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Vuelta a España 2015

Il Giro d'Italia ha proposto quest'anno una cronosquadre su una pista ciclabile costiera in Liguria? La Vuelta risponde con una prova ancor più estrema, visto che si disputerà praticamente accanto alle spiagge tra Puerto Banús e Marbella. Ma per una volta l'azzardo non paga: si fosse parlato di una gara di MTB, nessuno si sarebbe lamentato; ma per il ciclismo su strada i corridori considerano eccessivo quanto proposto dagli organizzatori spagnoli, sicché - considerata la pericolosità di alcuni passaggi effettivamente sulla sabbia - la giuria ha deciso che i tempi non varranno per la classifica generale. Sarà quindi una breve, semplice passerella, valida solo per la classifica a squadre: ci sarà un team vincitore al termine dei 7.4 km della tappa, ma in classifica nulla si muoverà. Quanto al percorso, a questo punto poco da dire: completamente pianeggiante e in rettilineo (a parte due svolte in avvio, si incontrerà solo qualche semicurva), si sviluppa tra vialetti in lastricato e veri e propri sentierini da bagnanti, coi citati passaggi su sabbia. Ci vorrà abilità di guida per evitare cadute, ma a questo punto è prevedibile che qualche squadra dei big possa fare più o meno una semplice sgambata onde evitare qualsiasi rischio.

Dalla seconda tappa si fa sul serio e si trova subito uno di quei percorsi molto tipizzati nelle Vueltas degli ultimi anni: velocisti banditi dalla contesa, e subito arrivo su strappetto. Primi 100 km da fuga con piccoli saliscendi (ai 35 km spicca la salitella di Alozaina), e in realtà dopo 50 km si intraprende un largo giro di quasi 80 km, che passa anche dall'Alto de Ardales, trascurabile primo Gpm della competizione; una lunga e dolce discesa riporta il gruppo (in località Pizarra) a ripassare per una seconda volta da un tratto di strada (di quasi 25 km) già percorso in precedenza (e a questo passaggio ad Álora è fissato il traguardo volante); a poco più di 5 km dalla fine si abbandona questo pseudocircuito e si svolta a sinistra, verso il Caminito del Rey, 3.5 km di salita configurabile come prima rampa di garage della corsa: prima metà di scalata con pendenze spesso in doppia cifra, nella seconda metà ci sono tratti di recupero ma ancora un paio di scalini (il più duro è subito dopo il triangolo rosso dell'ultimo chilometro) prima della spianatina finale (gli ultimi 200 metri) su cui però i giochi saranno verosimilmente già fatti. Se vogliamo considerarlo un arrivo in salita, è il primo di 8, e non certo il più difficile; ma la classifica sarà già molto sgranata.

Al terzo giorno, forse (ovvero: occhio alla fuga epocale), faranno capolino gli sprinter. Dopo l'escursione del giorno prima nell'entroterra, si torna sul litorale andaluso per un classico arrivo a Málaga. Avvio sul livello del mare, ma subito (dopo 8 km) si incrocia la salita della città di partenza, ovvero l'Alto de Mijas: non banale, 6 km al 7%, ma non è ipotizzabile che la corsa si accenda a 150 km dalla fine. Semmai qui prenderà le mosse la fuga del giorno, che dal km 15 (subito dopo il Gpm) al 60 - ovvero al primo passaggio dalla località d'arrivo - avrà via agevole. Al centro della tappa, però, un ostacolo che potrebbe cambiare volto alla giornata: il Puerto del León è lungo e non va preso sottogamba. Dal km 60 al 76 sono 16 km di ascesa, la pendenza media (5%) è come sempre ingannevole, vista l'irregolarità della scalata: spesso si sale al 7%, e gli ultimi 4 km, quando lunghezza del colle e passaggi più complicati renderanno la vita difficile a molti in gruppo, permetteranno una certa selezione. Né si può dire che la successiva discesa (piena di contropendenze che spezzettano molto i 25 km di planata) favorisca più di tanto rientri di uomini andati in difficoltà in salita. Si farà quindi la conta, si vedrà quali velocisti si sono più o meno salvati, e i loro team inseguiranno a tutta per una quarantina di chilometri del tutto pianeggianti, sul mare. Dopodiché, per rientrare a Málaga da est, ci sarà un passaggio obbligato su un breve mangia&bevi (con strappo di un chilometro e mezzo ai -10), e questo finale è abbastanza da interpretare: se la fuga sarà stata raggiunta, potrebbe esserci qui un contropiede che renderebbe nuovamente la vita difficile agli sprinter, considerando che dopo la cima della rampetta ci sono altri 5 km misti che culminano con una ripida discesa prima dei 5 km finali (nuovamente piatti) nelle vie della città. Se il gruppo sarà più o meno compatto, occhio a un triplo curvone (per immettersi sulla via principale) poco prima dell'ultimo chilometro, tutto diritto.

