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Popovych l'Americano - Yaroslav ci parla di sé e del futuro

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Sembrava il predestinato a dominare le grandi corse a tappe nei prossimi anni, e, grazie soprattutto al suo terzo posto nel Giro 2003, il suo era il nome più gettonato tra i giovani del gruppo, prima dell'avvento di Cunego. Questo 2004 ha invece un po' ridimensionato Yaroslav Popovych, che per rilanciarsi ha deciso di tentare l'avventura americana, nella nuova Discovery Channel (la ex Us Postal), in cui potrà raccogliere, nel prossimo futuro, il testimone dell'attuale capitano Armstrong.
Yaroslav, il prossimo anno passerai dunque alla corte di Lance. Puoi dirci come mai, tra le varie opzioni che avevi a disposizione, hai scelto la squadra americana?
«Quest'anno è stato un anno un po' particolare; io non sono andato come avrei voluto e forse anche la squadra non era tra le più forti. Ho chiesto così a Colnago se c'era la possibilità di rinforzarsi, ma Ernesto, dopo aver parlato con gli sponsor in Belgio, mi ha riferito che era un progetto un po' difficile e che non c'erano troppe prospettive. Così mi sono messo sul mercato e tra le varie offerte che ho ricevuto, tra le quali anche quella della Fassa Bortolo ho preferito accettare quella del team di Armstrong, che reputo la squadra più forte al mondo. Penso che da un'esperienza così, al fianco di un grande campione, avrò modo di imparare tante cose».
Aldilà dei rapporti professionali, coltivi già amicizie con qualcuno degli uomini di Bruyneel?
«Un po' con tutti ma solo a livello professionale; certo, al momento di prendere questa decisione è capitato di consultarmi con Ekimov, per comprensibili affinità geografiche e linguistiche».
È ovvio che ora è troppo presto per parlare di programmi per l'anno 2005, ma puoi già dirci a grandi linee su che cosa dovrebbe essere impostata per te la prossima stagione?
«Sì, adesso è un po' presto per dire ma a grandi linee dovrebbe essere impostata sul Giro e sul Tour. Per quanto riguarda il Giro, cercheremo di correrlo da protagonisti, sia io che Savoldelli. Paolo tra l'altro lo ha già vinto nel 2002 ed è ovvio che voglia tornarci da protagonista. Anch'io sono molto legato a questa corsa che mi ha lanciato e dopo l'appannamento di quest'anno, terrei molto a far bene. Al Tour, invece, sarà per me un debutto assoluto e sarà molto importante acquisire esperienza».
Nel corso del 2004 hai evidenziato progressi nelle prove contro il tempo (vedi la crono di Trieste al Giro). Come giustifichi invece qualche appannamento riscontrato sulle grandi salite?
«Quest'anno mi è mancata la preparazione per l'avvio di stagione e l'ho pagato in seguito. Ho avuto problemi burocratici con visto e permesso di soggiorno, e a inizio anno non mi sono allenato bene. Sono dovuto andare in giro per ambasciate ed è stato un problema continuo. Prima ho trovato chiuso in Italia a causa delle festività natalizie; poi sono andato in Ucraina ed anche lì era tutto chiuso per festività (da noi arrivano dopo che in Italia). Sono stato venti giorni senza allenarmi girando di ufficio in ufficio ed invece in quel periodo sarebbe stato importante che io fossi stato in bicicletta tutti i giorni per la preparazione. Io non sono sicuro, ma penso che siano state queste le cause maggiori del mio appannamento; mi è mancata la resistenza e sono mancato proprio nella decisiva ultima settimana del Giro».
Sei stato brillante sino alla tappa di Pola, poi però a Falzes, proprio dove Cunego si è esaltato, tu hai avuto momenti di crisi giocandoti definitivamente il tuo Giro d'Italia.
«Sì, non ne avevo per stare alla sua ruota».
Conoscevi Cunego da dilettante?
«Sì, ho corso con lui per due anni. Ricordo in particolare un Giro di Val d'Aosta nel quale lui mi stava dietro. Forse allora gli facevo paura, ma ora sono io ad avere paura di lui».
Da dilettante hai svolto molta attività in Italia, in particolar modo in Toscana. Come spieghi che molti corridori italiani denuncino che nelle categorie giovanili non si pensi minimamente a sviluppare una cultura di preparazione alle gare contro il tempo, e poi atleti come te, che hanno corso in Italia da ragazzi, vanno forte a cronometro? Forse in età molto giovane, quando stavi in Ucraina, svolgevi preparazioni adeguate, magari anche su pista?
