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Tour de France 2014

Fin dall'inizio sembra chiaro che il presente Tour intende continuare la linea creativa inaugurata alcune stagioni fa. Come una vecchia spada che si rifà il filo, la corsa delle corse rivisita i vecchi e ripassati canovacci, affinandone le trame, alla ricerca del nuovo, rivisitando la ricetta con spezie esotiche. Per il secondo anno la partenza è su un'isola, con un microtour nel Tour, un antipasto ricercato. Anche questa volta, nell'antipasto sono inserite tre tappe vivaci, variegate, piene di punti di accensione. Lo Yorkshire ad esempio. Possiede un inedito sapore arcaico, duro, scuro come i suoi manieri. Sono ondulazioni, ma su queste non crescono viti e ulivi come nelle fertili terre collinari mediterranee, sono sferzate dai gelidi venti del mare del Nord. I costruttori di strade obbediscono a un gusto austero, tracciano su ripidi pendii a dorso di mulo, senza alcuna gentilezza, senza giri di parole, come rispettosi dei grandi silenzi di queste selvagge lande. Il Tour va ad attraversare nelle sue due prime tappe il cuore di questa regione, trovando sotto le ruote tutte le asprezze di questa terra. Alcune strade strette, a dorso di mulo, cambi di pendenza improvvisi, seguiti da scorbutiche discese, poca aderenza di un asfalto granuloso, ruvido. La prima tappa prende avvio all'ombra del monumentale complesso vittoriano del vecchio palazzo municipale di Leeds, in pieno stile Tour. Poi, si prende la via del nord e ci si inoltra in questo territorio mosso, per l'aspirante corridore da classifica, pieno di insidie. Gli stessi immancabili muretti di pietra a secco a bordo strada costituiscono un compagno di viaggio poco rassicurante, come via di fuga laterale in una caduta di gruppo. Sono segnate tre côtes, Cray, Buttertubs e Griton Moor, prima dei 50 ultimi e più pianeggianti chilometri. In tutte si trovano pendenze oltre il 15% per lo più su impietosi rettilinei. Dopo Leyburn la carreggiata torna gradualmente alla normalità. Due cose vanno osservate: la velocità delle discese, con pochissime curve e strada stretta, incute qualche timore. Inoltre, i 190 km della tappa sono totalmente allo scoperto, salita, discesa e pianura battute dal vento. Non sicuro, ma possibile: il gruppo inoltre, tra strappi, salitelle, e la costringente ristrettezza della sede stradale, già di suo sarà molto allungato. Finale di tappa quasi diritto, ma c'è un tratto al 5-6% a cavallo dell'ultimo chilometro ad accorciare il lavoro degli ultimi uomini, che dovranno tarare diversamente i loro calcoli per cominciare il lavoro più avanti rispetto al solito.

2a tappa: York [Inghilterra] - Sheffield [Inghilterra]
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Dom, 06/07/2014
201.0 km
Partenza: 
York ore 11.20 (12.20 ora italiana)
Arrivo: 
Sheffield ore 16.10-16.50 (17.10-17.50 ora italiana)
2a tappa: York [Inghilterra] - Sheffield [Inghilterra]
Sprint intermedi: 
Keighley km 68.5
Gpm: 
Côte de Blubberhouses (301 m-4a cat.) km 47, Côte d'Oxenhope Moor (431 m-3a cat.) km 85, Côte de Ripponden (252 m-3a cat.) km 112.5, Côte de Greetland (200 m-3a cat.) km 119.5, Côte de Holme Moss (521 m-2a cat.) km 143.5, Côte de Midhopestones (341 m-3a cat.) km 167, Côte de Bradfield (350 m-4a cat.) km 175, Côte d'Oughtibridge (241 m-3a cat.) km 182, Côte de Jenkin Road (132 m-4a cat.) km 196

Gradualmente, il Tour scende a sud e le asprezze del territorio si riducono. Strade più ampie, curve più semplici, variazioni di pendenza meno improvvise. A compensare il tutto, la carta altimetrica si increspa senza soluzione di continuità. Ci sono 10 côtes, 4 negli ultimi 32 intricatissimi chilometri. Tutte brevi, velenose, improvvise come colpi di fulmine. Svetta, sulle altre, l'Holme Moss, a 521 m sul livello del mare, 58 km al traguardo, non delle più dure, ma con il dislivello maggiore, sui 400 metri. Da lì in poi però il tracciato non dà respiro ulteriore. Poco oltre ci si immette sul tracciato di un'antica strada a pedaggio, tracciata in epoca proto-industriale a fini commerciali, la Strines Road, per ridurre le distanze, tagliando sul dritto le continue ondulazioni del territorio. Venivano messi a disposizione cavalli aggiuntivi in corrispondenza dei tratti più duri per trainare in cima le carrozze, da lasciare in cima agli strappi. Tanto per capire. Negli ultimi 32 km è un continuo susseguirsi di tali coltellate ed è molto difficile evidenziare questa o quella curva, questo o quel tratto come decisivi. Anche perché il fuorigiri sullo strappo viene irrorato subito di adrenalina su equipendenti discese.Si può parlare di questa côte de Jenkin Road, ultimo totem. Sono 800 metri, fra le abitazioni a schiera della periferia di Sheffield, per 94 metri di dislivello. A metà il mostro apre le fauci ad infuocare l'asfalto, fra due semicurve, al 30%, e non è una boutade. C'è un invitante e beffardo corrimano, sulla sinistra. Ma soprattutto, la côte spiana brevemente oltre una più pronunciata curva sulla sinistra, giusto a dare l'abbrivio per l'ultima fucilata, su un nuovo indurirsi (sul 10-13%) proprio nei 100 metri finali, sul GPM. Mancano 5 chilometri al traguardo, discesa velocissima, rettilinea, salvo un curva secca a destra in contropendenza dopo 200 metri. Poi 4 km pianeggianti con qualche curva, ampia. Insomma, musica rock come ouverture. Il classico sembra messo da parte per costringere subito, con brutalità, gli uomini di classifica a lasciare in albergo le riserve di prudenza. Inoltre, queste rasoiate sembrano fatte apposta per accendere le rivalità, da subito, a suon di sgasate. Molto più irritante perdere del tempo così, che in un prevedibile, preventivabile, asettico confronto a cronometro.

