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Hai voluto la bicicletta? - Scopriamo il mondo di Fabio Gilioli

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La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo: l'adagio è vecchio ma è sempre d'attualità, e lo è più che mai nel caso di Fabio Gilioli, ventitreenne modenese passato quest'anno al professionismo nelle file della Panaria. Anche se praticamente non è mai stato in gara, per una serie incredibile di episodi negativi, come lui stesso racconta.
«In avvio di stagione non mi sono potuto allenare per via di una tendinite al ginocchio che mi ha bloccato per due mesi. Quando ho iniziato a correre ero fuori forma, ma avevo sempre un mal di schiena che mi tormentava, finché non ho scoperto di avere due vertebre spostate. Risolto quest'altro problema, mi è stato diagnosticato il 20 giugno un Helicobacter, un virus che provoca gonfiori allo stomaco e rende difficoltosa la respirazione a causa della compressione del diaframma. Sono ancora alle prese con questo virus, dovrò fare altri esami, spero di sapere presto come fare per guarire, visto che c'è il rischio che il guaio degeneri in un'ulcera o in problemi ancora più seri».
La squadra le è stata vicina attraverso questa sequela di problemi?
«Reverberi padre e figlio sono stati fin troppo carini, dicendomi loro per primi che per il momento è meglio che mi curi, senza pensare alle corse. Quando sarò guarito potrò tornare a fare il corridore: ho ancora un anno di contratto con la Panaria, mi dispiace molto non aver potuto ricambiare finora la fiducia riposta in me, ma spero di ricominciare nel 2004».
Per chi ha tifato al Tour de France?
«Ho avuto molto tempo per seguirlo, peccato non ci fossero corridori italiani a lottare per la vittoria. Tra Armstrong e Ullrich preferisco l'americano, che ha dimostrato di essere un numero uno, mentre l'altro è troppo discontinuo».
Avrebbe aspettato anche lei Armstrong caduto, come ha fatto Ullrich?
«Nel mio piccolo posso dire di essere sempre stato un corridore molto sportivo, quando da dilettante mi è capitato di vincere qualche corsa: non ha senso primeggiare con le scorrettezze, ogni uomo vero dovrebbe comportarsi come ha fatto Ullrich».
Tre aggettivi per descrivere Fabio Gilioli.
«Generoso, determinato, sfortunato».
E con tutta la storia che ci ha raccontato capiamo bene il terzo aggettivo...
«Ah, ma non è tutto! Anche l'anno scorso ho avuto i miei guai: intanto ho iniziato a correre a giugno a causa di un problema al ginocchio che mi ha fatto perdere tre mesi. Poi ho perso il Giro della Valle d'Aosta, in cui ero in testa, cadendo a 5 chilometri dalla fine dell'ultima tappa».
Diciamo che ha un grosso credito con la fortuna, e che prima o poi dovrà riscuoterlo.
«Se torna indietro anche solo il 30% vinco il Mondiale».
Sogni un titolo di giornale tutto per lei.
«Ma che titoli, per come sto non mi faccio illusioni: l'importante per me sarà tornare competitivo, poi ogni vittoria sarà buona, in qualsiasi gara».
Cosa sarebbe disposto a fare per il successo?
«Direi che noi ciclisti facciamo già abbastanza: sacrifici, rinunce, fatica, già per questo sarebbe giusto essere ripagati con qualche vittoria. Certo, non pagherei per vincere. Se ci arrivo, ci arrivo con le mie gambe».
Ha un mito nel ciclismo?
«Da piccolo seguivo Bugno, poi mi sono appassionato a Pantani, che mi entusiasmava in salita».
Che cosa pensò la mattina di Madonna di Campiglio, quando Pantani fu sospeso dal Giro per ematocrito fuori norma?
«Pensai che era molto strano, non mi sembrava credibile farsi beccare al penultimo giorno. Ho pensato a qualche sorta di complotto ai suoi danni. Comunque sono situazioni che ora, spero, non si verificheranno più, grazie a regole più chiare e a controlli più ferrei nel campo dell'antidoping».
Un corridore con cui vorrebbe correre?
«Probabilmente Armstrong».
Perché Heras o Rubiera hanno sacrificato le loro ambizioni per servire l'americano?
«Perché probabilmente si sono resi conto di non poter vincere un Tour de France: sono bravi in salita, molto meno a cronometro. Così avranno fatto una scelta per lo più economica: meglio guadagnare 2 miliardi all'anno per aiutare Arsmtrong, che prenderne 1 e arrivare quarto o quinto».
Che avrebbe fatto se non fosse diventato corridore?
«Mi sarei adattato a fare qualche lavoro, forse il fisioterapista, continuando gli studi. Ma sarebbe stato comunque un problema, visto che sin da piccolo la bicicletta è stata ed è la mia unica passione».
Qual è il suo film preferito?
«Non mi ricordo mai i titoli...».
La canzone della vita, allora.
«Wind of Change».
E speriamo che questo vento cambi davvero.
«Sì, speriamo, sarebbe anche ora».

Marco Grassi    

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