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Liegi-Bastogne-Liegi 2016: Poels on the hill, sees the snow going down... - Wout vince la Doyenne della neve e dell'attendismo. Battuto Albasini, Rui Costa terzo, Rosa in top ten | Cicloweb

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Liegi-Bastogne-Liegi 2016: Poels on the hill, sees the snow going down... - Wout vince la Doyenne della neve e dell'attendismo. Battuto Albasini, Rui Costa terzo, Rosa in top ten

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Wouter Poels vince la Liegi-Bastogne-Liegi su Michael Albasini e Rui Costa © Bettiniphoto

28 anni, lungagnone proveniente dal Limburgo, Wouter Poels detto Wout ha vissuto oggi l'appuntamento col destino. In una squadra in cui ci si sarebbe aspettati altri risultati da altri corridori, è toccato proprio a lui rompere l'atavico digiuno del Team Sky nelle classiche monumento. Proprio lui, non un uomo da copertina, non un personaggio che spacca i tabloid, non un corridore che venga in mente quando si stilano le classifiche dei più forti in questa o quella specialità.

Ma un ciclista completo, forte sul passo e in salita, umile e concreto, insomma un ragazzo d'oro, di quelli che "un giorno esploderà", e nel frattempo non disdegnano di fare il lavoro sporco, di tirare la carretta, di spendersi per altri capitani, sempre in attesa dell'occasione giusta. Oggi quell'occasione è giunta, e Wouter Poels detto Wout non se l'è lasciata sfuggire: ha vinto la Liegi-Bastogne-Liegi, che se anche non sarà più la corsa fantastica di un tempo, resta pur sempre una di quelle che valgono una stagione, o, per alcuni corridori, un'intera carriera.

Quella carriera che per il bravissimo Poels era quasi giunta al capolinea nel 2012, quando una caduta al Tour de France lo lasciò senza respiro per terra: problemi alla milza, un rene quasi partito (poi glielo salvarono, anche se la funzionalità dell'organo restò menomata), un lungo stop, prima di tornare a inforcare la bici. Prima dell'incidente era un promettente uomo da GT, dopo ci ha messo un po' a reinquadrarsi, ma ha lavorato bene, tanto da convincere due squadroni a dargli una chance nel World Tour, la Omega Pharma prima, la Sky a partire dal 2015. E oggi Wouter detto Wout ricambia la fiducia, dopo aver già timbrato bene in avvio di stagione (due tappe più la generale alla Vuelta Valenciana a inizio febbraio) e aver lanciato segnali ancora un mesetto fa (successo di giornata alla Volta a Catalunya). Non è neanche un caso se Poels è il plurivincitore stagionale del team britannico, coi suoi 5 successi fin qui ottenuti: in altri termini, il ciclismo ha (ri)trovato un bel protagonista; e non sono certo cose per le quali non si possa essere contenti, da appassionati.

 

Extreme Weather Prrrrotocol?
Neve, neve, neve! Mentre gli appassionati - nell'attesa di vedere le immagini tv dal Belgio - riandavano col pensiero alla vittoria di Bernard Hinault nel 1980, i corridori molto più prosaicamente badavano a coprirsi, visto che le foto twittate dai meccanici dei team lungo il percorso non lasciavano presagire un clima da allegra scampagnata. Nessuno che si sia azzardato, però, a chiedere l'annullamento della corsa. Del resto l'Extreme Weather Protocol si rivela per la vaccata che è, e la sua differente applicazione tra una corsa a caso (diciamo la Tirreno?) e la Doyenne tradisce la vera natura delle cose: a meno di non pensare che 5-6 gradi senza precipitazioni nelle Marche configurino un clima più rigido di 2 gradi e neve sulle Ardenne, l'unica interpretazione possibile è che quando la posta in palio è molto grossa, si passa sopra a tutte le fisime, tanto che non si trovano neanche quei classici commenti da Twitter di quei corridori che in altri momenti improvvisano crociate a favore della "sicurezza", e oggi invece erano tutti in vacanza. Quanta ipocrisia in questo ciclismo.

L'unica variazione comportata dalle avverse condizioni climatiche è stata una deviazioncella tra il km 45 al 75 (in totale il chilometraggio è sceso da 253 a 248 km), del tutto ininfluente sullo svolgimento della gara, visto che non ci sono stati tagli di salite. In pratica, si sancisce che la corsa è corsa e si può gareggiare anche con gelo e neve (com'è dalla notte dei tempi, peraltro): il precedente non è male, ce ne ricorderemo alle prossime lagnanze di corridori (e organizzatori).

 

Una fuga di superattaccanti risvegliati dal gelo
Gli uomini che si sono messi in fuga al km 6 non corrispondevano precisamente all'identikit del peone che va all'attacco a 240 km dal traguardo. Incuranti del maltempo, o meglio, proprio incoraggiati dalle avversità climatiche, ci hanno provato alcuni nomi veramente interessanti. Del resto è accaduto appena 15 giorni fa che un fuggitivo da lontano vincesse una corsetta come la Roubaix, e se non ci si prova seriamente quando la gara si annuncia durissima, allora quando?

