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Che numero su Sanremo? - Classicissima, lotta tra sprinter

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L'unica cosa certa è che non ci sarà una maglia iridata a sfrecciare per prima sotto lo striscione di via Roma. A meno che Oscar Freire non voglia fare il Masaniello e contestare de facto una delle più stupide imposizioni dell'ultimo decennio, quella che prevede che colui che è in testa alla classifica Pro Tour debba indossare per forza la relativa maglia, anche se è il campione del mondo e normalmente porta in giro sul petto l'arcobaleno. Lo spagnolo dovrebbe quindi riporre l'amato iride e mettere su un'insipida maglietta bianca con un paio di strisce azzurre ai lati.
E se è vero che l'estetica spesso è un viatico, in questo caso non ci siamo neanche sotto questo punto di vista: la medicina dell'Uci va ingoiata amara com'è, senza neanche lo zuccherino. Questioni di forma, e basta? No, altroché: vincere una Sanremo in maglia iridata è una foto che vale una gigantografia, Freire ci si sarebbe potuto affrescare la casa. Invece l'Uci, ovvero l'organo che per primo dovrebbe difendere certe tradizioni, ci passa sopra con lo schiacciasassi.
Espletato lo sfogo, si passa all'analisi. Forse è un caso, ma forse no: gli scattisti, i finisseur, gli uomini che sanno attaccare sulle salitelle e poi sono anche veloci, quelli che fanno la differenza sulle asperità, i più classici tipi da classiche... insomma: s'è capito il tipo. Ebbene, questi corridori, chi per un motivo, chi per l'altro, sembrano non al meglio della condizione.
Può essere un caso, può essere che l'influenza di febbraio abbia un po' frenato alcuni di loro, però può anche esserci una seconda chiave di lettura: "Chi me la fa fare di buttare speranze ed energie in una corsa che, per quanto affascinante e mitica, allo stato attuale delle cose non potrò mai vincere? Meglio spostare il picco più avanti, e puntare sul Nord". Questo ci sembra un ragionamento più che legittimo, che miscela consapevolezza nei propri mezzi e soprattutto in quelli degli altri.
Gli altri, ovvero quelli del treno Fassa Bortolo. Aleggia nel gruppo la certezza che gli uomini di Ferretti terranno la corsa sigillata per Petacchi, il quale ci ha anche messo del suo, migliorando in salita e allontanando i ragionevoli dubbi che Cipressa e Poggio potessero fiaccarne, dopo 290 chilometri di gara, la brillantezza in volata.
Perché, quindi, sprecarsi in una corsa dal finale già scritto? La Sanremo ai velocisti, questa pare la legge: "Gli altri corridori hanno tante gare su cui puntare, ci lascino almeno questa!". Eppure, spinti dalla curiosità, siamo andati a scartabellare l'andamento della Classicissima, dal 1907 al 2004, da Petit Breton a Freire. Per scoprire che quella che vorrebbe la Sanremo come una gara storicamente riservata agli sprinter, non è altro che una leggenda fondata sulla sabbia.
In totale, la Milano-Sanremo si è conclusa con una volata di gruppo 17 volte in 95 edizioni. Al contrario, possiamo registrare ben 41 arrivi solitari; e 37 arrivi in gruppetti (13 volte in 2, 6 volte in 3, 4 volte in 4, 3 volte in 5, 11 volte in gruppetti da 5 a 15 uomini). Scendendo nel particolare, troviamo un solo sprint di gruppo fino al 1925 (ma il plotone era composto nell'occasione da soli 23 corridori), due dal '26 al '42, 5 dal '43 al '59, dopodiché Torriani inserì nel tracciato il Poggio, e nei due decenni successivi non ci fu che un solo volatone.
Nel biennio '79-'80 il gruppo tornò a far valere la sua legge, e Torriani si inventò la Cipressa, che esordì nel 1982. Risultato: un altro quindicennio di arrivi solitari o di piccoli drappelli. Fino al 1997, anno in cui si registra la prima affermazione di Zabel. Da allora, 6 sprint di gruppo, 1 allungo (Tchmil) sul rettilineo finale, e un arrivo a 3 (Bettini-Celestino-Paolini). Insomma, su 17 sprint in totale, 6 si sono visti negli ultimi 8 anni.
Conclusioni: non esiste nessuna pregiudiziale ad un cambio di percorso che renda la Sanremo più incerta di quello che è oggi. La Sanremo, prima dell'ultimo periodo, non è mai stata una corsa per velocisti, se non in brevi, circoscritti e transitori periodi. I vecchi organizzatori dimostrarono di tenere nel giusto conto il progresso degli atleti e dei materiali, progresso che ha reso insufficienti a fare selezione prima il Turchino e i Capi, poi il solo Poggio; e che ora ha sterilizzato anche la Cipressa.
Quindi sarà il caso che la Rcs aggiunga effettivamente una salita dal prossimo anno. Non si tratta di indurire oltremodo la corsa, ma di aggiungere alla grande attesa del primo appuntamento fondamentale della stagione anche il pepe dell'incertezza: ci sarà la fuga? Riuscirà qualche velocista a salvare le gambe? Quando avverrà lo scatto decisivo?
In attesa di future edizioni più ricche tecnicamente, ci accingiamo ad assistere alla sfida Petacchi-Resto del Gruppo. Freire condivide con lo spezzino i favori del pronostico, alla Tirreno ha fatto mirabilie, ma in uno sprint puro l'italiano, se ci arriva bene, dovrebbe averne ragione. Cipollini è l'incognita, sa ancora come si vince, ma non è il SuperMario di un paio di anni fa, e dovrebbe comunque sperare in qualche errore degli avversari.
Il resto della compagnia: c'è Boonen, reduce da un'ottima Parigi-Nizza e capace di incutere timore; c'è Zabel, quattro volte primo ma senza lo smalto di un tempo, e ancora scottato dalla beffa subita un anno fa proprio da Freire; ci sono Hondo, O'Grady, McEwen, ma rendono tutti diversi metri, in volata, a Petacchi e a Freire.
A parte i velocisti, non c'è grande ardimento in giro; forse Celestino proverà ad allungare sulla discesa del Poggio, azione che ha già provato alla Milano-Torino il 5 marzo. Forse qualche passistone proverà l'anticipo à la Tchmil. Ormai ci siamo, comunque, e in fondo anche un tirato testa a testa tra Ale e Oscar potrebbe valere il prezzo del biglietto.

Marco Grassi    



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