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Criterium del Delfinato 2014

Una basilica neogotica, un lungo tunnel, un colle, una stazione. Inizio di corsa in accesi chiaroscuri. La seconda capitale di Francia si presenta così in questo prologo lungo, da non annoverare tra i più insipidi. La partenza riceve la solenne benedizione della austera, neogotica basilica della Redemption, stile rigorosamente flamboyant. Sulla alta, luminosissima facciata, qualcuno potrà leggere, in partenza, un richiamo alla riscossa, insomma. Poche decine di metri e una curva secca a sinistra porta su un lunghissimo rettilineo pressoché pianeggiante di più di due chilometri. Dapprima, ancora la luce, chiara, del cielo di Francia passando sul ponte sul Rodano. Subito dopo, il buio del tunnel della Croix-Rousse, lungo 1782 metri. Diritto, a tagliare l'omonimo colle. In fondo un altro ponte, sull'altro fiume di questa geograficamente polimorfa città, la Saône. C'è un ritmo in questo prologo: luce, buio, luce, poi un colle, l'Observance. Salita breve, 800 metri al 5.5%, due tornanti larghi. Esplosiva, da aggredire al massimo. Il secondo tornante, con la bici e i rapporti da crono, però, conviene farlo sull'esterno visto che la pendenza per un tratto s'inasprisce fin verso la doppia cifra, sul bordo interno. Discesa altrettanto breve, a tornanti, ombrosa, forse umida, non veloce, interrotta da tornanti, dei quali il primo è strettissimo e costringe alla ripartenza da quasi fermo. Poi il percorso si stende di nuovo sul lungofiume della Saône, per andare a morire sulla lingua di terra chiusa dalla confluenza dei due grandi fiumi. Ancora 5 chilometri di corsa, dei 10 complessivi, per decretare il vincitore, uno specialista quasi certamente, non impensierito da un paio di chilometri tra salita e discesa. Ma la lunghezza, la capacità di mantenere e rilanciare in fuori soglia sulla salitella dell'Observance, infine di riportare sul filo dei 50 la velocità dopo la lenta discesa per altri 6 o 7 minuti, sono fatte per mettere in luce da subito gambe complessivamente brillanti. Non impossibile nemmeno realizzare subito un piccolo bottino di secondi per la classifica.

2a tappa: Tarare - Pays d'Olliergues-Col du Béal
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Lun, 09/06/2014
156.0 km
Partenza: 
Tarare, ore 10.35
Arrivo: 
Pays d'Olliergues-Col du Béal, ore 14.38-15.04
2a tappa: Tarare - Pays d'Olliergues-Col du Béal
Sprint intermedi: 
Ambert km 130.5
Gpm: 
Côte de Saint-Marcel-l'Éclairé (764 m.-2a cat.) km 5.5, Côte d'Albigny (600 m.-4a cat.) km 16.5, Côte de Bard (760 m.-2a cat.) km 90.5, Col de la Croix de l'Homme Mort (1157 m.-2a cat.) km 100.5, Col des Pradeaux (1195 m.-3a cat.) km 115, Col du Béal (1391 m.- HC) Arrivo