«Questo è vero! Credo che da dilettante, correndo in Italia, io non abbia mai disputato gare a cronometro. Da giovanissimo invece, in Ucraina, si sentiva sempre l'influsso della scuola sovietica sui nostri allenatori e ci si preparava per lunghissimi tratti a cercare la giusta cadenza di pedalata, a volte anche sotto la pioggia o il nevischio, e si facevano allenamenti individuali o secondo logiche di crono a squadre. Tanto è vero che quando più tardi da dilettante mi capitava di andare in fuga da solo, riuscivo a mantenere il ritmo per molti chilometri e molto spesso riuscivo ad arrivare al traguardo».
A parte Giro e Vuelta, al Tour con l'unica eccezione di Pantani, è dal 1989 che vince sempre gente che va forte a cronometro. Considerate le tue attitudini e l'eccezionale miglioramento che hai ottenuto a cronometro quest'anno, pensi che la tua carriera sarà improntata sulla logica di gare a tappe oppure avrai un occhio di riguardo anche per le gare in linea?
«Fino ad adesso, per lo meno stando a quanto ho dimostrato, penso che punterò ai grandi giri. Non ho fatto molte gare in linea - parlo di quelle valide per la Coppa del Mondo - e nelle poche che ho fatto non andavo neanche. Però da dilettante andavo bene dappertutto, quindi per il futuro potrei diversificare l'attività. Vedremo».
Alla luce del recente Giro di Lombardia, nel quale i giovani Cunego, Basso ed Evans hanno corso all'attacco, quasi in maniera istintiva, pensi che sia lecito attendersi un ciclismo meno esasperato tatticamente, magari con medie orarie meno elevate, e in cui la fantasia possa tornare ad avere il sopravvento sulle direttive impartite via radio dalle ammiraglie?
«Dipende, ci sono tanti corridori che usano l'auricolare, non lo so se ciò li aiuti davvero oppure no. Personalmente credo che quando si vince, le sensazioni vengono da dentro di noi, non credo che le radioline influiscano più di tanto. Io quando vado forte non ascolto nessuna tattica, ascolto solo il cuore, quello che mi dice di fare lo faccio, mi viene tutto da dentro. Ultimamente però non avevo queste sensazioni e mi sono dovuto calmare. Nei primi due anni invece attaccavo spesso, andavo in fuga, provavo».
Tu pedalavi agile anche da dilettante?
«Sì, andavo agile. Comunque se vai forte puoi andare anche "duro". Basta il risultato finale».
Sì, però andando agile si salva la gamba.
«È vero. I primi due anni andavo agile; quando hai la gamba è più facile andare agile; quest'anno invece avevo quasi sempre il rapporto lungo».
Il Tour 2005 è stato già presentato, tra poco toccherà al Giro. È giusto secondo Te insistere con frazioni a breve chilometraggio oppure ritieni che siccome un vincitore di una grande gara a tappe deve avere doti di tenuta e di fondo, si debba tornare a chilometraggi di 230 o 250 Km?
«Dipende, la corsa la fanno sempre i corridori, non penso che dipenda dal chilometraggio; si possono fare anche brevi percorsi di 90 chilometri, ma correndo a tutta si può arrivare ad uno ad uno con la massima selezione, come può anche succedere che in tappe di 250 chilometri corse a ritmo blando ci si presenti all'arrivo con un volatone di gruppo».
Quali sono i tuoi programmi nell'immediato?
«Starò qui in Italia e forse tra due settimane tornerò a casa in Ucraina, sette o otto giorni, il tempo per fare il visto per gli Stati Uniti dove dovrò essere dal 29 novembre all'8 dicembre, ad Austin in Texas. Poi tornerò ancora in Italia, andrò un po' in montagna e dopo le festività dal 9 gennaio sino al 24 dovrò essere nuovamente in America».
Salirai un po' in bicicletta in questo mese?
«Sì certamente, mi è arrivata tra l'altro in questi giorni quella nuova, la Trek. Uscirò, solo per provarla; e poi farò un po' di palestra e di jogging».
Pensi che il tuo quartier generale resterà nella zona di Pistoia o prospetti di trasferirti?
«Penso di restare in quel di Quarrata, non ci sono particolari problemi. Qui mi trovo bene per l'ambiente e le amicizie. Del resto quello che importa è stare nei pressi di un aeroporto, poi può andar bene qualsiasi posto».

Roberto Sardelli

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