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Roberto Tricampeon - Heras vince la sua terza Vuelta

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Scusate l'abbaglio. Ci eravamo sbilanciati, avevamo detto che probabilmente sarebbe stato Santiago Perez a festeggiare oggi, dopo la cronometro di Madrid. E invece Roberto Heras si è inventato una prestazione superba, forse la sua miglior prova di sempre contro il tempo, e ha vinto la Vuelta 2004.
Aveva 43" di vantaggio su Perez Fernandez, il quale avrebbe dovuto recuperare poco più di un secondo e mezzo al chilometro per annullare il gap e completare una rimonta iniziata lo scorso fine settimana e sublimata da due vittorie di tappa (tra cui quella decisiva della cronoscalata di Sierra Nevada), e rilanciata al Puerto de Navacerrada, ieri. I presupposti erano dalla parte dell'inseguitore, e invece, per il meraviglioso quid di incertezza e di capacità di sovvertire logiche e pronostici che è proprio dello sport, oggi la maglia oro è rimasta, definitivamente, sulle spalle di Heras.
Spalle larghe, di chi ha già perso una Vuelta all'ultima tappa, e sa che cosa significa dover dare tutto per centrare l'obiettivo di una stagione nel momento in cui quello stesso obiettivo ti sta sfuggendo via. Da quel 2002 in cui si dovette arrendere a Gonzalez Jimenez, Heras non ha più sbagliato: non l'anno scorso, contro Nozal, scavalcato nella cronoscalata della penultima tappa; non quest'anno, con Perez Fernandez respinto senza troppi complimenti nella crono in piano di Madrid (in un esercizio che, non prevedendo la scalata, dovrebbe essere più ostico per Heras).
E' pur vero che l'uomo di Béjar è arrivato con grande affanno al traguardo di questa sua terza Vuelta, un quasi record (ne ha tante quante Rominger, che però vinse le sue consecutivamente). Dopo il pessimo Tour de France, la corsa di casa era diventata lo sbocco naturale ma necessario di una stagione che rischiava di risultare insensata. E Roberto è stato bravo in questo, si è saputo gestire, anche a livello mentale, e ha saputo spostare in avanti il suo picco di condizione.
Il capitano della Liberty Seguros, non certo una colonna di questi anni, non certo il più entusiasmante dei professionisti in attività, non certo l'uomo che più scalda i cuori degli appassionati di tutte le latitudini, ha comunque saputo ritagliarsi uno spazio importante, e a suo modo ha caratterizzato un'epoca: all'inizio degli anni 2000, mentre Armstrong vinceva un Tour dopo l'altro, lui era il dominatore della Vuelta di Spagna, e questo titolo non glielo toglierà più nessuno.
Alle spalle di Heras e di Perez Fernandez (bravo a vincere in ogni caso la crono madrilena e a non lasciare nulla di intentato), anche la lotta per il terzo posto si è conclusa con una sorpresa: Mancebo, che avrebbe dovuto soffrire, ha estratto dal cilindro - esattamente come Heras - una crono eccezionale, è arrivato addirittura secondo, davanti a una marea di specialisti, e ha salvato il suo bravo podio: negli anni, il campione nazionale spagnolo sta evidenziando costanti progressi che lo potrebbero porre in futuro in prima linea tra quelli che ambiscono ad occupare il posto di Armstrong nel ciclismo internazionale.
Al contrario, Valverde non ha fatto vedere grossi passi avanti rispetto a dodici mesi fa. Ha vinto una tappa alla sua maniera, e non ci ha mostrato niente di nuovo; e ha chiuso in calando, perdendo negli ultimi due giorni quel terzo posto che invece nel 2003 aveva guadagnato e consolidato proprio nella seconda parte della Vuelta. E' vero che il percorso di quest'anno era ben più duro, ma proprio alla luce di questo fatto il genietto del ciclismo iberico è risultato deludente: era una sorta di prova generale per lui, e non è stato brillante secondo quanto ci si aspettava da lui. Cunego, più giovane di lui, ha già vinto il Giro d'Italia, alla prima occasione in cui l'ha corso da (più o meno) capitano. Valverde non ce l'ha fatta per due volte con la sua corsa di casa. Questo non vuol dire che in futuro il murciano non possa vincere delle corse a tappe, ma di certo il suo percorso sarà meno agevole rispetto a quello del Principino veronese.
Proprio a proposito di Cunego, già alla fine della prima settimana il portacolori della Saeco era praticamente fuori classifica. A parte un'occasione in cui si è infilato in una fuga e poi ha chiuso terzo (l'altro giorno), Damiano non ha in genere dato l'impressione di essere vicino alla condizione del Giro. A posteriori diciamo che è probabile che, messasi la sua Vuelta in salita dopo la crono di Almusafes, il veronese abbia un po' corso col freno a mano tirato, tenendo sempre d'occhio il Mondiale di Verona, suo vero obiettivo di fine stagione. Per lo meno, a questo punto speriamo che sia così.
Garzelli invece è stato abbastanza in linea con le attese, e una volta conquistata la convocazione in nazionale (e avuta la certezza di un ruolo importante in azzurro), ha staccato un po' la spina, mentalizzandosi anche lui sull'appuntamento iridato: ciò gli è costato di certo tre o quattro posizioni in classifica, ma in fondo non è la differenza tra l'ottavo e l'undicesimo posto a dare un senso alla sua carriera.
Petacchi, infine: ha conquistato quattro tappe, e ce n'erano davvero poche per i velocisti. Ha dimostrato di esserci, e di essere pronto per la rivincita fra due sabati, quando alla Parigi-Tours potrà tentare l'assalto ad una grande classica, dopo essere stato beffato da Zabel l'anno scorso proprio a Tours, e dopo aver fallito l'approdo sanremese di marzo. Gli manca proprio, una classica: quando l'avrà vinta potremo parlare di lui come non più solo di un velocista.

Marco Grassi

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