C'è indubbiamente una nuovelle vague tra i disegnatori del Tour e delle corse affratellate, un po' naïf se si vuole: alla ricerca del nuovo, dell'insolito, del non visto, della sorpresa, insomma, delle piccole strade e dei piccoli colli, forse anche di qualche stravaganza. E così, una corsa tradizionalmente ancorata agli sprint per metà, e ai grandi colli per l'altra, insieme ad una crono di lunghezza da Grand Tour, s'inventa questa tappa già quasi decisiva il secondo giorno, senza nemmeno lambire la grande catena montuosa che chiude l'orizzonte secolare del Delfinato. L'introduzione è collinare, una salita di seconda categoria in partenza, poi una serie di ondulazioni, quasi sempre allo scoperto, a contornare i colli, 50 chilometri non facili, perché la tipologia di tappa con arrivo in salita, necessita di controllo. C'è poi un secondo passaggio difficile, 35 chilometri più a valle, oltre la Loira, all'uscita della cittadina di Montbrison. Altri 50 chilometri dolcemente ondulati, caratterizzati dal Col de la Croix de l'Homme Mort - niente a che vedere con il gotico toponimo - tutta tra il 5 e il 6% di una strada a due corsie, ampia, senza tornanti, senza curve secche, nemmeno in discesa, fin oltre il Col des Pradeaux. Si circuiscono le levigate cime della selvaggia Alvernia, territorio storicamente a lungo isolato, i passaggi nei borghi sono rari, le strade seguono percorsi antichi, seguono i pendii evitando asprezze. Si arriva allora al finale, a raggiungere l'Osservatorio del Col du Béal. Rispetto alla regolare ondulazione della tappa, questa salita cambia sensibilmente registro. Si tratta pur sempre, per difficoltà dell'ascesa, del secondo arrivo più impegnativo della corsa, 900 metri di dislivello. Non appena la strada, superate le rurali frazioni poco sopra Olliergues, entra in un fitto bosco, si incontra il segmento principalmente selettivo di una via secondaria, tortuosa, ci si perde subito di vista. 3 km con punte vicine al 10%, fino a che la strada rimane sullo stesso versante ombroso. Poco oltre si intravede la cima e da Saint-Pierre-la-Bourlhonne la pendenza si attesta su un meno ruvido 7% medio fino a raggiungere la zona sommitale, aperta e ben visibile fin dagli ultimi 3 chilometri. Lo sforzo può essere dunque calibrato a vista d'occhio. Trattasi comunque di salita vera, un antipasto sostanzioso, alla francese, occasione imperdibile per dare alla corsa un indirizzo preciso.

Anche la terza tappa, pensata per un arrivo di gruppo, mantiene un disegno originale, rispetto al classico. Fino al km 157 dei 194 in programma, non si incontra pianura salvo un breve tratto iniziale. Nella pancia del gruppo la giornata dovrebbe trascorrere comunque tranquilla, con frequenti scosse, dovute alle leggere, continue ondulazioni. Un passaggio cruciale della tappa lo si raggiunge al chilometro 143, poco oltre Vernoux-e- Vivarais, superato uno stretto ponticello in pietra, si sale al Col de la Mûre, 4 chilometri, appena più di una côte. Ci sono delle insidie, un paio di chilometri sul 9% e un passaggio poco oltre il 10, verso metà, i 500 metri finali sono più pedalabili. Per una fuga, asperità fastidiosa. Non è sufficientemente vicina al traguardo per dare il la ad una azione solitaria. La pendenza inoltre, unitamente ai continui saliscendi precedenti, potrebbe consentire un recupero sostanziale del gruppo e indurire la gamba prima del pianeggiate segmento finale, dove invece sarebbe di cruciale importanza avere a disposizione ancora le energie migliori. La discesa è molto veloce, si contano tre, quattro curve più decise, il resto è da fare in posizione di massima aerodinamicità. Gli ultimi 37 km si stendono lungo la valle del Rodano, scorrevoli, pianeggianti, senza insidie, in costante e lievissima discesa. Ogni recupero sembra possibile, poche possibilità di anticipo dello sprint, quasi nessuna curva. C'è una rotonda e una curva secca a destra in leggera discesa a meno di 500 metri dal traguardo, insidiosa, veloce, da anticipare, per non esserne sbalzati verso l'esterno e perdere la traiettoria migliore verso il traguardo in lieve discesa.