Perciò, gambe in spalla, e via andare con Paolo Tiralongo (Astana), Alessandro De Marchi (BMC), Pavel Brutt (Tinkoff), Nicolas Edet (Cofidis), Jérémy Roy (FDJ), Thomas De Gendt (Lotto Soudal) e Cesare Benedetti (Bora). Tre italiani nei 7, come si nota. Al drappello si è poi aggiunto anche Vegard Stake Laengen (IAM), che dopo un lungo inseguimento è riuscito a rientrare intorno al km 50; intanto il plotoncino ha raggiunto un vantaggio massimo di 9'20", prima che Etixx e Movistar cominciassero a spingere con maggior convinzione per riportare il gap entro limiti meno gravosi. Da segnalare un tardivo tentativo di Johnny Hoogerland (Roompot) e Preben Van Hecke (Topsport) di riportarsi sui battistrada: avrebbero dovuto recuperare 8', quando si sono messi in moto, e ingloriosamente si sono arresi dopo pochi chilometri.

 

Voeckler prova invano a rimescolare le carte
Con la Côte de Wanne, ai -85, è cominciata la serie delle salite simbolo della Liegi-Bastogne-Liegi. Gli 8 attaccanti l'hanno presa con circa 4' di margine, ma lungo la scalata hanno recuperato qualcosa (il ritmo del gruppo, con la Movistar a tirare, si manteneva piuttosto regolare); la Haute-Levée (ai -78) ha visto un piccolo intoppo per Chris Froome (Sky), che è andato fuoristrada (senza cadere) ai piedi della côte e ha dovuto inseguire la coda del gruppo: il britannico dovrebbe peraltro benedire quel momento, visto che ha rappresentato l'unica occasione in cui si è fatto vedere oggi.

Col nevischio tornato a cadere sul gruppo dopo una fase di meteo più clemente, qualcuno ha capito che era il caso di provare a disturbare il manovratore (ovvero sempre la Movistar): sul Col du Rosier, quinta salita di giornata ai -65, è stata la Direct Énergie ad abbozzare un attacco congiunto, col giovane Lilian Calméjane e il vecchio Thomas Voeckler; ai due si è aggiunto pure Adam Yates (Orica), ma l'azione non ha avuto grande spazio, e i due ragazzi si sono rialzati, lasciando il solo Titì a tentare l'improbabile: l'alsaziano sarebbe rimasto lì a mezza strada per molti chilometri, fino all'inevitabile ricongiungimento, consumatosi sulla Redoute ai -38.

A quel punto però era successo tanto tra i fuggitivi della prima ora: un affondo di De Marchi sulla Côte du Maquisard ai -50 aveva polverizzato il drappello, e i soli Edet e De Gendt avevano reagito sulle prime; poi ai -44 era riuscito a rientrare anche Laengen, ma sulla Redoute quest'ultimo era nuovamente saltato, insieme a De Gendt (l'allungo velenoso stavolta l'aveva piazzato Edet). De Gendt è poi rientrato subito prima dello Sprimont, per staccarsi definitivamente dopo poco; e la fuga è finita ufficialmente quando il gruppo, ai -24, ha raggiunto pure Edet e De Marchi dopo aver riacciuffato nei dintorni della Redoute tutti gli attaccanti del mattino.

 

Un solo padrone in gruppo: l'attendismo
La descrizione delle vicende degli attaccanti l'abbiamo testè esaurita; quanto al gruppo dei più forti, c'è invero poco da dire. Un breve allungo di Tosh Van der Sande (Lotto Soudal), Björn Thurau (Wanty), Loïc Vliegen (BMC) e Pawel Poljanski (Tinkoff) sul Maquisard; Redoute passata in cavalleria (tutti dietro a Rory Sutherland che tirava da una vita per la Movistar), poi sullo Sprimont (-32) ci ha provato Andriy Grivko (Astana), ma anche in questo caso non si è coagulato un drappello intorno al coraggioso di turno.

Non parliamo poi della Roche-aux-Faucons, gestita (è il termine giusto) dalla Etixx, che ha tirato dall'inizio alla fine della salita (posta ai -21) non si sa bene per quale motivo: avesse avuto il favorito di giornata, lo si sarebbe pure potuto comprendere, ma soccombente sulla carta rispetto a Valverde, la squadra belga avrebbe avuto semmai l'obbligo di lanciare lì una delle sue punte. Visto che non l'hanno fatto gli uomini di Lefévère, l'idea l'hanno rubata proprio i Movistar, che ai -18 hanno sganciato Carlos Betancur, obbligando così gli avversari ad accollarsi un bel lavoro per andare a chiudere sul rinato colombiano. Cosa puntualmente avvenuta ai -15, ma siamo sempre lì: l'attacco di un solitario nel finale della Liegi è quasi certamente destinato a finire nel nulla, ma dov'erano tutti quegli uomini che non avrebbero avuto speranze in un finale veloce? Speravano che sulla rampetta di Ans cadessero 40 avversari, e di poter così vincere la Doyenne?

