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È lo stesso doping? - Calcio e ciclismo, destino diverso

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Il doping sembra tornato con grande furia a scuotere il mondo del calcio. Due famosi giocatori di Inter e Parma, Kallon e Blasi, sono risultati positivi al nandrolone, una sostanza che già due anni fa aveva mietuto una bella messe di vittime, e di cui poi non si era più parlato. A voler essere cinici, c'è da pensare che il doping, essendo presente in quasi tutto lo sport d'elite, fatalmente torna, ciclicamente, a colpire questa o quella disciplina, e stavolta tocca di nuovo al dio pallone. Ma a voler invece essere ingenui, viene fuori una domanda facile facile: come mai il ciclismo (che in ogni caso ora non può e non vuole ergersi a fustigatore di questo o quello, non avendo - è dimostrato - le referenze morali per farlo) ha visto la sua immagine deteriorarsi in maniera così netta (e per certi versi irrimediabile), e ha visto certi suoi campioni letteralmente massacrati mediaticamente, e invece i calciatori positivi continuano a giocare con successo, amati e ammirati da tutti? Come mai la positività nel ciclismo viene vissuta come un'onta (lo è, sia chiaro!), e invece nel calcio nessuno ne chiede più conto a chi ne è stato coinvolto? Come mai i tifosi del calcio non danno peso al fatto che i loro campioni più amati possano essere dopati, e quelli del ciclismo sì? E infine, perché se un calciatore fa una grande partita non viene altro che incensato, mentre se un ciclista fa un'impresa memorabile la fatidica domanda ("Che cosa avrà preso?") aleggia sempre nell'aria?
Tutti questi interrogativi li vogliamo girare a addetti ai lavori ed esperti. A loro le risposte, a voi lettori le conclusioni.

 


Il sociologo: Nicola Porro (Presidente Uisp)
«Il calcio è una religione civile, vince la filosofia del patto col diavolo»


Affrontiamo la questione riguardante il differente impatto che il doping ha sull'opinione pubblica e sui media a seconda se sia coinvolto un ciclista o un calciatore intervistando Nicola Porro, sociologo (autore di diverse pubblicazioni sulla sociologia dello sport) e presidente dell'Unione Italiana Sport per tutti.
Professore, come mai questa discrepanza tra ciclismo e calcio?
«La prima e più elementare risposta è che il calcio è uno sport di squadra, e quindi a livello di percezione le responsabilità vengono divise per 11. Ma un'analisi più approfondita prende in esame la natura del calcio, che è ormai diventato una religione civile, per non dire una paranoia collettiva: per questo si tende a non voler vedere certe situazioni».
Troppo amore acceca.
«Pensiamoci bene: il calcio è rimasto l'unico credo collettivo. I valori si sono invertiti rispetto al passato, oggi, la domenica, meno del 20% della popolazione va a messa, ma l'80% segue le partite. E alla sera, pur non essendo andati allo stadio, è inammissibile non sapere se una squadra ha vinto o perso».
A cosa porta tutto ciò?
«Porta ad una distorsione della percezione della figura del calciatore, che viene innalzato a idolo. Prendiamo l'esempio di Maradona: tutti sanno dei suoi problemi con la droga, ma si tende a perdonare, perché il campione viene identificato con la definizione di "genio e sregolatezza", quindi tutto è lecito per lui. Il calciatore appartiene ormai a una categoria a parte, quella che un tempo era riservata ai musicisti virtuosi: gli si riconoscono doti straordinarie, e a lui è permesso anche trasgredire. E' la cosiddetta "filosofia del patto con il diavolo": il campione è lo strumento per ottenere il risultato (che ormai è un valore assoluto, di gran lunga più importante di tutto il resto, etica compresa), per questo motivo a lui tutto è concesso».
Una situazione che non fa il bene dello sport...
«Sarebbe adatta forse al mondo dello spettacolo (o dell'arte), ma non coincide con le linee guida dell'etica pubblica. Lo sport è un bene pubblico o uno spettacolo?».
Ci libereremo mai del doping?
«Difficile, se si pensa che addirittura i settantenni ne fanno uso, per arrivare all'800esimo posto piuttosto che al 900esimo della maratona per anziani. Abbiamo rimosso l'idea del limite, non vogliamo riconoscere i nostri, e speriamo, attraverso risultati sportivi artificiosi, di perpetuare la nostra "immortalità"».
Un quadro sconfortante.
«Anche tra gli amatori, anche tra i semplici frequentatori di palestre di periferia il doping è una realtà. E i giovani dimostrano di accettarlo sempre di più: il 50% degli studenti di scienze motorie da noi intervistati trova ingiusto che ci siano regole severe solo in Italia, perché all'estero si gareggerebbe in condizioni di inferiorità. Come se il fine dello sport e della lotta al doping non fosse la salute ma il risultato!».
Ma è vero che non c'è, a livello dirigenziale, la volontà vera di combattere il doping?
«Sì, è vero. Per questo abbiamo voluto definire il doping come reato penale, pur non amando questo passo. Solo così qualcosa si è mosso».