Al netto della pioggia che potrebbe indurire la giornata, siamo al cospetto di una delle tappe più facili dell'intero Tour. L'altimetria non regala nemmeno un minuscolo Gpm di quarta, e i cambi di ritmo saranno dettati più da qualche curva a 90° che qua e là infioretta la planimetria, che da pendenze che - laddove presenti - sono troppo labili e si esauriscono in tratti troppo brevi per lasciare qualche traccia. Giornata da ruote veloci, in definitiva, con classico copione di fuga che parte dalle parti di Cambridge per esaurirsi tra il Parco Olimpico della City e i viali dell'East End, a un passo dal Tamigi. Proprio lambendo il fiume da est verso ovest il gruppo si avvicinerà al cuore pulsante di Londra, su strade che ormai, tra una tappa del Tour de France e una prova olimpica, tra una frazione del Tour of Britain (ce n'è una fissa all'anno nella capitale) e un viaggio RyanAir, conosciamo tutti. Tanto da poter ripetere a mente le fermate della Metro che si susseguono su quel lungofiume: Tower Hill, Monument, Blackfriars, Temple, Embankment, Westminster. Arrivati qui, proprio davanti al Parlamento, svolta secca (la prima dopo quasi 15 km punteggiati da semicurve soft) a destra, quando mancano 2 km al traguardo. Superato il Big Ben, si costeggia il St. James Park (facendo attenzione a qualche piazzola a centro strada) e ci si prepara a una doppia svolta a destra, tra i 750 e i 500 metri al traguardo: si tratta di entrare e uscire dalla rotonda che sta davanti a Buckingham Palace, per immettersi poi nel rettilineo di mezzo chilometro (The Mall) che conclude questa scenografica terza tappa. Tutto perfettamente in piano, e se è da escludere che qualcuno possa tentare con successo di anticipare lo sprint, è matematico che chi avrà almeno un uomo lucido da spendere nel farsi guidare sulla citata rotonda, potrà ricavare ottimi benefici dal trovarsi in una posizione di sparo ideale una volta usciti dallo zig-zag.

Frazione interlocutoria in quello che è stato scelto dagli organizzatori come un tutt'altro che banale rientro in patria. Non si affronteranno (se non per brevi tratti) le insidie del pavé, ma l'aria che si respirerà sarà quella del confine franco-belga sulle cui strade culmina la maestosa Parigi-Roubaix: giusto per acclimatarsi con quanto avverrà 24 ore dopo. Per questa quarta tappa la partenza è dalla Manica (qualche chilometro a sud di Calais), e i primi 30 km portano dalla costa verso l'interno e verso la prima asperità di giornata, la non facile però brevissima Côte de Campagnette (800 metri al 7%), preceduta da un lungo e leggero falsopiano. Nulla più che un'occasione da dare agli attaccanti da lontano (sempre se la fuga non sarà già partita in precedenza). Non mancano altri strappetti, ad esempio quello che culmina nel piccolo centro di Wisques (a circa 100 km dal traguardo), oppure quello che porta al traguardo volante di Cassel (ai -72), entrambi lunghi 1.5 km e con pendenza del 4%. Ma il tratto più insidioso della fase centrale della tappa è in discesa, e viene proprio dopo il traguardo volante: il chilometro e mezzo che porta giù da Cassel è in acciottolato, e anche se non parliamo del pavé del Carrefour de l'Arbre, ci vorranno 100 occhi aperti, specie se la strada sarà bagnata. Facile immaginare un gran lavorio dei team degli uomini di classifica per prendere in testa questa discesina che tra l'altro sfocia su una difficile rotonda: quando si dice delle insidie nascoste (e del conseguente stress) anche nelle tappe più semplici. Dopo Steenvorde si arriva dritti al confine, per costeggiarlo praticamente fino al traguardo. Non senza essere passati dal secondo Gpm di giornata (facile pure questo: Mont Noir, lungo 3 km ma praticamente un falsopiano), superato il quale non rimangono che 45 km in piano prima di un nuovo presumibile sprint di gruppo. Da segnalare come nell'attraversamento della città di Lille non manchino svolte ad angolo retto, ma l'arrivo è più avanti, nell'hinterland, e l'unica curva seria da segnalare nel finale è situata ai 1300 metri, a sinistra, anche se ha un angolo non strettissimo. Più accortezza ci vorrà nell'affrontare il successivo viale che, tra una chicane e una semicurva a sinistra, porta agli ultimi 300 metri in rettilineo (largo? Non troppo) davanti allo stadio di calcio.

La più attesa e insidiosa tra le tappe della prima settimana è una parziale riedizione (quantomeno per il finale) di una frazione che nel 2010 causò non pochi rivolgimenti in classifica: e quella era una tappa un po' più semplice di questa, e si disputò in un giorno di sole (mentre stavolta le previsioni parlano di possibili piogge). Come quattro anni fa, gli organizzatori spendono il nome "Arenberg" come specchietto per le allodole, ma la tremenda Foresta verrà accuratamente evitata (la frazione finisce praticamente davanti ad essa), così come verrà evitato il Carrefour de l'Arbre: pavé troppo estremo per dei "semplici" corridori da Tour. Non che i 9 tratti previsti non diano parecchi pensieri, soprattutto a chi non è un drago nella guida del mezzo. Si parte dal Belgio, si passa da Wevelgem e poi, rientrati in Francia, anche da Roubaix, per iniziare qui (a 91 km dal traguardo) un percorso a ritroso sulle strade della regina delle classiche. Il pavé è tutto concentrato negli ultimi 70 km. Per comodità, possiamo riportare le stellette corrispondenti ai vari settori nella Parigi-Roubaix, e indicanti la difficoltà di ognuno: Gruson (1100 metri), 2 stellette; Ennevelin-Pont Thibaut (1400 metri), 3 stellette; si passa per un pezzo di Mons-en-Pévèle, che sarebbe un settore da 5 stellette, ma qui se ne percorre un chilometro e non tre come alla Roubaix; anche del settore di Bersée qui si copre un tratto (di 1400 metri), saremmo comunque sulle 4 stellette. Per Orchies (1400 metri) e Tilloy (2400) abbiamo 3 e 4 stellette; il terz'ultimo tratto, da Brillon a Warlaing, è anch'esso decurtato rispetto alla classica (1400 anziché 2400 metri), e siamo sulle 3 stellette. Ma siamo anche, arrivati a questo punto, a soli 20 km dal traguardo, e c'è da immaginare che i 50 km precedenti abbiano già abbondantemente rimescolato le carte. Non rimane che il settore più duro della giornata, quello che ai -15 porta da Wandignies a Hornaing, la bellezza di 3.7 km che corrispondono a 4 stelle: qui la corsa potrà definitivamente saltare, e l'ultimo settore, da Hélesmes a Wallers (1600 metri, 3 stellette), sfocia ai 5 km dal traguardo. Difficile pensare che una tappa completamente pianeggiante possa essere - potenzialmente - più selettiva di questa. Fortunato chi avrà un uomo da Roubaix al proprio servizio (come fu Cancellara, determinante 4 anni fa per far guadagnare a Schleck oltre 1' su Contador).

