La terza e ultima tappa in Corsica è la più breve ma anche la più interessante (almeno sulla carta) e forse la più bella dal punto di vista scenografico. Si sviluppa sul versante ovest dell'isola, e inizia subito in salita, con il primo Gpm di giornata dopo appena 12 km di gara: ma il Col de San Bastiano, nonostante "contenga" quasi un chilometro al 9%, servirà appena a scaldare i motori. 7 km di discesa non particolarmente ardua, quindi una trentina di chilometri praticamente in piano, e poi da Malzone si torna a salire verso il Col de San Martino, oltre 7 km di ascesa molto pedalabile a parte un chilometro (nella prima parte) sopra il 10%. Dal Gpm non si scende subito, ma dopo 6.5 km "in quota" (siamo solo a poco più di 400 metri slm), gli 8 km di picchiata verso Porto non mancano di punti molto molto tecnici. La Côte de Porto, terzo Gpm di giornata a 70 km dalla conclusione, consta di 1.5 km al 6% ed è seguita da una discesa di 3 km non difficile come la precedente. Quindi un tratto misto di una trentina di chilometri con un numero imprecisato di curve e di strappetti, che culmina con il Col de la Palmarella (vetta ai -40), a cui però da questo versante si giunge in maniera troppo graduale perché venga previsto un traguardo Gpm. 11 km di discesa altimetricamente facile ma planimetricamente da mal di testa (una curva dopo l'altra) precedono 4 km pianeggianti e un leggerissimo falsopiano di 6 km che conduce ai piedi dell'ultima asperità del percorso. Il Col de Marsolino è lungo solo 3.5 km ma ha tutte le caratteristiche per incidere a fondo: la pendenza media è dell'8%, la prima metà è da rapporto (su un rettilineo di 1.5 km al 6% medio), poi la strada si indurisce, con tre gradoni oltre il 10%. Gli ultimi 500 metri, al 13%, sono i più duri, e dalla cima al traguardo non rimangono che 13 km e spiccioli: i primi 4 di discesa (molto ripida nella prima metà) sono seguiti da 8 km di leggero e poi quasi impercettibile falsopiano digradante, con solo l'ultimo chilometro completamente piatto, nella località di Calvi. Un finale a rotta di collo tra immancabili lepri e inseguitori affamati.
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@andy_schleck: NESSUNO, se lo aspettava! Ma c'erano 8 ragazzi che sapevano cosa avevi nelle gambe!!! Ben fatto @Jan_Bakelants, fiero di te amico
@nicholasroche: Manca qualcosa? Dove sono il bus ed il camion dei meccanici? Tutti sul traghetto. Organizzazione divertente oggi! pic.twitter.com/6L83aUVrHT
@Jrserpa01: Dopo un giorno così duro bello camminare sulla spiaggia e godersi il rumore del mare francese pic.twitter.com/hbu7mt4TEr
@voecklerthomas: Tappa rapida, ho provato ad attaccare ma francamente ho un po' sopravvalutato le mie forze, le gambe non erano da invidiare
@enrigasparotto: Ultimo giorno in Corsica..ieri sera questo era lo spettacolo dalla camera Ga&Ga @gavazzif!! pic.twitter.com/3FbL11xLcc



Nella seconda tappa finalmente assistiamo ai primi distacchi significativi; dopo la frazione arrivata a Bastia, al termine della quale tutti i concorrenti sono stati classificati con lo stesso tempo, nella giornata di domenica cinquantanove corridori hanno portato a termine una fuga prestigiosa, con grandi firme presenti. Tuttavia la vittoria non è andata né a Mark Cavendish né a Tony Martin né a Marcel Kittel ma all'esperto kazako dell'Astana Dmitriy Muravyev. La grande festa kazaka è continuata grazie al secondo posto di Assan Bazayev, portando ad una doppietta domenicale da ricordare per il paese asiatico. Dopo la coppia di celeste vestita si è posizionato un duetto neroazzurro, con i due britannici Geraint Thomas e Ian Stannard ad occupare terzo e quarto posto per la Sky. A seguire non più un duo ma un trio, vestito di verde Europcar con Kévin Reza quinto, Jérome Cousin sesto e Yohann Gène settimo. Il primo italiano, Adriano Malori, ha portato l'insegne della Lampre al decimo posto mentre l'ultimo del gruppo, il belga Jan Bakelants della Radioshack, ha preso ben 17'35". Nella generale il primo posto è appannaggio di Thomas che precede, nell'ordine i già citati Cousin, Muravyev, quindi il brasiliano della Fdj.fr Murilo Fischer e lo statunitense della Cannondale Ted King, vincitore della prima tappa, tutti con lo stesso tempo del capoclassifica. Ultimo, sempre a 17'35", Bakelants, per la prima volta in carriera.