Un'altra frazione insolita per questa corsa a tappa tradizionalmente bifronte, divisa tra pianura e grandi montagne. Per tre giorni consecutivi gli aspiranti vincitori sono chiamati alle schermaglie, alla guerriglia, al mordi e fuggi. C'è una lunga parte della quarta tappa nuovamente ondulata, sinuosa, ma fondamentalmente insipida. Non che la via sia semplice, lineare. Si percorre, ad esempio, nella parte centrale della tappa, la valle dell'Eygues, da Nyons a Rosans, zona di gole, tutta leggera salita per molti chilometri, circa 60 fitti di curve. Ancora terreno non semplice per le fughe, visto che la strada, perfidamente costringe a lungo al tiro, concedendo rarissimo recupero e impegno per mantenere la velocità ad un livello sufficiente. Logorante, insomma. In gruppo, di nuovo, tanta attenzione, variazioni di ritmo, ma niente di sostanzialmente coinvolgente. Stavolta, però, sul traguardo si affaccia un colle di 9 km, tradizionale, ben noto. Il Col de Manse. Strada che risale un soleggiato pendio digradante su Gap, 500 metri di dislivello con pendenze abbordabili. Buona anche per scattisti, uomini veloci che resistono per qualche tempo a ruota degli scalatori, qui è questione di 20 minuti, all'incirca. Inoltre, anche qui non è facile andarsene, verso la cima c'è una notevole spianata, un piccolo altopiano, con ampia visuale sulla strada da percorrere. Alla violenta sgasata necessaria per spezzare il gruppo serve far seguire un buon cinque minuti di potenza sul lungo rapporto, in cima, alle viste del gruppo. Non facile. La discesa inizia gradualmente, e va pedalata almeno nella prima parte. Questa discesa: bisogna parlarne. È la strada parallela a quella, infida, diabolica, maculata di asfalto molle della caduta di Beloki nel 2003. Non è la stessa, topograficamente parlando, ma è la stessa quanto a caratteristiche, irregolarità, pendenze. Allo scoperto, l'asfalto non sembra molto diverso, le vie di fuga come ben illustrò il vecchio Lance, ci sono, sul prato. Alterna tratti veloci ad improvvise serie di due-tre curve, e tornantini, molto chiusi. Seduce, fa prendere velocità e poi impegna severamente nella gestione di questa velocità in entrata a questi toboga. Insomma, per lo specialista, un invito a nozze. Soltanto, piuttosto corta per pensare di guadagnarvi più di qualche manciata di secondi. E seguita da una retta di 4 chilometri semipianeggiante fino al traguardo, alle porte di Gap. In caso di sprint, veloce e lineare. Ma, qualcuno visto attaccare su meno invitanti discese, qui sarebbe un peccato non riprovasse.

La quinta tappa sale di un livello, nella difficoltà, e rimane aperta alle più diverse interpretazioni. Come la precedente, ma soprattutto la successiva, presenta più di una oppurtunità anche per chi volesse farne una leva per scardinare la classifica, o per lo meno, cambiarle faccia. C'è un circuito finale disegnato ad ampio raggio sulle alture della Matheysine, turistica regione di media montagna tra le Alpi e la Provenza. Tre colli, tra pascoli di respiro già intensamente alpino, non durissimi, e men che meno di chilometraggio importante. Vi possono tenere botta anche buoni corridori da classiche. I primi due, però, brevemente, per un paio chilometri il Col de Malissol, per altri 3 il Col de La Morte, impennano decisamente, fin sul 10-11%. Rispettivamente a 54 e 40 chilometri dal traguardo, piuttosto lontano. Ma dallo splendido, a dispetto del nome, altipiano con affaccio sulle cime innevate di questa zona prealpina di La Morte, ci sarà pochissima pianura. Dieci chilometri di discesa, risalita pedalabile a Laffrey (6 km al 6%) e infine 20 chilometri con altre due ondulazioni da 150-200 metri di dislivello l'una. Terreno da attacchi e contrattacchi, senza molto spazio per recuperi importanti. D'altra parte nemmeno si trovano negli ultimi 50 tratti favorevoli ad un ricompattamento in massa del plotone. Solo gli ultimissimi chilometri, alle porte di La Mure, consentono un inseguimento più deciso e compatto. Nemmeno gli ultimi due chilometri, poi, sono troppo scorrevoli. Nell'attraversamento della cittadina di La Mure, la strada si restringe molto e ai 500 metri c'è una curva, tra le case, non delle più veloci, senza visibilità, stretta fra muri e marciapiedi. Arrivo in leggera ascesa. Per attaccare le parti alte della classifica, occorre coraggio e lungimiranza, trampolini vicinissimi al traguardo non ce ne sono. Tuttavia gli ultimi 50 km non hanno veri e propri tratti molto vantaggiosi per un gruppo che insegue.