Laddove non arriva la reale difficoltà dei percorsi, arriva l'immaginifico disegno dei cartografi del Tour, che rendono simili a veri e propri moloch delle innocue salitelle. A giudicare, ad esempio, dalla resa grafica della seconda metà della sesta tappa, si direbbe che siamo in presenza di una semiclassica molto insidiosa, quando invece la Arras-Reims sarà una frazione pronta a sorridere ai velocisti in un prevedibile arrivo di gruppo. Per 100 km non c'è nulla da segnalare, gli strappetti in menù iniziano dalla Côte de Coucy-le-Château-Auffrique (km 107), che non è nient'altro se non una sgambata di neanche un chilometro e mezzo al 4%; nulla di diverso dalla successiva rampa dello Chemin des Dames, dopo il traguardo volante di Pinon: anche qui un chilometro e spiccioli al 4%, nemmeno degno di un Gpm di 4a categoria. Un ultimo dentello lo troviamo a 40 km dalla fine, è la Côte de Roucy ed è appena più impegnativa delle precedenti: 2.5 km in gran parte al 5%, anche se in cima spiana e comunque, sia quel che sia, manca ancora troppo all'arrivo. Né serviranno a smuovere le acque i 10 km successivi, tratto misto con discese, contropendenze, falsopiani: dovesse esserci anche un minimo di entropia, ci penseranno i 20 km successivi (facilissimi) a ricompattare tutto. Quanto al finale per le strade di Reims, curva a destra ai 2 km, curva a sinistra ai 1300 metri, poi basta: fino al traguardo, solo rettilineo, lunghissimo; quanto basta per far sbagliare i conti a qualche treno, destinato ad arrivare col fiato corto al momento di lanciare lo sprinter.

Non diremmo, analizzando questa frazione, cose troppo diverse rispetto alla precedente, se non fosse per un piccolo particolare: che in questo caso le salitelle sono poste nel finale, ben schierate in posizione strategica per far saltare i piani dei velocisti. In una tappa che per 200 km non ha davvero nulla da segnalare (a parte la lunghezza, quella sì: 234 in totale i chilometri), gli ultimi 30 km potrebbero risultare moderatamente scoppiettanti. Si parte ancora da un non-Gpm, un dentello al 3% utile per mettere in fila il gruppo subito prima della Côte de Maron, 3 km al 5%, seguiti non proprio da discesa ma da 5 km che alternano leggere pendenze all'ingiù con pianura. La picchiata, alle porte di Nancy, è comunque breve (il classico chilometro e mezzo) e non provocherà cataclismi. Ma occhio perché nel cuore della città d'arrivo lo strappo a sorpresa è l'ultimo, posto ad appena 5 km dal traguardo. Si chiama Côte de Boufflers, consta di poco più di un chilometro al 6%, più mezzo chilometro di falsopiano in cima. I velocisti che avranno perso terreno sulla precedente salita non recupereranno certo qui, visto che il muro in questione sarà superato di slancio, né la velocissima discesa successiva (su strade molto larghe) permetterà di recuperare. Se non si tratterà di un gruppetto di finisseur pronti a sfruttare l'occasione per il colpaccio, avremo comunque un plotone non al completo per l'eventuale sprint conclusivo. Due curve a destra nel finale, la prima ai 1500 metri, la seconda agli 800: anche in questo caso, lungo rettilineo a disposizione per organizzare (o disorganizzare) i treni, ma occhio perché una chicane ai 400 metri potrebbe rimescolare le carte.

Il variegato menu del Tour 2014 va a cercare un terzo piatto forte, come se si volessero stimolare interpreti diversi in paesaggi agonistici diversi, cercando situazioni insolite, se possibile, sorprendenti. Ora, questo passaggio cospicuo, tappe con dislivelli e arrivi da salita vera, sui Vosgi, è in anticipo, e soprattutto, in più. Va gestito diversamente, perchè gli sforzi su Alpi e Pirenei, poi, saranno i soliti. Qui però ci sono due tappe e mezza di troppo, da coprire, prevedere, oppure anticipare. Trovare per strada un avversario duro, deciso al tutto per tutto già qui, potrebbe sballare molti piani preventivati. Già questa tappa introduttiva, montuosa solo nel finale, propone. Questa frazione, inoltre, riserva ancora spazio a corridori da classiche, esplosivi e capaci di ripetere violente accelerazioni. Un po' come in Inghilterra. C'è una prima ascesa, regolare, introduttiva, media, non facile da rendere selettiva, senza tornanti, su per un lungo e arioso pendio, fino al Col de la Croix de Moinats. Ma ecco introdursi l'insolito. Sui levigati, regolari, tradizionalmente mediani Vosgi, si va a cercare l'esotico, sotto forma di due rampe di un paio di chilometri con pendenze in doppia cifra, ravvicinate negli ultimi 15 km. Il placido Col de Grosse Pierre non si sognerebbe di movimentare la corsa più di tanto, di suo. Ma, ignorandone la svolta che vi conduce per la strada maestra, e proseguendo in leggera discesa per altri 2 km per imboccare una specie di scorciatoia di collegamento per baite, è un'altra musica, intonata sulle dissonanze muscolari del 15-16%. Ed ecco di nuovo, il ricamo, la ricercatezza. È, in sostanza, una prima côte, di un paio di chilometri. Dal colle si plana, sempre senza incontrare difficoltà tecniche rilevanti, sulla conca di Gérardmer, ma da qui, in teoria già sede di arrivo, bisogna accedere ad una sede di arrivo più scomoda. La Mauselaine è la stazione invernale di Gérardmer, vi si sale per una larga strada senza segnaletica, e senza alcuna remora nell'aggredire il pendio, pressoché in linea retta. Un'altra fiammata da 6-7 minuti da riservare per il finale. Tappa da fughe, sì, ma da scaramucce quasi certe tra i corridori di classifica, ai quali si offre anche una possibilità di anticipo, a 10 km dall'arrivo sulla variante del Grosse Pierre, senza sostanzialmente possibilità di inseguimento organizzato di gruppo.

