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Rujano ci crede davvero - «Se ho la gamba è difficile starmi dietro»

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Lo guardi in viso e ti sembra di parlare con un bimbo. Ha il cappellino celeste in testa, e con le orecchie a sventola e quel fisico minuto sembra un mix tra E.T. (l'extraterrestre che Rambaldi partorì per Spielberg) e Pantani, seppur in scala 1:3 (ci limitiamo ad un accostamento fisionomico, e lo puntualizziamo per chi già si fosse scandalizzato, ndr). Lo senti parlare, però, e ti accorgi che c'è la scorza del fuoriclasse, di quelli che si sentono talmente sicuri delle loro potenzialità da diventare quasi altezzosi. Ma non c'è arroganza nelle sue parole, da quei suoni tipicamente sudamericani che escono dalla sua bocca; c'è invece la consapevolezza di aver fatto qualcosa di grandioso, di essere entrato nel cuore degli italiani, ad un anno di distanza (seppur con lo stesso millesimo essendo del 1982) da quel Damiano Cunego che nel 2004, alla stessa età di 23 anni infiammò i cuori di ogni appassionato di ciclismo in Italia (e non).
Rujano non ha (ancora?) la maglia rosa, ma di certo col suo passaggio per primo sullo Stelvio e quella maglia verde conquistata ancor prima di affrontare Colletto del Moro, Colle di Tenda, Colle delle Finestre e doppio Sestriere ha lasciato, tangibilmente, il segno sul Giro d'Italia 2005.
Innanzitutto José, come si pronuncia il tuo cognome?
«In italiano si può anche dire Ruiano, ma la corretta pronuncia è Ruàno, quasi senza far sentire la j, che è molto aspirata».
E così ci siamo tolti la prima curiosità. Primo Giro d'Italia, e prime emozioni. Dove vuoi arrivare?
«La mia partecipazione al Giro d'Italia di quest'anno era stata pensata per farmi fare esperienza. Ma è certo che, arrivato a questo punto, se avrò la gamba per cercare di arrivare sul podio di Milano non sarà di certo la giovane età a fermarmi o a consigliarmi di aspettare».
Oltre alla maglia verde di miglior scalatore, il passaggio per primo sullo Stelvio, sulla Cima Coppi del Giro 2005. Descrivici cosa hai provato.
«L'emozione della gente, il calore dei tifosi. Mi è sembrato quasi di stare a casa mia, in Venezuela. Lì non ci sono molti corridori, ma di montagne ce ne sono a migliaia, e quando ti vedono salire ti incitano anche se sei soltanto in allenamento. La gente è affezionata agli scalatori, perché si diverte a guardarli mentre sono in azione. Gli scalatori danno emozioni, ed io sono contento di darne».
La Selle Italia-Colombia con la coppia Parra e Rujano è andata decisamente oltre le più rosee aspettative.
«Io e Parra abbiamo fatto un buon lavoro, è vero. Il nostro obbiettivo primario era di lavorare e di partire da lontano per assicurarci più punti possibile nei Gpm, possibilmente cercando di fare primo io e secondo Ivan. Poi, stando davanti è ovvio che non ci si ferma, ed i migliori ci hanno lasciato fare. Noi siamo abituati agli sforzi in salita, ci sono montagne sulle Ande che sfiorano altitudini da capogiro, superando i 4000 metri. Così Parra ha provato per ben due volte a scattare per anticipare il gruppetto, e se lo avessero ripreso sarei partito io. Ma mai nessuno è riuscito a contenerlo, e da una parte sono contento per lui. Ivan Parra così ha due tappe, io ho la maglia verde e la possibilità di vincere il Giro d'Italia. Sono molto contento».
In effetti, meglio di così... José, però tra le montagne di giovedì e sabato c'è anche la cronometro di Torino, e tu a Firenze hai perso molto dai tuoi diretti concorrenti. Il tuo peso ti condiziona?
«Nessuno ci ha fatto un gran caso, ma io nella cronometro che portava a Firenze ho cambiato per ben 4 volte la bicicletta, perdendo almeno 2 minuti e mezzo solo per noie meccaniche. Ed una volta il cambio, l'altra la catena, poi il pedale, ed infine ho fatto gli ultimi 15 chilometri con la bici normale, senza impugnatura da cronometro. Per tutti questi motivi, non credo di aver fatto poi tanto male quella cronometro, e se la fortuna sarà un po' più clemente verso Torino potrei anche stupire tutti con una grande cronometro».
Hai da rimproverarti qualcosa finora in questo Giro?
«Nella tappa di Zoldo Alto vinta da Savoldelli ho perso un minuto e mezzo negli ultimi due chilometri, perché mi sono alimentato male ed ho avuto una crisi di fame proprio a pochi metri dalla linea del traguardo. Ecco, quella è l'unica cosa che mi infastidisce un po', ma sono errori dettati dall'inesperienza, che sicuramente mi saranno utili per il futuro».
Dopo il Giro d'Italia, quali saranno i tuoi programmi?
«Tornerò in Sudamerica, perché vorrei provare a conquistare la maglia di leader del mio continente, visto che laggiù non ci sono di certo tutti i campioni presenti da queste parti. Parteciperò a due corse a tappe, la Vuelta a Colombia di 15 giorni e la Vuelta Venezuela di 8 giorni. Una volta terminate queste due gare, vedremo».
E se dovessi sbilanciarti ad immaginare il tuo futuro, come lo vedi?
«Tra un paio d'anni vorrei essere pronto per andare al Tour de France da protagonista. Io mi alleno in Venezuela al mio paese, dove ci sono salite anche lunghissime che da 600 metri di altitudine ti portano a 4000 metri. E poi c'è il caldo, come a luglio in Francia, mentre magari in Italia da qualche parte si trova ancora la neve, che io un po' soffro. Ma proverò ad andare al Tour dopo aver vinto il Giro d'Italia, e chissà che io non ci riesca quest'anno».
Difficile però che i favoriti, visto che adesso sei molto alto in Classifica Generale, ti lascino andare.
«Se ho le gambe, lo dico perché mi conosco, sarà difficile per loro tenermi la ruota, non per me che mi lascino andare. Le pendenze proibitive sono fatte apposta per il sottoscritto, e da qui a Milano ce ne sono abbastanza».
Il tuo favorito per la vittoria finale del Giro d'Italia chi è?
«Simoni, e poi Savoldelli».

Mario Casaldi    

 

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