La terza giornata di guerriglia potrebbe forse ispirare fuggitivi di buon rango. La tappa si snoda sulle alture tra i laghi prealpini di Bourget e Annecy. Il territorio s'ingentilisce, e rinverdisce. C'è ancor maggiore profumo di Alpi, nei prati, nelle tipologie abitative, e soprattutto nel modo di costruire strade, meno impensierito dall'aggirare pendii eccessivi. La tappa però lascia solo intravedere all'orizzonte gli alti monti, disdegna le lunghe salite che tutt'intorno si propongono, per rimanere nella tonalità intermedia delle frazioni precedenti. Questa tuttavia trascolora nel finale per acquisire il carattere di una vera e propria classica in stile ardennese. Di nuovo, siamo alla ricerca dell'insolito, del sorprendente, della chinoiserie. Si raggiungono le alture di Annecy dal lato posteriore, incuneandosi nelle profonde gole del Fier, affluente di sinistra del Rodano, 40 chilometri al traguardo, basso muretto sulla destra a sbalzo sulla boscaglia fiancheggiante il torrente. Ad occhio, non una strada dove un gruppo di 200 corridori passi senza apprensioni. Brevi gallerie in pietra grezza che si susseguono l'una all'altra, inevitabile nervosismo, frenate e ripartenze in tutto il gruppo. Prevedibilmente in lunga fila. Zona da imboscate, chiaro come il sole. All'uscita dalla gola, un tratto di relativo riequilibrio, però incomincia gradualmente una salita non lunga, all'uscita da Rumilly, la Côte de Marcellaz-Albanais, 4.6 km pedalabili, ma che introduce ad un finale terremotato di contropendenze e brevi strappi, senza sostanzialmente respiro, nei 20 km finali. Si ritorna verso il Fier, e la sede stradale si restringe fino a pochi metri. Il rullo di tamburi finale inizia appena oltre un tratto di sentiero asfaltato che costeggia, praticamente a sfioro, una ferrovia. C'è una rampa di un paio di chilometri, pressoché inghiottita dalla vegetazione, nota al Garibaldi come Côte de Ronzy, 6.3% di pendenza media, ma sono tutti scossoni violenti alternati a brevi pianetti. Un breve tratto di strada più civile e, di nuovo, il percorso fa compiere un largo giro intorno a Poisy, sugli ondulati pascoli, di gusto prettamente elvetico, tutt'intorno, fino ad imboccare una via di periferia denominata Route des Vignes, ma oggi tutta punteggiata di eleganti villette, che, al 15%, riporta nel centro del villaggio. La strada però non spiana del tutto fino al traguardo, circa 2 km oltre questa ultima côte. Tappa di finissima cesellatura, probabilmente non decisiva, leggera anche nel chilometraggio, ma piena di trabocchetti molto vicini al traguardo. Non certo impossibile approfittarne realizzando il massimo guadagno, con un relativamente breve sforzo.