9a tappa: Gérardmer - Mulhouse
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Dom, 13/07/2014
170.0 km
Partenza: 
Gérardmer ore 13.20
Arrivo: 
Mulhouse ore 17.20-17.50
9a tappa: Gérardmer - Mulhouse
Sprint intermedi: 
Linthal km 105
Gpm: 
Col de la Schlucht (1140 m-2a cat.) km 11.5, Col du Wettstein (880 m-3a cat.) km 41, Côte des Cinq Châteaux (560 m-3a cat.) km 70, Côte de Gueberschwihr (559 m-2a cat.) km 86, Le Markstein (1183 m-1a cat.) km 120, Grand Ballon (1336 m-3a cat.) km 127

La tappa centrale del passaggio sui Vosgi vuole richiamare qualità tecniche ancora differenti da quelle esplosivo-resistenti della tappa precedente, e da quelle più prettamente arrampicatorie di quella successiva. C'è innanzitutto una complessa cavalcata tra le intricate valli della catena centroeuropea. Ci sono colli fin dalla partenza. La Schlucht, un classico, il Col du Wettstein, ancora tranquilla strada ombreggiata e pedalabile, poi si incontrano due salite assai più imprevedibili, medio-brevi, immerse nel folto di queste scure foreste franco-teutoniche, irregolari, tutte curve (la Côte des Cinq Châteaux e la Côte de Gueberschwihr). Dal labirinto non si esce se non per imboccare la più lunga salita di giornata, la quale, a premiare le prevedibili fughe con vista sulla maglia a pois da sempre inscenate su queste alture, propone un doppio Gpm a differenziare l'arioso valico di Le Markstein dal più celebre Grand Ballon. In sostanza si tratta di una lunga salita regolare, 10.8 km al 5.5%, dove pare temerario un attacco frontale al gruppo. Dal valico tuttavia si scorge la cima vera e propria della salita, il Grand Ballon, oltre un costone boscoso, dove invece, preso coraggio lungo una breve contropendenza, sarebbe possibile liberarsi della compagnia del gruppo in vista della lunga, e impegnativa, discesa. Qui si trova la cifra tecnica più specifica di questa tappa montuosa, ma caratterizzata nel finale da 23 chilometri di discesa ritmica, con pochi tornanti e tante semicurve dove l'intuito e il coraggio vengono premiati. In fondo, altri 20 chilometri di pianura lievemente a favore per raggiungere la storica Mulhuose, classicissimo arrivo di tappe caratterizzate da grandi fughe. Finale che fa di questa frazione una delle più strategicamente complesse del Tour. Una tappa tirata, con più di 3000 metri di dislivello complessivi, lascerebbe pochi uomini per chiudere buchi nel pianeggiante finale. La discesa inoltre sembra più selettiva della salita, e la partenza immediatamente all'insù aiuta molto a lanciare fughe numerose e imbottite di gregari per il finale. Riflessioni vanno fatte, esercizi di ermenuetica.

10a tappa: Mulhouse - La Planche des Belles Filles
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Lun, 14/07/2014
161.5 km
Partenza: 
Mulhouse ore 13.30
Arrivo: 
La Planche des Belles Filles ore 17.30-18
10a tappa: Mulhouse - La Planche des Belles Filles
Sprint intermedi: 
Muhlele km 39.5
Gpm: 
Col du Firstplan (722 m-2a cat.) km 30.5, Petit Ballon (1163 m-1a cat.) km 54.5, Col du Platzerwasel (1193 m-1a cat.) km 71.5, Col d'Oderen (884 m-2a cat.) km 103.5, Col des Croix (678 m-3a cat.) km 125.5, Col des Chevrères (914 m-1a cat.) km 143.5, La Planche des Belles Filles (Arrivo-1035 m-1a cat.) km 161.5

Ultima tappa, la più apertamente per scalatori, di questo pressoché completo tour tripartito dei colli dei Vosgi. C'era il Grand Ballon, non poteva mancare il Petit, salita più severa, seguita dal Col du Platzerwasel, gemella altrettanto arcigna. La tappa è seria, solo beffardamente ingentilita dall'accattivante toponimo dell'arrivo. La traversata del cuore di questa catena conosce una fase transitoria tra il km 90, fine della tortuosa discesa del Col du Platzerwasel, e il 140, inizio del Col des Chevrères. Fase transitoria caratterizzata pur sempre da due colli più facili, l'Oderen e il Col des Croix, e un paio di tormentati fondovalle. Il Col des Chevrères poi è terreno vergine. Rampe tra il 14 e il 18% immerse nel silenzio austero di fitte pinete, variante mai nemmeno immaginata nella storia di questa corsa. Le scosse cominciano all'uscita di Miellin, un gruppo di case, raggiunto da una strada già dal fondovalle stretta, assolutamente secondaria. Sono poco più di tre chilometri, non siamo al cospetto delle grandi sinfonie altimetriche alpine e pirenaiche, certamente. C'è tutto lo spazio per terremotare anche facendo leva su queste umili strade. La discesa, come la salita, non lascia spazi di recupero, tensione continua su una carreggiata impervia. La salita alla Planche des Belles Filles, continua e dura, quattro tornanti ed una perfida lunga curva a 180 gradi in corrispondenza di uno dei tratti al 12%, potrebbe portare ad una corsa di attesa. Lo sforzo non è lungo, meno di 20 minuti, e pur ricordando le violentissime accelerazioni di Froome un paio di anni fa, in percentuale non dovrebbe scavare distacchi forti. Gli ultimi 30 km della tappa però non sono mai penalizzanti per l'attaccante solitario. E non è detto che sulle più note salite a venire si ripresentino le stesse occasioni.