Si va a toccare le zone più a sud della Vuelta 2015, con tanto di rischio calura insostenibile (siamo pur sempre al 25 di agosto), e si sforano per la prima volta i 200 km per una frazione che a livello altimetrico ha molto poco da dire fino agli ultimi 5 km, ma che potrebbe essere esposta al vento dell'Atlantico nella zona di Cadice, per una buona ventina di chilometri poco prima dei -50. Il finale, come quasi sempre alla Vuelta, promette faville: ai -4 si lascia la provinciale, si svolta a destra per inerpicarsi verso Vejer de la Frontera e si incontra un muro di un chilometro al 15%: quanto basta per mettere uno per angolo quasi tutti i velocisti; poi la strada più o meno spiana per 3 km, ma occhio a un'ultima rampetta di 200 metri con pendenze ancora in doppia cifra subito prima del traguardo. La Spagna è ricca di villaggi e paesoni in cima a collinette, e gli organizzatori in questi ultimi anni stanno andando a cercarli tutti per assecondare il garagismo che è diventato la cifra tecnica del terzo GT.

Si lascia il mare, si risale verso l'entroterra, e la quinta tappa ricorda quella precedente, visto che non c'è quasi nulla da segnalare guardando l'altimetria. Il chilometraggio è in perfetto stile Vuelta, e stavolta però non c'è la rampa assassina ad attendere il gruppo al traguardo. Sì, l'ultimo chilometro (con tanto di rotonda ai -700 e immediata curva secca a sinistra ai -600) tira un po' all'insù, ma niente di paragonabile agli altri arrivi su strappi che caratterizzano il percorso. In ogni caso, seppur verrà affrontato di potenza e superato abbastanza agevolmente dagli sprinter più resistenti, quel chilometro conclusivo ingannerà più d'uno: occorrerà fare i conti col bilancino per dosare gli sforzi, gestirsi e lanciarsi al momento più opportuno. Sbagliare i tempi sarà cosa molto facile in quel di Alcalá de Guadaíra, sobborgo di Siviglia.

Ci hanno messo un Gpm e lo considerano il secondo arrivo in salita della Vuelta 2015, ma in realtà quello di Sierra de Cazorla sarà un altro breve sprint su rampa, nulla che possa quindi sconvolgere la classifica; certo che, 10 secondi qua, 15 là, la generale inizierà ad assumere contorni abbastanza delineati già prima che arrivino le vere montagne. 200 km da ovest verso est, tranciando l'Andalusia da Córdoba attraverso un percorso a tratti quasi desertico, salitelle e discesine e vento, ma nulla che possa turbare il pedalare di un professionista. Al km 130 la strada inizia a salire con più decisione, obiettivo Alto de Baeza, 12 km di scalata che per due terzi è un falsopiano e poi si inerpica su pendenze serie andando verso la vetta. Il Gpm è però seguito da 50 km che favoriscono chi insegue (quindi nessun uomo di classifica tenderà trappoloni in cima al Baeza). Gli ultimi 22 km tirano tutti all'insù, ma fino ai -3 si tratta di un semplice falsopiano. Poi un paio di scalini precedono il toboga finale, 300 metri di salita-discesa-salita tutti al 15%. Un epilogo strambo, e non sarà difficile che i velocisti più dotati sui minimuri siano lì a giocarsi il successo.

Ed eccolo, il primo vero arrivo in salita, al termine della settimana andalusa con cui si apre la Vuelta. Frazione che si sviluppa, in maniera altimetricamente abbastanza insignificante (un Gpm di 3a categoria, il Puerto de Los Blancares, al km 87) da nord verso sud, circumnavigando il massiccio di Sierra Nevada per andare a cercare l'approdo meridionale all'Alto de Capileira, culmine della tappa. Salita che nominalmente misura 20 e passa chilometri, ma che in realtà è composta da due rampe tra cui si interpongono 4 km di pianura. Sulla prima rampa non succederà niente: tranne un chilometro all'8% le pendenze sono parecchio abbordabili, e poi chi potrebbe attaccare (se non qualche seconda linea) sapendo dei 4 km di piano che preludono alla vera scalata conclusiva? Tale ascesa misura poco più di 10 km e naviga tra il 5 e l'8% di pendenza (tranne un breve scalino al 14% nel finale), e sarà la prima vera occasione per battagliare seriamente per i tanti scalatori presenti in gara. Prima metà tutta tornanti che permetteranno di tirare ogni tanto il fiato, seconda metà molto più lineare, ed è qui che si attendono i tentativi di fare la differenza. 5 km per il primo scontro faccia a faccia tra i big: per il momento, possono bastare.

