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Armstrong VI Re di Francia - Sei Tour vinti: nessuno come lui

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La nave è in porto. Il viaggio è stato lungo, lunghissimo, e pensare che prima della partenza si pensava che non si potesse proprio prendere il mare. Il giovane Lance Armstrong aveva sorpreso tutti laureandosi campione del mondo a soli 21 anni nel '93, sotto la pioggia di Oslo. Poi accompagnò a quella clamorosa affermazione qualche altra vittoria prestigiosa (una Freccia Vallone, una tappa al Tour nel '95, dedicata alla memoria del suo compagno di squadra e amico Fabio Casartelli, morto pochi giorni prima sul Portet d'Aspet), serbando per il futuro le speranze di evolversi in corridore completo, e capace di brillare non solo nelle corse di un giorno.
Invece venne, a rubargli il tempo, un tumore. Era il 1997, e Lance scoprì dentro di sé il male più brutto, al cervello e ai testicoli. A sopravvivere, già ce ne sarebbe stato d'avanzo per ringraziare il Cielo, o chi per lui, o i medici, o la buona sorte, e predisporsi a condurre una vita normale. Ma siccome Armstrong non è uno normale, ha voluto tornare a correre in bicicletta, obiettivo a cui ha consacrato tutti gli sforzi possibili.
Quando sapemmo che aveva battuto la malattia, fummo felici; e quando risalì in sella, guardammo con enorme simpatia a questo sogno che sembrava più grande di lui. Ma Lance sorprese tutti, in maniera bruciante: partì per vincere il Tour del 1999, e lo vinse. E quel trionfo, commovente, non rappresentava che la prima di sei tappe, il primo passaggio che già sembrò miracoloso, a noi che non potevamo pensare, all'epoca, che su quel successo Lance Armstrong avrebbe costruito un vero e proprio edificio.
Nel tempo, un Tour dopo l'altro, la carica umana di quel campione ha via via lasciato spazio, nell'immaginario popolare, alla voracità del dominatore, che agli altri lascia le briciole, e che a sua volta diventa sempre più lontano, irraggiungibile, intoccabile. Si abbandona a gesti arroganti, si moltiplicano le voci su un suo presunto rapporto preferenziale col doping, ma non ci sono prove. Si dice che la moglie l'abbia lasciato perché lui era andato fuori di testa, pervaso da un'insopportabile megalomania, ma lui si è subito innamorato di Sheryl Crow, una delle più brave cantanti rock americane, lei democratica e contro il sistema, lui repubblicano e amico intimo di GW Bush, che ne usa l'immagine per la campagna elettorale.
Ma in gara in tanti lo sopportano ormai a fatica, dopo 6 anni in cui Armstrong ha recitato un copione sempre più scontato (a parte l'anno scorso, l'unica volta in cui sia andato in sofferenza). I fatti della politica internazionale tolgono smalto agli americani in terra francese, e allora il texano, a volte fischiato sulle salite (quando addirittura non fatto oggetto di sputi), annusa l'aria, e promette che non tornerà a cercare la settima vittoria.
Nel 2005 dovrebbe venire al Giro, Armstrong, e dedicarsi alle classiche, per vincere qualcosa oltre al Tour, perché non si dica che è un campione a metà. Ma alla corsa rosa lo aspettano col coltello tra i denti, Cunego in testa. L'altro nostro uomo di punta giovane, Ivan Basso, che è anche suo amico, si è scontrato con lui negli ultimi Tour. Quest'anno è arrivato terzo, ma spesso è sembrato che facesse corsa parallela con Lance, anziché dargli fastidio. Tanto è vero che ad annullare il più importante (o l'unico) attacco all'americano, portato da Ullrich, non è stata la Us Postal, ma il Team Csc di Basso.
Il varesino ha chiuso terzo, con una tappa pirenaica all'attivo (dedicata alla madre che sta lottando contro un linfoma), e il risultato è eccezionale, soprattutto in prospettiva. Ma avrebbe dovuto fare di più per scaldare gli animi, magari attaccare e rischiare, giusto per non avere, poi, rimpianti.
Il resto del panorama è quasi desolante, a parte Klöden, sorprendente secondo: Ullrich è un deludente quarto, gli spagnoli, attesissimi, sono letteralmente colati a picco, e anche Hamilton si è ritirato per un mal di schiena. In pratica Lance ha lottato contro il nulla, nessuno l'ha mai impensierito: una costante dell'era Armstrong.
 


Marco Grassi

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