Dopo il primo giorno di riposo, si riparte da Besançon con una di quelle tappe che invogliano alla fuga da lontano. Non proprio lunghissima (187 km), con una serie di salite nel finale che escludono decisamente l'interesse dei team dei velocisti. Quanto alle squadre dei big e ai loro capitani, saranno impegnati a risparmiare energie in vista delle frazioni alpine. Primi 50 km abbastanza scorrevoli, la prima rampetta della giornata la si incontra ad Arbois, quasi 6 km di falsopiano con un tratto (di un chilometro) al 6%; altri 40 km di sostanziale pianura, e poi la salita che porta a Les Crozets funge da spartiacque: non difficile, priva anche di traguardo Gpm, 8 km con più spianate che strappi, ma dopo la successiva discesa (13 km con due o tre brevi tratti particolarmente ripidi) si entra, da Chassal, nei 55 km finali che promettono spettacolo. Si inizia a salire per gli 8 km della Côte de Rogna, non particolarmente ardua visto che presenta molti tratti di recupero, ma dopo il Gpm e 6 km praticamente in piano, il tracciato rilancia con un muretto niente male: la Côte de Choux non misura che un chilometro e mezzo, ma parte subito con pendenze in doppia cifra per poi mantenersi sul 6% fino in cima. La discesa non è lunga neanche un chilometro, che subito si torna a salire verso la Côte de Désertin, ascesa di 3 km la cui pendenza media al 5% è ampiamente ingannevole: infatti se la seconda metà di scalata è un semplice falsopiano, nella prima si trovano dei saltelli anche del 15%. Al Gpm (il terzo in appena 12 km) mancano 25 km al traguardo; non mancano invece altri punti nodali. 4 km di discesa non difficile, 8 di fondovalle altrettanto facile (digrada leggermente), per arrivare ai piedi della Côte d'Echallon, penultima salita di giornata: 3 km con pendenze costanti sopra il 6%, è questo il trampolino perché il più in forma dei fuggitivi prenda il largo (o perché qualche uomo di mezza classifica provi ad anticipare il gruppo). Dalla cima 5 km di discesa in gran parte leggerissima (ma su strada assai stretta), che sfocia sull'incantevole laghetto di Genin, circumnavigato il quale si trova l'ennesima sorpresa di un nuovo muro di 1 km all'8%. Scavalcato questo, finalmente discesa, i primi 2.5 km pedalabili, gli ultimi 5 abbastanza più veloci e accentuati. Arrivati in fondo, praticamente all'ingresso di Oyonnaz, non rimane che un giretto di 4 km per la città, con qualche curva (l'ultima, a sinistra, ai 1800 metri) sulla quale l'eventuale finisseur presente a giocarsi la tappa potrebbe tentare il cambio di ritmo.

In pratica una tappa gemella e complementare della precedente, almeno in apparenza; più facile, ma pronta a fungere da scenario per il medesimo spartito, che parla di fuga da lontano e big al coperto; però la conformazione del finale promette il sale sulla coda degli attaccanti a lunga gittata. Partenza facile, e quindi prima ora da volare a 50 orari. Qualche strappetto non manca, ma fino al km 80 nulla di particolarmente impegnativo. La Côte du Saule d'Oingt, vetta al km 83, è facile anch'essa (3 km al 4%), ma anche fosse durissima saremmo pur sempre a 100 km e passa dal traguardo. Discesa, pianura, strada che rimonta nuovamente in falsopiano, ancora pianura: è quanto attende i touristi nei successivi 40 km, prima delle due salite più significative della giornata. Il Col des Brosses svetta al km 138 (-47 all'arrivo) ed è bello lungo (15 km!) ma le sue pendenze sono ridicole (quella media è di poco superiore al 3%), tanto che se non ci fosse un altro strappo poco dopo, i team dei velocisti potrebbero anche essere tentati di forzare per recuperare sulla fuga, senza troppi timori di perdere grossi pezzi strada "scalando". Tantopiù che dopo il Gpm 7 km di falsopiano e 9 di discesa non trascendentale non fanno la felicità dei fuggitivi. A stroncare definitivamente i loro sogni, però, l'ultima rampa, la Côte de Grammond: 10 km che nemmeno arrivano al 3%, terreno su cui il gruppo - se non a beneficio degli sprinter puri, a favore di quelli più resistenti - mangerà vantaggio a gargamella: e se i fuggitivi non verranno da almeno un quarto d'ora di margine massimo, potranno venire risucchiati inesorabilmente. Anche perché poi dalla vetta rimangono una ventina di chilometri strutturati in modo da favorire ulteriormente chi insegue: 4 km di dolce falsopiano discendente, quasi 5 km di discesa vera ma non pericolosa, e 10 km finali praticamente in pianura, con arrivo che taglia da nord verso il centro di Saint-Étienne, e ultima curva (a destra) a 1400 metri dalla linea del traguardo. Insomma, se il gruppo non se la dorme beatamente, una volata di 60-80 unità è pur sempre possibile.

Ed ecco, al tredicesimo giorno, le Alpi. Da Saint-Étienne si punta decisi ad est e alla catena montuosa al confine con l'Italia: quasi 200 km per dare un nuovo assestamento alla classifica, eppure bisogna aspettarne 135 per ritrovarsi nel vivo della battaglia. Il lungo tratto di avvicinamento presenta sì una salitella in avvio (il Col de la Croix de Montvieux, 14 km di salita non difficile), ma utile giusto per lanciare la fuga del giorno, visto che dopo il Gpm ci sono 110 km interlocutori (compresi i primi 14, di picchiata, i quali solo nel tratto iniziale contengono qualche insidia). A Saint-Égreve, km 134, lo scenario cambia. C'è da affrontare il Col de Palaquit, 14 km di scalata che partono subito forte, con 3 km tra il 7 e il 10%; 5 km divisi tra discesina e risalita a pendenze ridotte, quindi la strada si inerpica un'altra volta, con 4 km davvero duri e ultimi due in cui le pendenze si addolciscono e scendono dal 10 verso il 5%. Una bella salita, tutta da interpretare (magari all'attacco per chi avrà la forza di osare), seguita da 12 km di picchiata non esagerata su Grenoble. I 13 km successivi sono parte in piano, parte in falsopiano a salire verso Uriage-les-Bains, da cui inizia la scalata conclusiva a Chamrousse: 18 km che di per sé non rappresentano lo spauracchio più grosso del Tour, ma che in accoppiata con la precedente salita (a patto che ci sia stata battaglia) potranno offrire scenari molto interessanti. I primi 7 km verso Chamrousse sono i più duri (il terzo e il settimo sono all'11%), ma fare già qui la differenza significa poter addirittura incrementare, nei confronti degli avversari che stessero soffrendo; le pendenze della seconda parte della salita oscillano tra il 5 e l'8%, e l'ultimo chilometro spiana addirittura al 3%. Mai come in questo caso varrà il detto secondo cui la corsa la fanno i corridori: se hanno voglia di fare, potrà venir fuori un finale altamente spettacolare; se l'intento sarà invece di neutralizzare il Palaquit e la prima parte della salita di Chamrousse, aspettiamoci una carovana fino ai 3 km dal traguardo.

