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Gioia Boonen al Fiandre - I tedeschi si suicidano, Tom vince

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Eccolo qui il nuovo Leoncino. La festa nazionale del ciclismo fiammingo si incarna in uno splendido Tom Boonen, che a soli 24 anni conquista la prima corsa monumento della sua carriera e si avvia ad essere uno dei punti di riferimento per il pianeta Nord da qui a un decennio buono.
Boonen ha vinto di forza, staccandosi tutti dalla ruota, anche se sarebbe stato ugualmente favorito in un arrivo in volata ristretta. O non ha voluto rischiare, o ha voluto dare in tutto e per tutto una dimostrazione di grandezza. Un po' entrambe queste cose, visto che i compagni di fuga non erano propriamente latori di messaggi rilassanti: veloce Van Petegem, potenzialmente velocissimo Zabel, il quale avrebbe potuto anche fare corsa parallela col compagno Klier; incognita il giovane Ballan, e da non sottovalutare anche il buon Petito, che in questa settimana, tra La Panne e Meerbeke, ha raggiunto una dimensione internazionale di tutto rispetto.
Boonen ha vinto con totale merito, ma va anche detto che è stato favorito da alcune situazioni particolari. Su tutte, la tattica incredibilmente fuori da ogni logica della T-Mobile, che a un certo punto pareva vicina a poter fare e disfare a suo piacimento del Fiandre, e invece ha accumulato una sequela di errori che si capirebbero a fatica in una corsa di allievi, figurarsi qui, nel Grande Pro Tour dei Professionisti.
Prima di tutto ciò, il doveroso omaggio ai 6 arditi di giornata, Samuele Marzoli, Boucher, Mourey, Barredo, Backstedt (che fa, si mette alla prova per Roubaix?) e Zaballa, l'ultimo a mollare. Partiti lontano dai muri, non pretendevano certo di fare i guappi prima che la corsa entrasse nel vivo; magari speravano di essere, più avanti, al posto giusto al momento giusto. E in effetti uno di loro, Zaballa, ha poi condiviso qualche centinaio di metri di attacco con i veri protagonisti della giornata.
Noi italiani, orfani di Bettini ammalato e dei grandi del recente passato (Bartoli ritirato, Tafi proiettato più che altro sulla prossima Parigi-Roubaix, dopo la quale si ritirerà anche lui) dovevamo inventarci un senso per questa giornata inaspettatamente soleggiata e mite. Alessandro Ballan ci ha dato, in quest'ottica, una grande mano. Quando è scattato a quasi 60 chilometri dalla fine, pensavamo che fosse un tentativo lanciato quasi per il gusto di provare fine a se stesso, per vedere di nascosto l'effetto che fa: scopertosi vincente alla Tre Giorni di La Panne, il 25enne veneto ha dimostrato di aver capito subito come si sta al mondo, a questo mondo fatto di pietre e di fango (se piove) o di polvere (se c'è il sole).
Ballan è stato la testa di ponte nelle fasi decisive. Di fatto, è stato fino alla fine nel gruppo ristretto di quelli che questo Fiandre se lo sono giocato. E se Boonen ha portato i suoi 24 anni sul gradino più alto del podio, ci sono anche i 25 di Alessandro a sottolineare un ricambio generazionale, una ribalta pretesa e ottenuta da una generazione nuova, che scalpita anche nelle prove in linea, dopo essersi messa in luce in quelle a tappe.
Con Ballan a pieno titolo presente dove forse non sperava nemmeno lui, restava da vedere chi e quando avrebbe dato la scossa decisiva alla corsa. Il primo pezzo da 90 a muoversi seriamente è stato Zabel, scalpitante tutto il giorno, infine convinto di sé e pronto all'azzardo a 35 km dal traguardo. Al suo fianco, sin da subito, Roberto Petito, anche lui protagonista di una settimana più che positiva.