 

Diego Rosa sul Saint-Nicolas prova a sgusciare via
Un'azione di disturbo di Grivko (supportato per qualche metro pure da Betancur e Michal Kwiatkowski della Sky) in avvicinamento alla Côte de Saint-Nicolas ha fatto per un attimo sperare i tifosi di Vincenzo Nibali: "vuoi vedere che lo Squalo in Trentino si è davvero nascosto?". Niente paura ragazzi, il messinese ha subito tolto ogni dubbio, staccandosi proprio in avvio di salita, ai -7. Ma non era lui l'uomo forte in maglia kazaka, oggi, semmai Diego Rosa. E il piemontese infatti ha dato luogo al suo tentativo subito dopo la resa di Vincenzo: ai -6.8 Rosa è scattato e solo Ilnur Zakarin (Katusha) l'ha tenuto, mentre a fondo gruppo perdeva contatto un altro pezzo da novanta, Simon Gerrans (Orica).

Scollinato al comando, Diego non ha però avuto grande spazio, dovendo peraltro usare molta cautela sulla discesa viscida (Zakarin su una curva presa larga ha dovuto quasi mettere piede a terra per non cadere come un salame), e ai -5 il grosso del gruppo gli è piombato addosso. A questo punto, col plotone ridotto a meno di 30 uomini, non rimaneva che aspettare il nuovo spauracchio, la Côte de Rue Naniot, rampa secca e breve in pavé ai -3.4. E qui in effetti la corsa si è decisa (era pure ora!).

 

Albasini dà il la all'azione buona, Poels vince la Doyenne
Ci ha provato dapprima Julian Alaphilippe (Etixx), ben marcato da Ion Izagirre (Movistar), poi ai -2.8 è stato Michael Albasini (Orica) a proporre uno scatto assassino a cui ha risposto benino Rui Costa (Lampre), e su cui in seconda battuta c'è stata la reazione di Samuel Sánchez (BMC) e Wouter Poels (Sky). L'abbiamo citato lì così in maniera quasi noncurante, ma di fatto questo è stato il quartetto che sarebbe andato a giocarsi la vittoria.

Nessun altro è riuscito a (o ha voluto) unirsi agli attaccanti, forse qualcuno ha pensato che l'azione sarebbe sfumata da sé sulla Côte de Ans verso l'arrivo, o che qualcun altro avrebbe ricucito, fatto sta che quando - ai 1500 metri - ancora Zakarin è uscito dal gruppo provando a riportarsi sui battistrada, era già troppo tardi: il margine del quartetto era rassicurante, e le gambe imbolsite di molti dietro non facevano che aumentare le chance di Albasini e soci.

Lo svizzero della Orica, in quest'occasione, non ha peraltro lesinato impegno: sentiva il risultato della vita a portata di mano, sentiva di poter emulare il suo compagno Mathew Hayman (oggi regolarmente in gara, tra l'altro), poter vincere da underdog una classica monumento. Dopo aver tirato praticamente solo lui dopo lo scatto di Rue Naniot, ai 900 metri ha anche azzardato un nuovo allungo; Rui stavolta non ce l'ha fatta a chiudere, ma ci ha pensato Poels, il quale ha poi accennato un suo, di allungo, ai 500 metri. Albasini l'ha ben controllato, i due latinos poco dietro ma visibilmente alla canna del gas.

Ai 250 metri l'ultima curva (quella della celebre caduta di Dan Martin due anni fa): Poels l'ha pennellata benissimo, ed è partito immediatamente all'uscita, impostando una volata sin troppo lunga, tutto un intero rettilineo (che tira) dopo 248 km di fatica. Però le cose sono andate esattamente come l'olandese le aveva sognate: la sua forza da passista è stata messa a frutto molto meglio con una volata lunga, che non se fosse stata esplosa in uno sprint accorciato, di 100-150 metri.

Albasini ha sputato quasi l'anima per riuscire a rinvenire e a mettere in discussione la vittoria di Poels, ma proprio non c'è stato verso: Wout a esultare, Michael a restare terreo, di fronte all'occasione più grossa della carriera sfumata per pochi centimetri: è il ciclismo, bellezza.

Rui Costa si è preso il terzo posto, a SSG è rimasto il quarto, e Zakarin ha salvato il quinto dal ritorno dei primi inseguitori; tra tutti, meglio è emerso nel finale Warren Barguil (Giant), bravo a issarsi al sesto posto (il suo obiettivo per quest'anno era una top ten e l'ha centrato brillantemente), poi a seguire troviamo Roman Kreuziger (Tinkoff), Joaquim Rodríguez (Katusha), Bauke Mollema (Trek) e, al decimo posto, l'ottimo Diego Rosa. Appena fuori dalla top ten il compagno di quest'ultimo, Tanel Kangert, e 12esimo il buon Enrico Gasparotto (Wanty); solo 16esimo lo spauracchio della vigilia, quel Valverde le cui polveri sono risultate bagnate dal freddo odierno. Si chiude così la stagione delle classiche, i bilanci li facciamo a margine, ma il pensiero è già rivolto a quello che verrà: in fondo al Giro d'Italia mancano appena 12 giorni.

Marco Grassi

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