Aspettavate i mostri? I tipici colli del Tour de France? Ecco un paio di rappresentanti della categoria. Il Lautaret, che spesso passa per il fratello scemo del Galibier sol perché quello sta più su, proseguendo lungo la scalata (ma quest'anno viene bellamente ignorato dal percorso); e l'Izoard, vetta della Boucle 2014 coi suoi 2360 metri s.l.m. A scaldare gli animi nella seconda tappa alpina, a preparare il terreno per la battaglia che potrebbe scatenarsi sulla salita che porta all'arrivo. Il Lautaret in partenza, dopo 50 km che da Grenoble tendono a salire, ma piano, tra un falsopiano e un piattone, fino a Le Clapiers, poco oltre Bourg d'Oisans, da dove iniziano i 34 km di una scalata interminabile. Certo, star lì ad analizzare col bilancino le pendenze punto per punto non ha senso, parliamo di una montagna molto facile per gli standard attuali, praticamente mai sopra il 6%, e spesso solo un lungo falsopiano. Ma sarà utile per sganciare una fuga con gregari interessati ai movimenti che i capitani potranno fare più avanti. La discesa verso Briançon, 28 km pedalabili anch'essi (praticamente pianura dopo i primi 10), non scombinerà troppo le cose, ma giunti a valle il tempo per respirare finisce subito, perché inizia l'Izoard. 19 km al 6% medio, comunque più duri negli ultimi 7 km, laddove la vegetazione inizia a sfoltire e a lasciare via via spazio all'immensa pietraia che sull'altro versante (quello affrontato in discesa) assume il nome inquietante di Casse Déserte. Se la giornata sarà calda, il sole a picco sarà un fattore. La picchiata, nella prima parte, è un intrico di tornanti (5 a destra e 5 a sinistra, secchi, inframezzati da altre curve più o meno insidiose, il tutto nei primi 7 km), poi a Brunissard la strada si fa dritta e le pendenze si acuiscono, per circa 4 km, fino ad Arvieux dove iniziano gli ultimi 5 km via via più dolci. Da Guillestre si scende ancora per 3 km fino a Pont-de-Chagne, dove ha inizio la scalata conclusiva. Una salita forse più da Delfinato che da Tour, ma che accoppiata a una scalata più dura come quella dell'Izoard assume molto senso. Il senso di 12 km e rotti con pendenza media prossima al 7% e che ha nella seconda metà le difficoltà più persistenti. In definitiva, non un tappone da 250 km e 5 colli hors catégorie, ma quanto basta per rivoltare come un calzino la corsa. A patto di avere gambe e coraggio (chissà se in quest'ordine).

Decisamente una tappa deludente, per essere piazzata nella terza domenica del Tour, ma d'altro canto dopo le fatiche alpine ci voleva una giornata per smaltire pedalando un po' di tossine. Un percorso nient'altro che da velocisti, da Tallard a Nîmes, dove gli strappetti che pure qua e là si trovano (principalmente nella prima metà) non sono altro che dei falsopiani che increspano l'andamento altimetrico di una frazione tra le più lunghe della corsa. Né val la pena mettersi a studiare col lanternino salitelle che, poste lontanissimo dal traguardo (l'ultima, quella di Gordes, a 80 km dalla fine), non hanno alcuna speranza di incidere sui fatti della Boucle. Più importante analizzare gli ultimi chilometri, che prevedono pochissime curve, in pratica due, una a destra ai -2, l'altra (anch'essa a destra) ai 1100 metri, immissione (ristretta da un'isola semaforica) su un rettilineo d'arrivo che ai 500 metri presenta una semicurva appena accennata a destra: sarà lotta accesa per prendere col proprio treno questo lato della strada.

Una tappa interlocutoria, un lunedì di riposo a Carcassonne, ed ecco che in appena due giorni il Tour, nel suo disegno orario, si ritrova dalle Alpi ai Pirenei. Quasi nessuna soluzione di continuità tra le tante difficoltà di una Grande Boucle molto esigente. L'approdo pirenaico passa da una frazione di quasi 240 km, disseminata solo parzialmente di salite importanti, ma comunque - per ovvie ragioni - decisiva come tutte le altre tappe di montagna. I dentelli che emergono nella prima parte dell'altimetria (Côte de Fanjeaux, Côte de Pamiers, più altri strappetti non segnati da Gpm) sono del tutto pleonastici per la costruzione di una frazione che avrà il suo culmine negli ultimi 100 km. Si parte col Portet d'Aspet, vetta ai -82 dopo una scalata di poco più di 5 km (da Saint-Lary) il cui meglio è nei 2 km finali. La discesa, tristemente nota (qui morì Fabio Casartelli e una stele lo ricorda), presenta 4 km iniziali molto ripidi e tecnici, prima che la strada spiani decisamente a Port de l'Oule. Lo spazio interlocutorio dura 10 km (comprendenti anche lo strappetto di Col de Buret), nel fondovalle che porta a La Moulette e all'abbrivio del più facile Col des Ares, 6 km al 5% scarso. Fin qui (Gpm ai -61) è onestamente complicato immaginare che ci possa essere battaglia tra i big, anche perché dopo una discesa di 8 km (non difficili) c'è pure un fondovalle di ben 20 km fino a Granges de Crouhens, ad anticipare il vero piatto forte della giornata: il Port de Balès, 12 km di scalata al 7.7% medio, ma soprattutto con una fase centrale che non si fa mancare tratti al 10% e oltre. Per essere la montagna finale di una tappa del genere, è impegnativa il giusto, ma non esaurisce in vetta le sue insidie, visto che il traguardo è situato a valle, nella classicissima Bagnères-de-Luchon, per raggiungere la quale i corridori dovranno percorrere 21 km di discesa, appena più ripida e tortuosa nei primi 5 km, quindi da pedalare a tutta se si vuole tener lontani gli inseguitori, ma che inevitabilmente sui suoi lunghi falsopiani digradanti permetterà qua e là qualche raggruppamento di uomini sparpagliatisi lungo la salita.

