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La parola ai protagonisti - Moletta ci racconta la sua storia | Cicloweb

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La parola ai protagonisti - Moletta ci racconta la sua storia

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La disdetta di Andrea Moletta è che ci si ricorda di lui per due cose: la spaventosa caduta alla Milano-Sanremo del 2007 e l'allontamento dal Giro d'Italia di quest'anno. Magari ciò che si ricorda meno è il fatto che, dopo quella sospensione, il 4 novembre scorso il Gip di Padova ha archiviato il procedimento penale nei confronti del ciclista veneto. Noi abbiamo ascoltato Andrea, ancora alla ricerca di un contratto per le prossime stagioni, per sentire il suo parere sugli argomenti della nostra inchiesta.
Vogliamo partire ricapitolando cosa è successo a maggio?
«Era il 20 maggio, mio papà stava scendendo da casa verso Pesaro per venirmi a trovare prima della cronometro; era con un amico, e sono stati fermati dalla Guardia di Finanza all'altezza di Padova. La macchina è stata perquisita ed è stato trovato solo un antidolorifico, che era di mio papà».
E la storia del viagra?
«Sono state dette tante cavolate in merito. In realtà il viagra era dell'amico di mio padre. Oltre la macchina, la Finanza ha perquisito anche casa mia e la ditta di mio papà, non trovando niente di illecito».
Quando ne sei venuto a conoscenza?
«La sera, dopo la tappa, ho chiamato casa come ogni sera, per sapere se avevano visto la tappe e queste cose di routine. Mio papà mi ha detto di essere in Procura a Padova perché era stato fermato, ed io ho trovato giusto avvisare Christian Henn, il mio direttore sportivo al Giro».
Henn come ha reagito?
«All'inizio mi ha detto che non c'erano problemi, invece la mattina dopo - il 21 maggio - venne in camera mia e mi disse che aveva parlato con Holczer ed avevano deciso di fermarmi, perché non volevano avere casini né da parte della stampa, né da parte degli sponsor. Immaginate il mio stato d'animo, ero già vestito da corridore ed invece sono dovuto tornare a casa. E questo allontanamento è avvenuto due giorni prima dell'arrivo del Giro a Cittadella, casa mia, dove dovevo essere premiato dal Sindaco e dalle autorità, quindi la cosa ha avuto anche maggiore risalto».
Come sono proseguite le cose?
«Dopo aver detto di non volere casini dalla stampa, la mia ex squadra ha indetto una conferenza stampa per spiegare i motivi del mio allontanamento. Per fortuna che non volevano casini...».
Sappiamo però che sei stato recentemente prosciolto da ogni tipo di accusa. In poche parole, sei innocente.
«Sì. Recentemente ho ricevuto un decreto dal Gip di Padova che attesta il mio non coinvolgimento nella faccenda. Per questo devo ringraziare i miei avvocati, che hanno lavorato bene e velocemente per risolvere il prima possibile la situazione».
Qualche squadra ti ha cercato per farti correre l'anno prossimo?
«Ad inizio 2008 avevo 2-3 buoni contatti con squadre Pro Tour, ora invece ho qualche contatto, ma con tutti team di livello minore. Per carità, non voglio smettere di correre ed oggi accetto qualsiasi squadra, però pensate che ingiustizia: per una semplice indagine, se troverò lavoro sarà senz'altro ad un livello minore di quello che avevo».
Quando sei stato allontanato dal Giro d'Italia hai avuto qualche contatto con l'ACCPI, l'Associazione Corridori Italiani?
«Assolutamente no. Non mi ha chiamato nessuno, sono stato lasciato solo com'ero. E neanche io ho cercato nessuno, visto che da nessuna parte è arrivato il consiglio di contattare l'Associazione».
L'Associazione non dovrebbe essere il vostro primo ente di tutela?
«Probabilmente dovrebbe, ma per me non è stato assolutamente così. Né per quella italiana, né per quella europea o mondiale che sia».
Ti saresti aspettato una qualche protesta dai tuoi amici e colleghi, o almeno dai tuoi compagni di squadra, dopo il tuo allontanamento dal Giro?
«Mi avrebbe fatto piacere, ma so che non è affatto facile».
Perché è così difficile coinvolgervi in iniziative di protesta?
«Secondo me, perché le squadre ed i team manager hanno sempre il coltello dalla parte del manico. Se protestiamo, ci rimettiamo col posto o con lo stipendio. L'assenza di una tutela per i corridori è una debolezza assoluta».
È vera la voce secondo la quale il ciclismo è lo sport più masochista verso i suoi protagonisti, cioè gli atleti?
«Siamo sicuramente l'unico sport che fa determinati controlli e si piega ad ogni tipo di invasività sulla privacy: la reperibilità, il Dna, l'Adams, il Codice Etico... Quale altro sport ha tutte queste cose?».
Non pensi che un'Associazione seria dovrebbe non solo tutelarvi, ma anche - quando è il caso - riabilitarvi professionalmente e risarcirvi economicamente?
«Sarebbe la speranza massima. Squalificare chi viene trovato positivo, e licenziarlo, può essere anche sacrosanto, ma anche spendere due parole per quei corridori a cui viene sporcata l'immagine e che devono spendere un sacco di soldi per gli avvocati per potersi difendere dovrebbe essere un argomento da affrontare».
Una tua speranza per il futuro del ciclismo?
«Che si continuino a fare i controlli in corsa, ma che si torni a delle vere libertà quando non stiamo lavorando. Limitarci individualmente non è più ammisibile: non siamo solo ciclisti, ma siamo uomini. E soprattutto chi ha una famiglia dovrebbe essere più rispettato. E poi che venga abolito il Codice Etico, che è una cagata mostruosa e che mi ha rovinato la vita».
D'istinto: favorevole o contrario alla radiazione?
«Dipende da caso a caso. Se uno è recidivo, e lo è per determinate sostanze, allora la radiazione può starci».

Mario Casaldi

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