Nell'alternanza tra frazioni per la classifica e frazioni interlocutorie, i velocisti continuano ad essere specie poco protetta in terra di Spagna. Anche in questa tappa di Murcia quella che poteva essere una volata sicura non è poi così scontata, viste le insidie che caratterizzano il circuito finale. Prima dell'approdo a Murcia, 130 km facilissimi, tendenti a digradare e facilmente pronosticabili per una media notevolissima. Dopodiché, superato il capoluogo regionale, due giri intorno all'Alto de la Cresta del Gallo. Poco meno di 20 km tra i due Gpm, e l'ultimo passaggio è fissato ai -17 dal traguardo. La salita è da prendere con le molle: 4 km di lunghezza, il terzo dei quali ha una pendenza del 10% (e pure il primo non è da sottovalutare, col suo 7%); la discesa (6 km), dopo una parte centrale da alte velocità, è tutta da pedalare. Anche in questo caso, come in molti altri nel percorso 2015, un finale tutto da interpretare: se ci sarà battaglia sulla Cresta del Gallo (e non si vede come possa non esserci), sarà difficile assistere a un vero sprint; non va dimenticata poi l'ipotesi fuga (chi tira il gruppo? Chi ha la certezza di poter andare a giocarsi la vittoria al traguardo?); e se volata sarà, attenzione a qualche rotonda nei chilometri conclusivi, ma con l'ultima curva (a destra) a un chilometro dall'arrivo ci sarà tutto lo spazio per sprigionare la necessaria potenza sul rettilineo d'arrivo.

Quarto arrivo in quota, e siamo in perfetto stile Vuelta: si deve tenere tutto per la rampetta garagistica finale (ci ripetiamo con la definizione, ma sono gli organizzatori a ripetersi, in realtà). I primi 125 km non presentano alcuna difficoltà, si costeggia il Mediterraneo (e si passa pure da Benidorm, località cara ai tifosi italiani) e si lascia il litorale per andare a scoprire l'Alto de Puig Llorença. Salita di 4 km, la pendenza media è vicina al 9%, con un chilometro centrale da mani nei capelli (19%) e altre pendenze in doppia cifra nei pressi del traguardo Gpm, posto ai -42. La questione è che lo spazio successivo non permette grandi voli: in cima al Puig Llorença potrà anche avvantaggiarsi un gruppetto, ma per andare dove? Chi soffre i cambi di ritmo avrà la possibilità di riorganizzarsi abbastanza rapidamente per recuperare eventuali distacchi prima dell'ultima scalata. Ultima scalata che altro non è se non un secondo assalto allo stesso Alto de Puig Llorença, al termine di un giro in senso orario che riporterà il gruppo a fare i conti con questo piccolo mostro. Al primo passaggio si avrà il tempo di studiare la salita; al secondo non si dovranno fare prigionieri. Per la cronaca, il traguardo è posto un po' più su rispetto al primo Gpm, un altro mezzo chilometro di sofferenza per quei diesel che in questo finale dovranno badare a limitare i danni.

Un discreto trasferimento (uno dei tanti che punteggiano il tracciato della Vuelta, soprattutto nella seconda metà) prima della frazione che chiude agosto e la prima metà della corsa iberica. Tappa da fuga, senza troppi preamboli: primi 20 km facili, poi salitella al Puerto del Oronet, e altri 90 km sostanzialmente facili, in gran parte (ancora) sul mare. Al km 122 cominciano gli 8 km di scalata all'Alto del Desierto de las Palmas; in realtà la salita vera è lunga 6 km (primi 2 tra il 4 e il 5%, poi la strada si indurisce fino a superare l'8% nel terzo chilometro). Pensare di tenere la corsa chiusa con una simile salita che, pur non essendo niente di che, non è breve e svetta ad appena 17 km dal traguardo, è pura utopia. Il gruppo, insomma, lascerà fare. La discesa, regolare, misura 8 km e lancerà gli attaccanti del caso verso il traguardo di Castellón. Dopo le consuete rotonde che caratterizzano le circonvallazioni di tutte le città, bisognerà fare attenzioni a un paio di curve (a destra) ad angolo retto nell'ultimo chilometro.

