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Corsivo - Analisi e controanalisi, una questione di etica | Cicloweb

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Corsivo - Analisi e controanalisi, una questione di etica

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Cosa si deve fare quando un corridore viene colpito dalle maglie dell'antidoping e continua a correre? Domanda che interessa coscienza e diritto e che ha, probabilmente, più di una risposta. Per positivo, in questo caso, si intenda il corridore che risulta tale al primo controllo antidoping e che chiede le controanalisi.
La normativa è chiara: un corridore che risulta positivo viene immediatamente sospeso in attesa di sentenza della federazione a cui è affiliato (attenzione, non necessariamente quella del paese di nascita: Gotti, ad esempio, sta "aspettando" da anni una decisione dalla federazione monegasca sulla famosa vicenda del camper dei suoceri al giro d'Italia del 2001, quello del blitz di Sanremo). Se il corridore, però, chiede che sia effettuata la controanalisi sul campione, può continuare a correre e a incidere con il suo comportamento in una qualsiasi gara di ciclismo.
L'ultimo caso in ordine di tempo è quello dello spagnolo Aitor Kintana Zarate della misconosciuta Labarca 2 Cafe Baque. Il buon Kintana è risultato non negativo all'Epo al giro di Catalogna, nel giugno scorso, in cui riuscì anche a vincere una tappa, la terza, guarda caso la più difficile. Ebbene, Kintana ha continuato a gareggiare in attesa delle controanalisi e in questi giorni è in corsa alla Vuelta a Burgos. Del resto il caso Kintana non è il primo. Recentemente ha continuato la propria attività Javier Pascual Llorente, della Kelme, positivo al Tour. Emblematico il caso di Raimondas Rumsas, sospeso immediatamente appena la Lampre ha saputo della sua positività al Giro. La stessa Lampre, però, aveva abbondantemente difeso il suo corridore lo scorso anno, quando la moglie di Raimondas, Edita, fu arrestata in Francia con una vera e propria farmacia nel portabagagli dell'auto. Questa difesa ad oltranza è costata alla Lampre l'esclusione al Tour di quest'anno.
Ma i casi più eclatanti furono quelli della corsa rosa dello scorso anno con Gilberto Simoni, Stefano Garzelli e Roberto Sgambelluri, che solo dopo insistenze fortissime di patron Castellano acconsentirono a ritirarsi.
E qui comincia a dipanarsi il tenuissimo filo tra diritto e morale. Per la legge sportiva i corridori possono continuare a correre, e per l'etica? Chiunque è innocente finché viene provata la sua colpevolezza e nel caso del doping un atleta è innocente finché non risulta positivo alle controanalisi (non richiederle è un'implicita ammissione di colpevolezza). Però sarebbe giusto che il corridore si autosospendesse o che fosse il gruppo sportivo ad escluderlo. Troppe volte, invece, i diesse hanno protetto i propri corridori, e questo è un atteggiamento gravissimo, addirittura di collusione. Passi che Garzelli continui il Giro e deliberatamente perda la maglia rosa non incidendo sull'esito della gara (ma cosa si direbbe se cadesse e mandasse all'ospedale un collega?). Diversa, invece, la posizione di Simoni che dopo essere risultato positivo per la famosa vicenda delle caramelle alla cocaina vinse la tappa di Campitello Matese alterando palesemente, con i suoi scatti, l'esito del Giro.
Nel primo caso il peccato è veniale, nel secondo, anche se Simoni ha poi dimostrato la sua innocenza, il peccato è molto più grave.
Proprio il giorno prima, inoltre, l'Uci aveva diramato un comunicato in cui affermava che Simoni poteva continuare regolarmente la corsa. Come a dire che a volte diritto ed etica non possono andare d'accordo. Però il diritto si cambia, l'etica no.

Maurizio Radente

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