Si affacciò nel ciclismo nel 1984, vi rimase per un decennio ricco di soddisfazioni e di vittorie: la Ariostea, creatura di Giorgio Vannucci, ereditata dal 1986 dal mitico Giancarlo Ferretti, attese gli anni '90 per spiccare il volo a livello internazionale. Contestualmente all'ingaggio di uno dei prìncipi delle classiche, Moreno Argentin, avvenuto proprio nel 1990, Ferròn rinforzò la squadra con uomini come Davide Cassani e Roberto Conti (che ne divennero veri perni), e giovani come Marco Lietti, Rodolfo Massi e Massimiliano Lelli. Nel team - sponsorizzato da un'azienda di ceramiche - c'erano già tra gli altri Adriano Baffi, Alberto Elli, Bruno Cenghialta, Rolf Sørensen e il Commissario Marco Saligari. Un gruppo affiatato, che nell'anno della rinascita del ciclismo italiano (il '90 appunto) fu condotto da Moreno Argentin alla ribalta prima in Belgio (con la vittoria del Fiandre) e poi in Francia (con un successo al Tour, nella tappa di Nantes, con una splendida azione solitaria). Non era che l'antipasto di quel che la squadra riuscì a fare nel 1991. Argentin dominò sulle Ardenne (portando a casa Freccia e Liegi), al Giro sbocciò Lelli (con due vittorie di tappa e la maglia bianca di miglior giovane), e tutto lasciava presagire che al Tour ci sarebbero state altre gioie, ma quel che avvenne in Francia andò oltre ogni più rosea previsione: Al secondo giorno c'erano due semitappe, e la seconda era una cronosquadre. Ebbene, al cospetto degli squadroni più attrezzati del mondo, l'Ariostea riuscì ad imporsi, anticipando di 8" la Castorama di Fignon e di 35" la Panasonic piena di corridori che erano veri maestri contro il tempo. Quel successo lanciò Sørensen in maglia gialla, e il danese vi rimase per 4 giorni, finché non fu costretto a cedere il simbolo del primato per una caduta in cui si ruppe la clavicola. Il bilancio era già abbondantemente in attivo a quel punto, dopo neanche una settimana di Tour, ma il meglio doveva ancora venire: lo spazio tra i Pirenei e le Alpi era occupato da tre tappe intermedie. Si veniva dalla vittoria di Chiappucci a Val Louron, i tifosi italiani sognavano sulle ali del Diablo (ma non sapevano ancora che, proprio a Val Louron, si era insediato sul trono giallo colui che avrebbe dominato per un lustro: Miguel Indurain), ma ebbero a lustrarsi gli occhi con uno-due-tre colpi messi uno in fila all'altro dagli uomini di Ferretti. Non in volata, non dominando in montagna, ma vincendo di gambe e cervello, alla maniera del team manager romagnolo, tutta attacco e tattica. Tre vittorie in solitaria consecutive, una più bella dell'altra, con Cenghialta a Castres, Argentin (immancabile!) ad Ales e Lietti (davanti nientemento che a Greg Lemond) a Gap, alla vigilia dell'approdo alpino. Il giorno dopo Bugno all'Alpe d'Huez completò quell'incredibile serie di 5 vittorie italiane in fila, ma questa è un'altra storia. Quella dell'Ariostea durò altre due stagioni in cui arrivarono altri risultati prestigiosi alla Grande Boucle (Jaermann vinse una tappa nel '92, Riis nel '93 con tanto di quinto posto nella generale), anche se l'exploit di quel magico '91 non fu più ripetuto. L'avventura dello sponsor si concluse nel '93 con un'ennesima vittoria importantissima, quella di Pascal Richard al Giro di Lombardia. Ferretti continuò con la GB-MG e in seguito con la Fassa Bortolo, cogliendo moltissime altre vittorie; e il giallorosso delle maglie Ariostea è rimasto nei ricordi di tutti gli appassionati, ancora oggi a 20 anni di distanza.









Torniamo anche stavolta alla Parigi-Nizza 1966, che dopo Bastia fece tappa anche ad Ajaccio, partendo da L'Ile Rousse per un totale di 157 km. Fu una Parigi-Nizza particolarmente sorridente ai colori italiani, col terzo posto finale di Adorni, e quella tappa in particolare vide i nostri far tripletta, con un giovane ma già affermato Michele Dancelli che arriva 19" prima di Pambianco e rifila 38" a Luciano Armani, già vincitore in quel di Bastia. Leader, dopo quella che era l'ultima tappa corsa, era Raymond Poulidor, che però dovette cedere nell'ultima tappa a Nizza ad un tremendo Jacques Anquetil, sul viale del tramonto ma deciso a non cedere assolutamente nulla al rivale. È da Ajaccio inoltre che vengono gli unici ciclisti corsi che hanno affrontato il Tour de France: nel lontano 1910 Pierre Bordignoni, pioniere del ciclismo corso, tentò ma non concluse la prova. Ci provò per tre anni Napoleon Paoli (1919-1921), ma nella prima edizione finì fuori tempo massimo (in realtà all'epoca essere fuori tempo massimo voleva dire che gli organizzatori avevano già smontato l’arrivo ed erano andati alla tappa successiva!) e nella seconda fu vittima di incidenti assurdi: prima investì un asino, poi fu colpito da dei massi frananti sui Pirenei, nella sesta tappa verso Bagnères de Luchon.