11a tappa: Andorra la Vella - Cortals d'Encamp
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Mer, 02/09/2015
138.0 km
Partenza: 
Andorra la Vella ore 13.22
Arrivo: 
Cortals d'Encamp ore 17.26-17.57
11a tappa: Andorra la Vella - Cortals d'Encamp
Sprint intermedi: 
Encamp km 127.8
Gpm: 
Collada de Beixalis (1790 m-1a cat.) km 9.8, Coll d'Ordino (1980 m-1a cat.) km 32.3, Coll de la Rabassa (1818 m-1a cat.) km 72, Collada de la Gallina (1905 m-HC) km 98.7, Alto de la Cornella (1345 m-2a cat.) km 119.6, Alto Els Cortals d'Encamp (2095 m-1a cat.-Arrivo) km 138

Questa undicesima tappa ha il carattere della completezza. Il rosario sgrana le cinque stelle del Principato di Andorra. Il giro completo delle sue salite, a raggiera, intorno alla capitale. Non inganni la distanza di 138 chilometri. Quasi 5000 metri di dislivello ne fanno comunque una prova di profonda resistenza. Cinque salite con le pendenze più diverse, una dietro l'altra, fino all'arrivo in cima all'unica che non dispone di un secondo versante dal quale scendere. Titolo di etapa reina meritato con buon vantaggio su tutte le altre frazioni, insieme alla cronometro quasi finale e a quella di Ermita de Alba, probabilmente il trittico decisivo di questa Vuelta. La tipologia di tappa si discosta dunque dagli arrivi tutto pepe tipici della corsa iberica, ma distillati in grani sparsi qua e là nei finali di tappa. Qui invece c'è la quantità che serve agli scalatori puri, ma anche ai fuoriclasse a tutto tondo più in generale. C'è, insomma, tutto. Due salite lunghe e regolari, tradizionalissime, il Col d'Ordino (arrivo plurimo del Tour) e la Rabassa, incastonate fra due invece assai bizzose, dure a tratti, di lunghezza minore, ma dove è difficile distribuire razionalmente lo sforzo. Partenza bruciante sulle rampe al 12-13% della Collada de Beixalis, e poi il Coll de la Gallina come quarta, difficile, selettiva e penultima ascesa delle cinque di giornata. L'arrivo di Cortals d'Encamp è un mix delle precedenti, dura nei primi 5 chilometri, gradualmente più pedalabile nella seconda metà, senza tuttavia mai scendere sotto un serio 7-8% che, sul filo dei 4500 metri di dislivello qui raggiunti, potrebbe lasciare ugualmente il segno. Senza dimenticare i 350 metri di dislivello in soli 4 chilometri della Comella, giusto per spezzare il possibile recupero lungo i pochi chilometri di falsopiano tra le ultime due ascese. Tappa difficile anche per i pochi falsipiani tra le salite, dove diventa obbligatorio riuscire a mangiare nelle poche manciate di minuti a disposizione. Di certo, lo snodo fondamentale della tappa sembra il duro Coll de la Gallina proposto come penultima ascesa lunga (non contando la breve Comella), 1000 metri di dislivello su pendenze sempre vicine al 10%. Come sempre la tappa dipende dai corridori, ma questo genere di prove tutta salita e discesa, sempre più rare nei grandi giri di oggi, potrebbe sorprendere molti. Per i corridori meno reattivi sui molti arrivi con salite brevi e secche nei pressi dell'arrivo, una delle pochissime occasioni. Infine, dato da considerare: la tappa viene dopo il giorno di riposo, fatto che in genere causa di per sé non pochi danni.

Ed eccola, finalmente, la prima vera tappa tutta per i velocisti. Mentre i big del gruppo baderanno a recuperare gli sforzi del giorno prima, la Catalogna attenderà gli sprinter nell'unica frazione nella regione; il Coll de Bóixols, posto in un altro punto del tracciato, avrebbe potuto significare qualcosa, coi suoi 16 km di scalata con pendenza media del 5% ma con diversi tratti assai più duri; solo che, dopo una giornata come quella andorrana, e col Gpm posto a 120 km dalla conclusione, è facile prevedere che la salita verrà percorsa ad andatura ridotta dal plotone. Qui i fuggitivi dovranno giocarsi il tutto per tutto, guadagnare il più possibile per poi cercare di gestire il vantaggio successivamente. Il terreno, anche dopo la discesa, è favorevole agli attaccanti, visto che digrada leggermente e, a parte il dentello di Alt de Fondlonga (ai -60, ma è più che altro un falsopiano nemmen valido come traguardo Gpm), non presenta ulteriori asperità di vaglia. Però c'è da aspettarsi che il gruppo prenda in mano la situazione in maniera pesante negli ultimi 100 km: gli sprinter hanno talmente poche chance in questa Vuelta, che non si lasceranno sfuggire il traguardo di Lleida. Praticamente senza curve gli ultimi chilometri, vi si potrà dipanare una gran velocità passando in cavalleria le tante rotonde, l'ultima delle quali all'ultimo chilometro, prima di un rettilineo tendente leggermente all'insù: sprinter sì, ma in grado di fare gioco di resistenza nei 200 metri finali.