Secondo giorno pirenaico e giro delle vette "minori" ma concentrato in appena 124 km. La tappa di montagna "sprint" ci sta anche, a solleticare caratteristiche diverse nei vari corridori, ma qui c'è un po' di rammarico per il fatto che non si parta subito all'insù (tappa breve+avvio in salita=spettacolo quasi sicuro, a giudicare da quanto visto negli ultimi anni), bensì con 50 km di pianura che portano a sconfinare brevemente in Spagna per prendere il Portillon dal versante di Bossòst: 8 km la salita, pendenza media del 7% e andamento appena più duro nella seconda metà. Le gambe dei protagonisti si scaldano, la discesa verso Bagnères-de-Luchon (molto ripida nella prima metà, con tratti che vanno oltre il 12%) terrà tutti i sensi all'erta, ed è sul successivo Peyresourde che qualcuno con l'intenzione di terremotare la corsa dovrebbe muoversi: salita che inizia a 55 km dal traguardo, lunga 13 km e di una regolarità asfissiante (sempre sull'8%, anche se la pendenza media - che tiene conto di un paio di spianate - è del 7). C'è di che fare la differenza, a volerci provare. Anche perché il saliscendi prosegue senza respiro, e mettere subito la questione sul piano dell'uno contro uno, fuori i gregari!, potrebbe dare all'esito risvolti impensati. La discesa verso Armenteule è quasi identica alla salita, regolare almeno per 6 degli 8 chilometri di picchiata. Servono occhi aperti e capacità di rilanciare dopo i pochi tornanti presenti. I 5 km di fondovalle intorno a Loudenvielle voleranno via in un attimo, e sarà già Col de Val Louron-Azet, terzo Gpm di giornata, il più breve ma non certo benevolo, col suo 8% di pendenza media spalmato sui 7 km di scalata, ma con punte costantemente sul 10% nella prima metà, quando un lungo susseguirsi di tornanti permette qualche periodica boccata d'ossigeno. Dalla vetta non mancano che 22 km: 10 di discesa (a tratti ripidissima, con un drittone di un chilometro al 12% subito prima di Azet, dove la strada poi spiana un po'), 2 di fondovalle per attraversare Saint-Lary, e 10 nuovamente di salita, fino al traguardo di Pla d'Adet: una scalata da prendere con le molle, 7 km tra l'8.5 e il 10%, poi negli ultimi 3 la questione diventa più amichevole, ma a quel punto ciò che è fatto è fatto, e quel che doveva essere fatto, doveva essere fatto ben prima.

Oddio, no! Pau sede di tappa! Tranquilli, la frazione si svolge nel verso giusto, con le montagne alla fine, coerentemente - peraltro - con quanto la linea Prudhomme promuove da anni (mentre il predecessore Leblanc - per usare un termine tecnico - se ne strafotteva). Parliamo di sedi d'arrivo troppo distanti dalle montagne, e di tappe troppe volte sprecate (da un'organizzazione cieca) col Tourmalet a 70, 80, 90 km dal traguardo. Il vento è cambiato, anche tra i Pirenei. E può anche succedere che per il secondo giorno consecutivo dei potenziali tapponi siano ridotti in minicavalcate di meno di 150 km. Il dislivello comunque non manca (siamo sopra i 3300), certo parliamo di uno sport sempre meno diesel-friendly. Si parte da Pau, dunque, e fino a Bagnères-de-Bigorre c'è poco da segnalare: tre o quattro strappetti poco significativi (due dei quali degni del Gpm di 3a categoria), ma è chiaro che le portate gustose sono nella seconda metà della tappa. Sainte-Marie-de-Campan è al km 78 (67 dal traguardo), ed è la località da cui - dopo un falsopiano sempre più sostenuto - si dà convenzione di far partire il Tourmalet. Parlare di Tour e parlare di Tourmalet è praticamente la stessa cosa: se non è la montagna più rappresentativa della Grande Boucle, è quantomeno in top 3. 17 i chilometri di scalata, pendenza media del 7%, sole probabilmente alto, asfalto che si scioglie sotto le ruote, e una pendenza che parte debole (per 5 km) ma che poi si rafforza fino al 10% della parte centrale e il 9% di quella finale. 50 km tondi dalla vetta all'arrivo, qualche romantico (o folle) sarà senz'altro partito sul Tourmalet, in fondo siamo all'ultima tappa per gli scalatori. E poi in discesa magari qualcos'altro si può guadagnare: 19 km di picchiata verso Luz-Saint-Sauveur, i primi 9 sono ripidi (tra il 7 e il 10%) e ricchi di impegnativi tornanti, che poi diventano - più a valle - tornantini, in un'ultima parte di pendio che digrada sempre più dolcemente. Il problema per gli eventuali attaccanti sono i successivi 17 km di falsopiano ulteriormente discendente, roba da pedalare fortissimo col rapporto duro, col rischio di ingolfarsi prima dell'ascesa finale: ne vale la pena? Per l'uomo solo probabilmente no, ma se si è mandato in avanscoperta qualche gregario da raggiungere sulla discesa del Tourmalet, il gioco può funzionare. A Ayros parte l'ultima scalata pirenaica del Tour 2014, quella verso Hautacam. Tutt'altro che semplice, considerando anche che siamo alle ultime battute e le energie saranno al lumicino per tutti. 13 km e mezzo di una salita divisa in due: prima metà con una pendenza media inferiore al 7%, seconda metà che presenta pendenze in doppia cifra tra l'ottavo e l'undicesimo chilometro. Il terreno di un estremo, ideale scontro tra scalatori, prima che la crono apponga la parola fine alla contesa.