Zabel in fuga, lanciato verso la prima posizione detenuta fin lì da Ballan? Interessante prospettiva, due italiani e un velocista forse sfiatato a giocarsi il successo. Sapevamo sin da subito che l'epilogo non poteva essere così semplice, ma ci sarebbe ugualmente piaciuto vedere che cosa succedeva senza il provvidenziale (per gli altri) intervento di Andreas Klier. Il quale, incurante di avere un uomo forte davanti, è partito in caccia a sua volta. Peccato che si sia portato appresso nientemeno che i due favoriti della corsa, Peter Van Petegem e Tom Boonen.
Avendo in fuga uno veloce come Zabel, quale mossa più logica da fare se non portargli alle calcagna due più veloci di lui e più adatti al terreno odierno? Il sospetto che sull'ammiraglia T-Mobile dormano della grossa diviene certezza quando si assiste alla fase successiva della tattica dei tedeschi: con la fuga che ha ormai preso corpo, con 6 uomini a farne parte (di cui due del team bianco-fucsia: il che è pur sempre un vantaggio, indipendentemente da chi siano i due), dal gruppo decide di muoversi Serguei Ivanov. Vede che i Discovery arrancano, e allora si mette in testa a fare l'andatura.
Il vantaggio degli attaccanti scende di secondo in secondo, da 23" fino a 17".
Fortuna loro che Ivanov o non ne ha più, o si rende conto che la sua azione sta facendo rivoltare le tombe di tutti i direttori sportivi dal '500 a oggi; in pratica, il russo si ferma. E gli attaccanti tornano a scavare un solco sempre più profondo. Ciao ciao Discovery, andate a discovrire da qualche altra parte il modo di vincere una classica di questo stampo: assurdo, con tre o quattro uomini nelle prime posizioni del gruppo, che nessuno si sia degnato di provare a restare al fianco di Boonen e Van Petegem a 30 km dal traguardo.
Sui muri decisivi risulta abbastanza chiaro che dei 6 in fuga, quelli che davvero ne hanno sono solo un paio (indovinate quali). Sia sul Grammont che sul Bosberg, Zabel e Petito mostrano la corda, si staccano, restano a vista facendo leva su una grande esperienza ed un ancor più grande coraggio, ma si vede ad occhio nudo che non hanno la prontezza per rispondere presente a troppi cambiamenti di spartito. Ballan è lì, un po' sulle sue, rapportone sempre innestato, ma il meglio di sé l'ha già dato prima, ora parte dal sesto posto e tutto quel che viene in più sarà tutto guadagno. Finisce sesto, infatti.
Klier dovrebbe sperare di non fare errori tattici, e di avvalersi dell'aiuto di Zabel per contrastare l'accoppiata belga che di lì a poco farà il diavolo a quattro. A posteriori, ci sentiamo molto sciocchi per aver preso in considerazione, anche solo per 7 centesimi di secondo, la possibilità di una tattica sensata in casa T-Mobile. Boonen e Van Petegem, da parte loro, sanno come si fa.
Peter fa il forcing sul Grammont, ma Boonen è lì pronto a ribadire la sua freschezza. Ruoli alternati sul Bosberg, ma il prodotto non cambia.
Proprio sul Bosberg, i tedeschi raggiungono un sublime picco di delirio: Klier forza proprio dove non dovrebbe, e non fa male ai rivali per il successo, ma solo al suo povero compagno Zabel (e un po' a Petito, che a quel punto però non è certo il più temibile della compagnia).
Passato il Bosberg, resta solo pianura. Klier a questo punto potrebbe anche pensare di scattare, peccato che abbia già dato quasi tutto. Zabel naviga a vista, Petito prova un allungo secondo copione. Ma la lotta è fra quei due. Il più forte è Boonen. Al primo scatto lo chiude Klier, al secondo più nessuno. E Tom se ne va, veloce come il vento, verso il traguardo della consacrazione. Alle sue spalle non succede più niente di importante. Klier prima si stacca, poi rientra e scatta verso il secondo posto, ma è un secondo posto di rimpianti, figlio di errori e del più lampante suicidio tattico di questo avvio di stagione. Non diciamo che i tedeschi avrebbero vinto il Fiandre 2005. Ma avrebbero potuto andarci molto più vicini di quanto non sia effettivamente stato.

Marco Grassi

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