 

Il medico: Antonio Dal Monte (Membro Commissione Medica Cio)
«Anche nel calcio infinite motivazioni per doparsi»

 

Il Professor Dal Monte è un nemico storico del doping, che da anni combatte attraverso i suoi molteplici incarichi in ambito sportivo e dirigenziale. Un nemico forse ormai disilluso, ma non per questo meno tenace.
«Mi fa infuriare vedere le differenze di entità nelle squalifiche per i ciclisti, o gli atleti, e i calciatori».
Il Professore entra nel merito.
«Ho visto carriere di atleti distrutte da una pur legittima condanna per doping. Invece coi calciatori mi pare che le cose vadano diversamente: una pacca sulla spalla, "sei stato cattivello, non lo fare più", e tutto viene presto dimenticato».
Eppure il doping nel calcio non è meno grave che in altri sport.
«Verissimo. Si crede che il calcio non abbia bisogno di ausili chimici come altre discipline di fatica. Ma guardiamo la cosa da vicino: a parte il potenziamento muscolare ottenibile grazie a medicinali vari, bisogna considerare la capacità di recupero, dopo una partita o anche solo dopo un singolo scatto. L'effetto di una sostanza illecita sui tessuti muscolari, dilatati e usurati dopo molti sforzi, può essere determinante. Inoltre, vorrei anche sfatare delle false credenze relativamente all'hashish: chi l'ha detto che non possa servire a migliorare le prestazioni sportive? Forse che un atleta che gareggia tranquillo (grazie all'assunzione di oppiacei) non può rendere di più?».
Ora dall'America arrivano notizie allarmate sul nuovo steroide che non veniva cercato con le analisi e che, pare, fosse largamente usato.
«Purtroppo la legge da noi non ci aiuta. Sono illecite solo le sostanze la cui formula è indicata precisamente dal legislatore. Ma così non vengono "coperte" le miriadi di sostanze assimilabili a quelle, ovvero quei farmaci la cui formula è stata minimamente variata, che perciò non rientrano nell'elenco proibito ma che hanno effetti ampiamente dopanti».
E' vero che non c'è, a livello dirigenziale, una volontà vera di combattere il doping?
«No, e questa cosa mi offende. Intanto non posso generalizzare: ci sono soggetti teneri col doping, ma anche persone impegnate fino in fondo. Non posso quindi condividere certe frasi, che trovo qualunquiste e poco professionali».
Lei chiaramente è tra quelli impegnati. Con che prospettive?
«Non mi faccio illusioni. Ce la metto tutta, ma so che questa lotta non si vincerà: quando in un laboratorio antidoping si scopre una nuova sostanza da vietare, contemporaneamente ne vengono immesse 10 sul mercato. E poi, una cosa che spesso non si considera: l'antidoping costa, e non basterebbe un intero bilancio italiano per studiare tutte le sostanze farmacologiche presenti sulla piazza. Non dimentichiamo infatti che ciò che è dopante è anche utile in medicina come farmaco: il campo di ricerca sarebbe enorme, chi se lo può permettere?».
 

 

 

Il ciclista: Daniele De Paoli
«Due anni di stop senza essere positivo, loro 4 mesi per nandrolone»


La storia di Daniele De Paoli è esemplare e paradossale. Fermo dal maggio scorso per essere incappato in una squalifica di due anni, è ancora alle prese con avvocati e processi. L'accusa contro di lui: essere stato fermato con sostanze dopanti nell'auto. Per la sua difesa diamo al diretto interessato la parola.
«Sto scontando una squalifica di due anni senza essere stato trovato positivo. Tornavo da Livigno, avevo dei medicinali in auto, ma intanto non ero solo, e poi c'erano anche le ricette. Quando la Finanza scoprì che ero un ciclista professionista, scoppiò il casino, e sono ancora qui invischiato in questa storia. Lo ripeto: mai stato trovato positivo».
La squadra, la Alessio, come reagì?
«Fui io, di mia iniziativa, ad autosospendermi. Dovevo fare il Tour, ma non andai in Francia per evitare problemi alla squadra, visto che gli organizzatori erano molto attenti a questo tipo di cose».
Cosa pensa delle attuali squalifiche, molto miti, che subiscono i calciatori?
«Beati loro, cosa devo dire? Mi sembra assurdo, ecco tutto. Le scuse che trovano, del tipo che il nandrolone proverrebbe dalla carne di cinghiale o che altro, sono ridicole. Ma anche se restiamo in ambito ciclistico, chi viene fermato per Epo o Nesp subisce una squalifica di un anno. Io, non positivo ma presunto dopato, devo star fermo 2 anni. Questa cosa mi fa girare le scatole, mi sento un perseguitato».
Tornerà a correre?
«Chi ci pensa? Devo scontare ancora più di un anno di squalifica, se ne riparlerebbe nel 2005, troppo lontano nel tempo. Salvo che qualche ricorso non vada a buon fine; ma non ci credo». 