Nella 13esima tappa, subito prima di una tre giorni di salite, le ipotesi sono due: che vada la fuga, o che arrivi al traguardo un gruppo di 80 corridori con qualche sprinter in grado di salvarsi e di giocarsi il successo. Il profilo altimetrico della frazione non è così semplice, e i primi 70 km sono particolarmente arcigni, completi di strappetti (tra cui l'Alto Collado de Oseja) e di una salita di 1a categoria, l'Alto del Beratón (in verità, pare sopravvalutato dagli organizzatori: lo danno come lungo 11 km, ma la prima metà è un semplice falsopiano). Dopo il Gpm, 50 km facili, tutti in leggera discesa, quindi la fase decisiva della giornata: una rampetta annuncia il terzo Gpm di giornata, l'Alto del Moncayo, salita che ricorre nelle tappe aragonesi della Vuelta. Anche qui siamo in presenza di un'ascesa piuttosto facile, ma son pur sempre 8 km su cui, volendo, si potrebbero fare buoni forcing per far fuori diversi avversari tra i velocisti. In cima un altro pezzetto di falsopiano prima di una discesa regolare fino a Santa Cruz de Moncayo, e ultimi 15 km sostanzialmente pianeggianti, con rampetta minima tra i -2 e i -1, giusto per mettere un po' di pepe e ingolfare le gambe di qualcuno prima del più o meno nutrito sprint finale.

La tappa che apre il trittico decisivo montuoso di questa Vuelta. Le prime due di queste frazioni non propongono molto altro rispetto alle località d'arrivo in quota. Tuttavia, questa prima, con i suoi quasi 2000 metri di quota, dopo la tappa Andorra, è l'unica a riportare i corridori in località dove la quota rappresenta una variabile importante. Gli ultimi 70 chilometri della tappa sono suddivisibili in tre fasi. La difficile e soleggiata ascesa al Puerto del Escudo, con la sua severa piramide in silente attesa, un cimitero italiano risalente alla Guerra Civile spagnola. C'è poi un tratto interlocutorio, 40 chilometri pianeggianti, solo leggermente ondulati, lungo le irregolari rive dell'Embalse del Ebro, lago artificiale costruito nel secolo scorso per la regolazione e l'approvvigionamento idrico di tutto il nord della Meseta. Quasi assente dunque la discesa, a rendere probabilmente improbo un attacco sull'Escudo. La salita finale, grandiosa nell'apertura panoramica, già percorsa in altre competizioni, propone tuttavia un arrivo inedito, proprio in cima. Dai precedenti arrivi, alla stazione invernale di Branavieja, ci sono ancora 5 chilometri, più duri rispetto alle moderate rampe precedenti. In particolare, nei due espostissimi, spesso ventosi, chilometri finali, si annidano alcuni passaggi al 15 e 16%, che potrebbero rendere questo arrivo più esplosivo del previsto e forse perfino adatto a corridori da arrivi in salita brevi, specialmente nel caso il precedente lungo e pedalabile spezzone di salita fosse percorso ad andature regolari. Tappa di salita atipica, forse più difficile per le possibili condizioni climatiche, di altura, di estrema esposizione agli agenti atmosferici, che per le difficoltà tecniche del percorso.