Si approda infine alle Alpi, e non solo: se ne va a circumnavigare il cuore. In due tappe si compie un mezzo periplo della loro cima maggiore, il Monte Bianco. La prima delle due tappe è la tappa più dura della corsa, sconfinante nella seconda metà in Vallese, Svizzera romanda. Vi si giunge attraverso una delle più classiche strade del Tour, il tratto settentrionale della Route des Grandes Alpes, la Côte des Gets, il Corbier, e, attraverso l'antico transito della Vallée d'Abondance e del Pas de Morgins, si scende nella ampia vallata del Rodano svizzero. Delle tre salite, più selettiva è il Corbier, molto lontana dal traguardo, che tuttavia potrebbe risultare utile per una prima selezione, più o meno forte a seconda della decisione con cui verrà attaccata. C'è un chilometro all'11% di pendenza media, preceduto da altri tratti di poco minore impegno, all'uscita da Le Corbier, 2 km alla cima. Il finale di tappa chiama apertamente allo scoperto gli uomini da Tour, arrivati ai piedi del grande gigante alpino. Da Martigny si susseguono, intervallate da nemmeno 10 km di veloce discesa, 15 minuti al massimo, due salite di impegno notevole, per complessivi 22 km tutti classificati intorno all'8% medio. Mentre il Col de la Forclaz sembra progettato al computer, per regolarità e raziocinio, l'ascesa finale al Lac d'Emosson è più scorbutica. Da Martigny ci si immette su una costante ascesa sempre tra il 7 e l'8%, generalmente piuttosto calda, la cima a 1530 metri, abbondantemente più di 1000 di dislivello in 13 km, estremamente regolare. Il passista, se poi è a ruota, è nel suo elemento. Potrebbe soffrire assai di più lo scalatore puro, nonostante il notevole dislivello, specie con una andatura sostenuta e costante, poiché non c'è alcun reale tratto di recupero per tutta la asfissiante salita. Salita "da Tour" insomma. Viceversa, il gusto per la scoperta, si riaffaccia non appena la discesa della Forclaz scende nella parte più bassa della fredda vallata sottostante, per imboccare la totalmente inedita ascesa alla diga di Emosson. Fino a Finhaut, non si trovano tracce di alcunché di particolare, strada ampia e regolare, nemmeno ancora compaiono le cime del Bianco, occultate dagli alti versanti montuosi circostanti. Poi, cambiano molte cose. L'ascesa comincia il suo braccio di ferro, fatto di tratti alternativamente in doppia cifra e poco sotto. Il corridore in difficoltà può solo contare 4 lunghi tornanti, l'ultimo dei quali ancora a quasi 2 chilometri dalla cima. La strada è un cornicione su di un ripido e compatto versante, e ne segue gli sbalzi, le irregolarità della roccia. Pura montagna, insomma, si lambiscono i 2000 metri, in uno scenario - quello dell'arrivo - splendidamente lambito dal vicinissimo lago artificiale e con vista all'orizzonte delle maestose e vicine cime settentrionali del massiccio del Monte Bianco.

8a tappa: Megève - Courchevel
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Dom, 15/06/2014
131.5 km
Partenza: 
Megève, ore 13.25
Arrivo: 
Courchevel, ore 16.42-17.04
8a tappa: Megève - Courchevel
Sprint intermedi: 
La Bâthie km 86
Gpm: 
Côte de Domancy (809 m.-2a cat.) km 16.5, Col des Saisies (1650 m.-1a cat.) km 47, Côte de Montagny (1028 m.-1a cat.) km 115.5, Montée de Courchevel Le Praz (1267 m.-1a cat.) Arrivo

L'ultima tappa gioca al risparmio. Si risparmiano chilometri, solo 131 quelli della tappa, ma soprattutto si risparmia la fetta più grossa della tradizionalissima salita di Courchevel. In partenza si prosegue sulla via del periplo del monte Bianco, sulla storica côte del mondiale di Sallanches, la Côte de Domancy, e sul levigato e panoramico Col des Saisies. La partenza, nonostante le pendenze rimangano sempre gentili, chiama allo scoperto almeno i cacciatori di tappe, lasciando loro terreno utile ad avvantaggiarsi su un gruppo forse pago delle battaglie dei giorni precedenti, e senza poi riservare grandi ostacoli per raggiungere il traguardo. Il percorso plana su Albertville e poi prosegue, per tutta la fase centrale della tappa, in un lungo fondovalle, circa 50 km, prima del non mostruoso finale. Si va a cercare una strada secondaria sul versante nord della vallata, la Côte de Montagny, poco più di 8 km, che s'inasprisce verso metà, ma solo per un paio di chilometri. Sono, in pratica, gli 8 chilometri che sono stati tolti all'ascesa di Courchevel nella sua versione tradizionale. È come se l'avessero spezzata in due tronconi, invertendoli e lasciando un breve tratto di recupero centrale. Certo, in questo modo la competizione potrebbe guadagnarne in vivacità, tuttavia viene meno l'impatto di una salita lunga e continua come era quella dell'ultima vittoria del Pirata. Scelta i cui effetti sulla corsa saranno da valutare, ma così la tappa fa meno paura, perchè il finale lascia discreti tratti di recupero. Decrescendo finale, che, sulla carta, chiama una fuga di buon livello.

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