Ora, mettetevi nei panni del velocista che, dopo aver scavallato i Vosgi, dopo aver resistito sulle Alpi, dopo aver dato tutto per tener duro pure sui Pirenei, si aspettava una bella tappa tutta per lui, senza complicazioni di sorta, e invece si ritrova questo finale incerto a Bergerac. S'ira no, o s'ira sì? S'ira sì, ovviamente! Perché l'organizzatore, con malcelato gusto sadico, piuttosto che regalare una chance sicura agli sprinter, in capo ai 200 e passa chilometri di una tappa che non avrebbe altro motivo di interesse tecnico se non la volata, ha deciso di fare una deviazione per andare a cercarsi uno strappetto e quelle stradine strette che sono spesso teatro di ottimi colpi di scena. Per 185 km la frazione fila liscia come l'olio, ma poi s'increspa: dopo Flaugeac si incontra un primo falsopiano, ma nulla di terribile, così come non è temibile la discesa, su strada ben larga e ariosa. Il problema (per il velocista di cui sopra) arriva poco dopo, allorquando anziché tirare dritto fino a Bergerac, il percorso vira verso est andando a cercare la Côte de Monbazillac, da raggiungersi (attraverso il chilometro e mezzo che la compone, pendenza del 7%) per stradine minuscole e immerse nei vitigni della zona. Dalla cima, poi, ad ulteriore onta degli sprinter, non si trova subito discesa, ma ancora 3 km in piano sui quali qualcuno continuerà ad annaspare. Solo a 10 km dal traguardo inizia la picchiata, breve come la salita ma ancor più ripida: e occhio, perché si sviluppa su lunghi rettilinei ma di una stradina sempre strettissima, e in queste situazioni le cadute sono all'ordine del giorno, specie in caso di gruppo particolarmente folto. Dalla fine della discesa mancano 9 km o poco meno, e i team delle ruote veloci dovranno fare in fretta a riorganizzarsi per raggiungere eventuali sfuggiti prima dell'ingresso in Bergerac, dove peraltro un bel toboga attende chi vorrà misurarsi allo sprint: tra gli 800 metri e i 500 sarà necessario affrontare una doppia curva a sinistra (angolo retto+angolo retto) prima di raggiungere il mezzo chilometro di rettilineo conclusivo. In definitiva, quanto se la dovrà sudare, questa benedetta vittoria, l'iroso sprinter?

Non è mancato qualcosa, in questo Tour? Sì, la cronometro. Ci si arriva solo alla 20esima tappa, quando per molti i buoi saranno abbondantemente scappati dalla stalla. Con le energie residue gli uomini di classifica si daranno l'ultima battaglia, su un percorso che non ha nulla dei piattoni da specialisti, ma che si sviluppa attraverso 54 km di saliscendi tra Bergerac e Périgueux. Una cronometro potenzialmente bellissima, di sicuro incerta, visto che l'incessante mangia&bevi impedirà a molti di trovare o di tenere il ritmo più adeguato. I primi 11 km li consideriamo di pianura (anche se c'è subito, al terzo chilometro, un minidentello), ma lo specialista potrà guadagnare poco anche perché dovrà badare a gestire le energie in vista delle successive salite, via via più impegnative dalla prima alla quarta. L'ascesa a Lagudal misura 3.2 km, ed è seguita a stretto giro da un'ulteriore rampa di un chilometro. Le pendenze non sono eccessive, siamo sotto il 5%, anche se non mancano tratti che porranno più di un dubbio a chi dovrà scegliere i materiali. Un paio di chilometri di discesa (e siamo a 20 dalla partenza), quindi c'è un falsopiano di 7 km che porta ai piedi della salitella di Sargaillu, 1.5 km al 4%. Nuova discesa di 2.5 km (con pendenze maggiori della picchiatina precedente, si arriva a lambire il 10%), prima di 5 km misti sui quali non sarà così immediato trovare il rapporto giusto da spingere. La terza salita del percorso è quella che culmina a Font-de-Meaux, km 39 (e secondo rilevamento cronometrico; il primo era al km 19). Nei 3 km di questa scalatina non mancano un paio di tratti un po' più duri, mentre i 5 km di discesa rimangono abbastanza morbidi e pedalabili. Il cambio di ritmo sarà necessario all'approccio della quarta e ultima salita, la Côte de Coulounieix Chamiers: un chilometro e mezzo veramente infame, praticamente tutto tra l'8 e il 10%, uno sforzo che dopo 45 km di acido lattico farà vedere le streghe a più d'uno. Una volta scollinato, mancano 6 km alla fine, i primi due non si decidono a scendere, ed è ai -4 che si imbocca una discesa (di 2 km) verso il centro di Périgueux, dove, al termine della prova, avremo il nome del vincitore della Grande Boucle. Una cronometro durissima, che chiamerà a raccolta le ultime forze degli uomini di classifica, i quali potrebbero a quel punto anche avere la meglio sui cronoman di ruolo rimasti in gara.

In genere non conta più di tanto quanto sia lunga l'ultima tappa di un Tour de France, o se abbia o no qualche strappetto nella sua prima parte, giusto per movimentare qualcosa in vista della folle corsa dei Campi Elisi. E non conta nemmeno stavolta, anche se possiamo pure dire che se i primi 60 km fossero stati quelli di una tappa della prima settimana, magari qualcosa ci sarebbe successo, tra una rampetta e l'altra. L'aria di svacco andrà fatalmente ad esaurirsi con l'avvicinamento alla Ville Lumière. Parigi attende come ogni anno i gruppo sui suoi viali, stavolta ci si arriva da sud-ovest, si costeggia per un lungo tratto la rive droîte della Senna prima di piombare sul famosissimo circuito degli Champs-Élysées, dai Giardini delle Tuileries attraverso Place de la Concorde, e via lungo l'interminabile viale fino all'Arco di Trionfo e ritorno, e di nuovo giro intorno alle Tuileries, Place de la Concorde, e avanti e e indietro, avanti e indietro, per 8 giri di un circuito di 7 km che verranno percorsi a velocità sempre più vertiginose, fino all'attesa volata finale. A meno che qualcuno, sull'acciottolato delle strade parigine, non trovi il modo di sorprendere il gruppo. Accade di rado, ma quando accade ce lo ricordiamo per sempre (vedi Vinokourov nel 2005).

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