Questa seconda puntata del trittico montuoso asturiano ci porta in ambiente del tutto differente rispetto alle luminose e moderatamente pendenti aperture del giorno precedente. Ora si approda al cuore tenebroso dei Picos de Europa, umidissime e giovani montagne che costituiscono la parte più elevata della cordigliera. Tutta la tappa si gioca nella profonde vallette che increspano il territorio, tra mare e montagna. Irregolari, tormentate, antri amichevoli ed accoglienti per fuggitivi coraggiosi che amano sparire presto alle viste del gruppo. In tutta una tappa altimetricamente piuttosto vivace, viene individuato un unico Gpm di seconda categoria, per altro interrotto da varie contropendenze: l'Alto del Torno al chilometro 115, probabilmente poco significativo per la storia della corsa, dotato tuttavia di discesa piuttosto malmessa, a costeggiare, serpeggiando, un versante ripido, con pochissimi margini di errore. Passato lo sprint intermedio al chilometro 131, la strada attacca una salita piuttosto dolce, di una decina di chilometri, fino ad Ortiguero, il tratto forse meno insidioso e più favorevole ad un lavoro efficace e continuo delle squadre in testa al gruppo. Anche la salita finale si differenzia molto dal giorno precedente. Qui siamo di fronte ad una velenosa e lunga ascesa, densa di pendenze in doppia cifra, che aggredisce fin dal primo metro. Da Poncebos la strada si incunea fra due profondissimi e rocciosi versanti ai piedi delle più alte cime dei Picos de Europa, assumendo il caratteristico andamento a cambi di pendenza brutali, tipico delle mulattiere umanizzate da una striscia d'asfalto, che, oggi, è buono. Trattandosi tuttavia di strada sostanzialmente di fondovalle, gli sbalzi repentini sono alternati a tratti di recupero e cupe gallerie. Il primo tratto impegnativo di 4 chilometri abbondanti termina in vista del piccolo borgo di Tielve. Da qui a Sotres, s'incontrano 5 chilometri pur sempre irregolari, dove tuttavia la pendenza media scende intorno al 6%. L'ultimo tratto di salita, un paio di chilometri sopra il paese, riserva gli sforzi più duri, arrivando in alcuni punti a toccare il 20% di pendenza per un arrivo forse troppo minaccioso per invogliare ad attaccare ai piedi della salita. Salita da interpreti raffinati, dove il dosaggio degli sforzi è molto irregolare, e la sensibilità di ciascuno può fare la differenza nel riservare né più né meno del giusto per il durissimo finale.

16a tappa: Luarca - Ermita de Alba
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Lun, 07/09/2015
185.0 km
Partenza: 
Luarca ore 12.13
Arrivo: 
Ermita de Alba ore 17.23-17.59
16a tappa: Luarca - Ermita de Alba
Sprint intermedi: 
Pola de Lena km 156
Gpm: 
Alto de Aristébano (535 m-3a cat.) km 14.6, Alto de Piedratecha (815 m-2a cat.) km 43.1, Alto de Cabruñana (360 m-3a cat.) km 85.6, Alto de Tenebredo (500 m-2a cat.) km 119.9, Alto del Cordal (780 m-2a cat.) km 150, Alto de la Cobertoria (1155 m-1a cat.) km 166.5, Alto Ermita de Alba (1185 m-HC-Arrivo) km 185

Questa ultima tappa della terna sala ancora di un livello nella difficoltà complessiva. Il modello rimane sempre quello del finale piccantissimo, tuttavia la frazione è riempita da altri sei Gpm, due di terza categoria, tre di seconda e uno di prima, la asfissiante Cobertoria, immediatamente precedente l'ascesa finale. In particolare, negli ultimi 45 chilometri si succederanno tre salite di difficoltà crescente con circa 2200 metri di dislivello, senza alcun tratto nemmeno breve di pianura. Il Cordal, tradizionale antipasto dell'Angliru, questa volta affrontato dal versante opposto, apre le danze nel finale con i suoi 8 chilometri introduttivi a pendenze mai proibitive, ma continue. Un discesa sconnessa e sinuosa conduce la corsa a Pola de Lena, dove si attacca senza respiro la Cobertoria, ascesa assai più difficile, per continuità dello sforzo, su pendenze sempre vicine e superiori al 10%. La strada si fa più larga, senza tornanti, solo lunghe curve che seguono le innumerevoli sinuosità dei verdissimi fianchi del monte. Dieci chilometri di salita dura, solo l'ultimo lascia respirare. Discesa di uguale lunghezza, un paio di chilometri di fondovalle sensibilmente a favore, e si attaccano la rampe che portano all'Ermita de Alba, lo spauracchio più feroce di questa Vuelta. I quasi 7 chilometri della salita si possono dividere in due parti, prima e dopo il borgo di Salcedo. Scorbutica come tutte le strade di semplice collegamento fra pascoli e frazioni di montagna, nella prima parte procede a rudi strappi oltre il 10%, su buon asfalto, fino al paese. La seconda parte si fa da subito impervia, ancora fra le case del borgo si tocca il 20%. Successivamente, la violenza degli strappi diventa brutale. Anche visivamente, la cappella dell'Ermita appare, ad un tratto, altissima, arroccata su un roccione, apparentemente impossibile da raggiungere in poche rampe collegate da tre tornanti. Come intorno a tutto ciò che fuoriesce dalla normalità, anche su questa ascesa fioriscono voci, leggende. Alcuni parlano di mortiferi tratti al 30%. Alcune altimetrie effettivamente riportano questa funambolica cifra nell'ultimissimo tratto ad inquietare ufficialmente i sonni. La cosa più verosimile è un susseguirsi di strappi intorno al 20-22%, lungo gli interminabili 4 chilometri finali. Il discorso è il solito: queste pendenze estreme favoriscono un numero ristrettissimo di atleti, non obbligatoriamente scalatori puri. Una corsa raggelata dalle cifre dell'altimetria, li favorisce. Una corsa più spregiudicata, accesa prima, approfittando dell'assenza di pianura nel finale, potrebbe invece tornare dalla parte dei veri corridori da corse a tappe, quelli la cui capacità di recupero potrebbe fare una differenza evidente proprio in questo crudele finale.