 

La voce del calcio: Sergio Campana (Presidente AIC)
«I tifosi sono poco interessati a quello che succede fuori dal campo»


L'Avvocato Campana, rappresentante dei calciatori e fondatore del sindacato di categoria, non si sottrae al confronto e difende il suo mondo e i suoi "ragazzi".
«No, non so se ci sono differenze tra come viene vissuto il doping nel calcio e nel ciclismo. Mi pare che anche da noi ci sia stato un bel clamore, specialmente due anni fa».
Sì, però la gente ha dimenticato in fretta: e l'olandese Stam (per fare un esempio), positivo al nandrolone nel 2001, oggi viene incensato come il miglior difensore del mondo, mentre un Pantani si porterà per sempre appresso il marchio di dopato.
«Ma quando Stam risultò positivo non era ancora affermato come oggi, e probabilmente se fosse successo qualcosa del genere a Platini, o a Rivera, la reazione di media e pubblico sarebbe stata forte come fu per Pantani».
Non può però negare che quando un ciclista compie un'impresa aleggia nell'aria la solita domanda ("Che avrà preso?"), invece quando un calciatore gioca una partita memorabile nessuno si chiede se c'è il trucco.
«Questo è vero. Forse perché quello del ciclismo è un pubblico più romantico, che vede i suoi beniamini come eroi, e si sente quindi tradito se quelli sbagliano».
Cosa pensa degli ultimi casi di nandrolone che hanno coinvolto i calciatori Blasi e Kallon?
«Io ci parlo, con loro, e mi sembrano innocenti. Specialmente Blasi, so per certo che non prende nemmeno le aspirine, perché ha paura dei farmaci. Sono dispiaciuto per loro, ma non posso non portarmi dentro quest'interrogativo: cos'è successo veramente?».
Le pare plausibile che professionisti di serie A non sappiano cosa viene loro somministrato?
«Gliel'assicuro: c'è fiducia cieca nei medici sociali, può succedere che qualche dottore senza scrupoli dopi gli atleti a loro insaputa. L'AIC comunque non sta con le mani in mano, infatti abbiamo subito dato la nostra adesione ai controlli incrociati su sangue e urine».
Lo sport ad alto livello si libererà mai da questa piaga?
«Il problema è un'attività agonistica esasperata. So per certo che il recupero naturale dalla stanchezza è ormai impossibile. E allora via a integratori e altre sostanze, qualcuna delle quali può essere dopante».
E cosa dice a chi crede che il doping nel calcio non serva?
«Altro che se serve. Malgrado questo sia uno sport molto tecnico oltre che atletico, è ovvio che, dopandosi, anche un campione può migliorare le sue prestazioni».
E perché il pubblico calcistico è poco interessato a questi risvolti?
«I tifosi sono troppo innamorati di questo sport, ed è un bene. L'altra faccia della medaglia è che non si curano di quel che succede fuori dal campo, a loro (che in ciò non sono ben educati dai media) importa solo che la squadra giochi bene e vinca. Altrimenti non si spiegherebbe come il calcio abbia potuto superare scandali epocali come le scommesse clandestine o i passaporti falsi».

Squalificati per nandrolone nel calcio

Data analisi Calciatore (Squadra) Primo grado Appello
       
24/9/2000 Andrea Da Rold (Pescara) 16 mesi 8 mesi
14/10/2000 Cristian Bucchi (Perugia) 16 mesi 8 mesi
14/10/2000 Salvatore Monaco (Perugia) 16 mesi 8 mesi
23/12/2000 Nicola Caccia (Piacenza) 8 mesi 4 mesi
23/12/2000 Stefano Sacchetti (Piacenza) 10 mesi 4 mesi
21/1/2001 Jean-François Gillet (Bari) 10 mesi 4 mesi
28/1/2001 Fernando Couto (Lazio) 10 mesi 4 mesi
4/3/2001 Edgar Davids (Juventus) 5 mesi 4 mesi
1/4/2001 Stefano Torrisi (Parma) 5 mesi 4 mesi
13/10/2001 Jaap Stam (Lazio) 5 mesi -
21/10/2001 Josep Guardiola (Brescia) 4 mesi -
14/9/2003 Manuele Blasi (Parma) ? ?
27/9/2003 Mohamed Kallon (Inter) ? ?
5/10/2003 Saadi Al Gheddafi (Perugia) ? ?


Marco Grassi
Collaborazione di Maurizio Radente

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