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Il Coni, Rosolino, il ciclismo e il doping - Una brutta tragicommedia | Cicloweb

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Il Coni, Rosolino, il ciclismo e il doping - Una brutta tragicommedia

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È tutto così assurdo che, se non ci fosse da disperarsi per le sorti dello sport italiano, ci si potrebbe fare una grassa risata e chiudere lì la questione. Invece un minimo di etica che ci rimane ostinatamente dentro ci costringe a prendere le cose in maniera molto più seria, e ci suggerisce di dare uno sguardo (sempre più disilluso, purtroppo) a tutto quello che ci capita intorno, senza preconcetti ma anche senza speranze vane.
Partiamo da lontano, da Massimiliano Rosolino. Non si è mai visto il Coni correre così rapidamente al capezzale di qualcuno come in questo caso. Il nuotatore napoletano, tirato in ballo da un pentito che lo accuserebbe di essersi procurato sostanze vietate (l'ormone della crescita, nella fattispecie), ha reagito indignato minacciando di tornarsene in Australia (sua madre è di lì). Immediatamente Petrucci, presidente del Coni, si è schierato (insieme all'organo che presiede) al fianco di Rosolino e degli altri nuotatori.
Peccato che lo stesso garantismo non valga con il ciclismo. Uno sguardo candido potrebbe arguire che: il ciclismo è un ormai troppo comodo capro espiatorio, va bene buttare tutto il fango sui pedali, difendendo a spada tratta altri sport che negli ultimi anni sono diventati trainanti (il nuoto, da Sydney, è in pieno boom, e Rosolino è un po' il simbolo, il personaggio dell'intero sport italiano); lo stesso discorso (salvaguardare il campione del momento) non si potè fare con Pantani, perché lì c'era di mezzo la non secondaria presenza della Gazzetta dello Sport, organizzatrice del Giro d'Italia e da anni in prima linea (lei sì: lo riconosciamo) nella lotta al doping e nella ricerca di uno sport pulito.
Ci sono notevoli testimonianze che affermano che il Coni, per certe cose, non va tanto per il sottile. Il Coni guida lo sport italiano, lo sport italiano ha bisogno di medaglie olimpiche e di "eroi", e questi obiettivi vanno centrati. A tutti i costi; anche con l'aiuto del Comitato. Nell'ambiente si sapeva in anticipo quali sarebbero stati gli sport che a Sydney avrebbero raccolto bene: e nessuno aveva il pendolino per prevedere il futuro; bastava basarsi su semplici dati di fatto.
Il professor Donati, mai troppo ringraziato, era membro della Commissione scientifica antidoping. Ma era un personaggio scomodo: il povero illuso pensava di poter fare il suo lavoro, che poi, per puro caso, coincideva con il fare pulizia, chiarezza. E infatti fece una ricerca che rivelò la presenza di questo famigerato ormone della crescita in diverse discipline, in maniera massiccia. Risultato: l'hanno fatto fuori, il Coni l'ha denunciato per un presunto vizio di forma (da cui Donati è stato poi assolto), e infine l'hanno relegato in un ufficetto perché dava troppo fastidio. A Sydney abbiamo vinto le medaglie, ma non abbiamo avuto uno sport migliore.
Cicloweb odia il doping, ma è stufo della finta lotta che gli si fa. Nelle nostre pagine non avete trovato nemmeno la notizia degli "stati generali" del ciclismo, convocati (come anche lo scorso anno dopo il Giro) da Petrucci. Sono state fatte delle proposte per arginare il fenomeno, ma il velo di ipocrisia non è stato squarciato, perché (sappiatelo bene), questa cosa non interessa a nessuno veramente. Né in Italia, né in Europa.
Prendete il Tour: ha "ricusato" la Saeco perché, dopo il caso-Simoni, la presenza della squadra italiana avrebbe leso l'immagine della corsa francese. E al suo posto ha invitato la Jean Delatour, squadra transalpina nelle cui file militano pluridopati, a partire da Lauernt Brochard, coinvolto nel 1998 nell'affaire Festina, e a sua volta rifiutato in passato: evidentemente i suoi "peccati" sono andati in prescrizione. Quanto al resto, perché la Mapei (caso Garzelli) invece andrà tranquillamente al Tour?
Le domande restano senza risposta. Da oggi in poi Cicloweb non fornirà più in maniera indiscriminata le news che annunciano questa o quell'iniziativa antidoping: si tratta soltanto di fumo negli occhi. Né accetteremo di diventare un sito di cronaca giudiziaria: lasceremo le inchieste seguire il loro corso, e aspetteremo di conoscere le sentenze. In cambio, prendiamo il solenne impegno di riepilogare periodicamente la situazione a beneficio dei nostri lettori. In modo franco e disilluso; serio e distaccato. Attento e, quando sarà il caso, anche crudele.

Marco Grassi

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