Quasi 40 km di crono per mettere il sigillo alla classifica, o per riaprirla, chissà. Di sicuro uno snodo fondamentale, quello di Burgos, considerando che non ci saranno, dopo questa tappa, troppe giornate da battaglie memorabili. Subito successiva al secondo giorno di riposo (anche questo, come il primo, di martedì), con annesso solito immancabile trasferimento, ha un percorso che col suo andamento completamente pianeggiante strizza l'occhio ai migliori specialisti. Il quid che manca a livello di asperità è presente in forma di arzigogoli della planimetria: soprattutto gli ultimi 10 km sono tutto un susseguirsi di curve, alcune anche molto ostiche, il che significa che bisognerà scegliere un assetto di gara ai limiti della perfezione: una "macchina" che vada bene sui lunghi rettilinei che pure non mancano, e che sia prestante nel tortuoso rientro a Burgos dopo il giro in senso orario che caratterizza la tappa. Siamo a fine Vuelta, e a fine crono: tenere accesa la lucidità non sarà facile per tutti, e se dovesse piovere, con un finale del genere, potremmo assistere anche a qualche colpo di scena. Ma anche in caso di clima sereno, su quelle curve del finale voleranno bei secondi.

L'ultima delle quattro escursioni sopra i 200 km è una tappa di assestamento della classifica, nella quale sarà davvero difficile vedere grandi sommovimenti, ad onta di un Gpm di 1a categoria che svetta ad appena 11 km dal traguardo di Riaza. I primi 75 km sono molto facili, l'altimetria è destinata a incresparsi con due salitelle di 3a categoria in rapida sequenza (Alto Santibañez de Ayllón e Alto del Campanario) prima del km 100. Dopo il secondo Gpm, 80 km da classica vallonata: contiamo non meno di 14 strappetti e successive discesine, ma qui sarà compito delle squadre degli uomini di classifica tenere in ordine una situazione che in ogni caso difficilmente potrebbe farsi anarchica, visto che manca il terreno per dare continuità ad eventuali attacchi a lunga gittata. Poi, il citato 1a categoria: Puerto de la Quesera, 10 km di lunghezza ma i primi 3 sono praticamente pianura; nei restanti 7 non si va mai oltre il 7% di pendenza, e la successiva discesa, tolti un paio di tornanti in cima, fila via liscia fino alle porte di Riaza. Una tappa da arrivi di gruppetti separati da pochi secondi, forse qualche decina; nulla di determinante, in ogni caso. Più facile, addirittura, che si tratti di giornata da fuga da lontano di 20 uomini fuori classifica.

Altra frazione da due piedi in una scarpa, come si suol dire. Non è tappa da lotta ad alti livelli, non è tappa facile. È una via di mezzo che finirà per scontentare tutti, in questo finale in tono volutamente minore per la corsa iberica, dopo i fuochi d'artificio di fine seconda-inizio terza settimana. E anche qui, come per la frazione precedente, viene la tentazione di archiviare la pratica come "giornata da fuga". 90 km facili in apertura per giungere ad Ávila, primo passaggio dal traguardo; la seconda metà della tappa, un giro orario intorno alla città d'arrivo, è certo più interessante: un trascurabile Gpm all'Alto de Valdavia funge da spartiacque, l'irregolare ma non difficile discesa verso Cebreros precede circa 20 km di fondovalle prima del (presunto) piatto forte di giornata, l'Alto de la Paramera. Salita di 17 km, i primi 7 sono niente più che il solito falsopiano; poi le pendenze aumentano un po', ma la media resta sempre bassina, poche punte al 9% in un mare di 4 e 5%. Dalla vetta, 19 km per raggiungere nuovamente Ávila, attraverso una discesa ancora più dolce del versante affrontato in salita. Nel finale, tra i -2 e i -1, un leggero dislivello che non dovrebbe fare danni ma che potrebbe aiutare il colpo di mano di qualcuno dei superstiti dell'eventuale fuga del giorno. Altrimenti, volata di gran potenza per qualcuno dei velocisti superstiti. Per lo spettatore, probabilmente una giornata in cui gustare più le bellezze territoriali (dalle fortificazioni di Medina del Campo alle testimonianze religiose di Ávila) che quelle ciclistiche.

