie Intergiro, premi fair-play, passaggi in vetta sui monti più significativi».
Difatti l'anno scorso Illiano vinse la maglia azzurra dell'Intergiro e passò in vetta, solitario, sul Mortirolo e Freddy González Martínez (da quest'anno agli amici-rivali della Panaria), guarda un po' anch'esso sudamericano, vinse nel 2003 la maglia verde, bissando quella di un paio di anni prima.
«Il nostro Giro - continua Savio - è stato una sorta di miracolo sportivo, come se la Reggina si venisse a trovare a giocarsi un campionato in una sfida scudetto contro la Juventus. Purtroppo il Pro Tour ci permette di confrontarci poco contro le cosiddette big, anche se ci tengo a precisare che io sono favorevolissimo alla filosofia del nuovo circuito che l'Unione Ciclistica Internazionale ha istituito. Soltanto credo che non si possano sostenere 20 squadre».
Guardandolo, ed ascoltandolo, ci si rende conto che la passione viscerale con cui parla e con cui si rivolge ai suoi pupilli sudamericani non esula dal luogo da cui provengono: «La Colombia è un paese particolare, che si ama o si odia. Ed è facile capire qual è l'opzione che è più mia».
Difatti Savio è ricambiato dallo stato di Bogotà, che lo ripaga con l'ammiraglia e la conduzione del team nazionale della Colombia: «Parra Pinto è un corridore che era appiedato fino ad un paio di mesi fa, e l'anno prossimo correrà in una grande squadra. Per carità, sono contentissimo per lui, e so che un corridore di una squadra media che vince due tapponi di montagna in un Grande Giro si trova catapultato necessariamente in una nuova dimensione. Però resta la soddisfazione di aver creduto in lui quando era un disoccupato. Fiducia che è stata ampiamente ripagata, mentre Rujano è un ragazzo che mi è stato segnalato da un mio ex corridore, un altro venezuelano, Leonardo Sierra, che mi ha consigliato di visionare il ragazzo in allenamento. Una volta visto, non potevo non prenderlo. Gli scalatori sono il sale di questo sport, la vera essenza del ciclismo. Questo mi ha aiutato ad innamorarmi del Sud America, dove le montagne proprio non mancano. Sono stato laggiù la prima volta nel 1987, una delle prime gare da diesse, e ne sono rimasto totalmente rapito. Scioccato».

Roberto Reverberi, con la classica pelata, è un po' meno tirato nel dialogo, anche perché non sta subendo il bombardamento di domande che da un po' di tempo assale il ds e patron della Selle Italia-Colombia. Si scherza e si ride, si parla delle volate di Grillo, quando ci dice che «a volte Paride ha voluto strafare, e se si raffronta il Giro 2004 con quello di quest'anno si può vedere come Borrajo abbia fatto come, se non meglio, del comasco. Ma Grillo è italiano, sa parlare, piace alla gente, e l'impatto è diverso. Il suo Giro d'Italia è ottimo, per carità, lamentarsi sarebbe assurdo, ma qualche piazzamento in più poteva venire fuori, ed invece in un paio di volate ha smesso di pedalare ad 80 metri dall'arrivo. Da lì è nata l'idea dell'anticipo che ha portato al secondo posto di Rovereto. Non dimentichiamoci che, oltre Lancaster, Paride non aveva compagni che potevano aiutarlo, anche se i vari Brown, Borrajo e Matveyev avrebbero potuto svolgere mansioni di questo tipo. Ma abbiamo deciso di improntare una squadra di scalatori, con Mazzanti per le tappe vallonate della prima settimana, Lancaster per il prologo e Grillo per le volate».
Altro neopro' che ha affascinato gli italiani è Domenico Pozzovivo, «un portento, pensavamo che dopo una dozzina di tappe dovesse fare la valigia e tornare a casa, come di solito si fa con i più giovani per preservarli. Invece abbiamo visto che in salita non faticava, anzi, i problemi ce li aveva in pianura, quando si trovava in mezzo al gruppo. Spesso infatti finiva in coda e qualcuno doveva riportarlo davanti. Un Giro d'Italia veramente soddisfacente per il lucano, mentre invece - si sfoga Roberto - ci ha un po' deluso Laverde Jiménez, che aveva corso bene fino all'inizio del Giro e che invece si è perso strada facendo. L'anno scorso fece 15°, e lo abbiamo preso proprio visto quel risultato e per il tipo di lavoro che avrebbe potuto svolgere con González Martínez, altro neoacquisto che però è stato sfortunato patendo un'influenza sin dalle prime tappe», e non possiamo che prendere atto delle parole del figlio di Bruno, che da quest'anno ha assunto i gradi di ds principe degli "orange" italiani.
L'altro borbotto è rivolto verso Sella, perché «se nella tappa che arrivava a Livigno avesse rifiatato un po', avrebbe potuto collaborare con i Selle Italia ed avremmo potuto guadagnare parecchi minuti sugli altri. Non dico i 3' che aveva ad un certo punto, ma almeno un paio su tutti, tranne Rujano, avrebbe potuto metterli in cascina. Purtroppo ha corso più col cuore che con la testa, voleva l'impresa, ed a nulla sono serviti gli inviti di mio padre, che lo seguiva in ammiraglia. In quel caso, ha corso come se fosse stato, ancora, un dilettante».
Ammonimenti che non sono giudizi negativi, anche perché poi il vicentino ha saputo entrare nella top-10 della corsa rosa, migliorando il dodicesimo posto dello scorso anno, al debutto, seppur con una tappa vinta in meno.
Apri il dizionario d'inglese, e se si dà per scontato che la parola "card" significhi invito, trovi invece che la parola "wild" può essere tradotta in più modi: wild come selvaggio, wild come matto, wild come timido, ma anche come feroce; usata come avverbio, può essere tradotta come sconsideratamente, avventatamente, a casaccio. Ma la definizione che ci piace di più la troviamo in mezzo ad incolto e selvatico: wild, come indomito.

Mario Casaldi



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