La tappa decisiva, anche definibile "la tappa dell'andirivieni". 4 Gpm (ma in realtà due colli, scalati entrambi da due versanti), un dislivello di 3585 metri distillati in 176 km, e la consapevolezza che ad essere determinanti saranno gli ultimi 60 km. Un po' bizzarro è il disegno planimetrico, come andiamo a spiegare: si parte da San Lorenzo de El Escorial e dopo 17 km si è già all'arrivo di Cercedilla. Strano? No, perché lo si percorre in senso inverso rispetto al finale, e da qui iniziano i 60 km che verranno percorsi prima in un verso e poi, dopo un giretto antiorario di 40 km, nel verso opposto. La stringa (chiamiamola così) di 60 km contiene i due accennati colli. Il primo è il Puerto de Navacerrada, 9.4 km, pendenza media 6.6%; in cima (al km 30), 7 km "in altopiano" e poi, dalla vetta del Puerto de Cotos inizia un'agevole discesa di 11 km; un breve fondovalle e poi si affronta il Puerto de la Morcuera, 11.5 km al 5.4% medio. La successiva discesa è più veloce della precedente e conduce a Miraflores de la Sierra; in questa località, a 100 km dal traguardo, inizia il citato giro di 40 km, facile fondovalle increspato giusto da un dentello nei pressi dell'Alto Cerro San Pedro. Sin troppo ovvio ipotizzare che fin qui, e fino al nuovo transito da Miraflores (ai -58) non sarà successo assolutamente nulla di importante: troppa strada tra il secondo e il terzo Gpm perché qualcuno possa pensare di mettersi le ali ai piedi. Veniamo quindi al "girone" di ritorno, sulla stessa strada percorsa nella prima metà della tappa: si risale verso il Puerto de la Morcuera (quel che prima era discesa, ora è scalata; e viceversa), e questo versante è più interessante del primo: 2 km iniziali abbastanza trascurabili, ma poi nei restanti 8 si balla sempre intorno al 7% con diverse punte vicine al 10%. Si svetta a 49 km dal traguardo, e negli 11 km di picchiata bisognerà anche spingere molto, a tratti; un falsopiano di 5 km precede l'ultima scalata, quella al Puerto de Cotos, 11 km che iniziano davvero leggeri (i primi 4 sono più pianura che salita), per poi attestarsi, nei restanti 7, sul 6-7% di pendenza. Nulla in confronto a certi mostri dei giorni precedenti, ma in filigrana si legge la volontà di disegnare il "finale perfetto" per una tappa di montagna: scalata dura (anche se il Morcuera non è trascendentale) seguita da scalata morbida, da rapporto, su cui i distacchi si possono dilatare. Per mettere a frutto quanto il percorso suggerisce, occorrerà però anche molta buona volontà da parte dei protagonisti. Dal Gpm mancano ancora 18 km di tappa, i 7 km di altopiano fino al Navacerrada, e infine la discesa di 11 km verso Cercedilla. In fondo a quella discesa (veloce nella prima metà, poi più tecnica) avremo il vincitore della Vuelta a España 2015.

Il gran finale è la consueta passerella per le vie della capitale, destinata a concludersi con uno sprint di gruppo. Tappa altimetricamente irrilevante, e pure chilometricamente: non sono neanche 100 i chilometri da percorrere, in un clima da fine scuola; circa 40 km in linea da Alcalá de Henares, poi 10 giri di un circuito lungo 5.8 km lungo i viali del centro di Madrid, con cuore a Plaza Cibeles. Un tricuspide, questo circuito: da Cibeles si va a nord fino a Plaza de Colón, si torna indietro e a Cibeles si svolta a destra e, in direzione ovest, si raggiunge Plaza del Callao; nuova inversione a U, nuovo passaggio per Cibeles, nuova svolta a destra, verso Glorieta Emperador, e qui l'ultima inversione a U che immette sotto l'arco dell'ultimo chilometro, 1000 metri rettilinei con leggerissima semicurva a destra ai 400 metri. Sarà finale da altissime velocità prima delle sospirate cerimonie protocollari che premieranno tutti i vincitori della Vuelta 2015.

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