World Cycling: Quell'Emirato a misura di emigrato - Andrea Palini ci racconta un anno nella SkyDive, al sole di Dubai
Versione stampabileA livello ciclistico negli ultimi tempi stanno diventando sempre di più i punti di contatto tra l'Italia e gli Emirati Arabi Uniti: la prima ad arrivare è stata RCS Sport che ha lanciato prima il Dubai Tour, la cui prima edizione s'è disputata nel febbraio del 2014, e poi quest'anno l'Abu Dhabi Tour che nel mese di ottobre ha richiamato sul Golfo Persico molti dei grandi protagonisti della stagione che si stava concludendo. Oltre a queste corse gli Emirati Arabi Uniti possono vantare anche una squadra di categoria Continental, la SkyDive Dubai Pro Cycling Team, in cui si sta formando una piccola colonia italiana: notizia di due giorni fa è l'ingaggio di Ivan Santaromita, ma prima di lui erano arrivati il direttore sportivo Alberto Volpi (alla vigilia dell'Abu Dhabi Tour) e soprattutto Andrea Palini che ha vestito questa maglia per tutta la stagione 2015.
Il 26enne corridore bresciano ex-Lampre è stato protagonista di una buona annata che gli ha fruttato cinque vittorie, nove secondi posti e altri cinque tre posti: certo, non si sta parlando di gare World Tour, ma Palini ha comunque mostrato segnali di crescita e si è fatto notare anche in qualche ordine d'arrivo tra corridori con le gambe assai molto rapide. Proprio assieme a Palini cerchiamo di conoscere di più su questa piccola ma interessante realtà che promette di ritagliarsi spazi sempre maggiori in futuro.
La prima domanda è d'obbligo, come è nata la trattativa che ti ha portato alla SkyDive Dubai?
«Il loro team manager aveva chiesto aiuto ad un ex professionista che conosco bene: erano alla ricerca di corridori, il mio amico ha fatto da tramite e così poi mi hanno chiamato. Più o meno erano proprio questi giorni qui, fine novembre, e io stavo per scegliere tra alcune offerte dalle Continental italiane: il progetto della SkyDive mi ha convinto al volo e nel giro di un mese e mezzo ero già in gara con un numero pinzato sulla loro maglia».
La squadra come è organizzata? La sede è a Dubai?
«Sì, la sede è qui a Dubai e anche noi corridori abbiamo qui una casa dove ovviamente passiamo gran parte del tempo tra una gara e l'altra. Devo dire che l'arrivo nel nuovo direttore ha portato rapidamente una nuova organizzazione che era forse l'aspetto che mancava un po' alla squadra. Per il 2016 so che l'intenzione della squadra è di fare molte più corse in Europa ed in questo la figura di Volpi sarà molto importante perché ha esperienza e molti contatti: l'idea è quindi di allestire una seconda base-magazzino in Europa, forse proprio in Italia, per semplificare la logistica visto che altrimenti devi noleggiare sempre tutti i mezzi, o al più trovare qualcuno che te li possa prestare».
Come ti trovi a Dubai?
«All'inizio mi sono trovato immerso in una cultura completamente diversa e c'è voluto un po' di tempo di abituarmi, ora però devo dire che mi trovo benissimo. Per gli allenamenti di solito ci svegliamo alle 6 e partiamo intorno alle 7 perché altrimenti più tardi diventa quasi impossibile per via del caldo: a volte dobbiamo prima fare un'oretta in macchina per spostarci in una zona con qualche salita, ce ne sono per tutti i gusti ma bisogna un po' andarsele a cercare. Le strade sono praticamente perfetta: è impressionante quando a volte facciamo delle salitelle in mezzo al deserto in cui se va bene passerà una macchina a settimana e anche lì sono tenute benissimo. Poi finito l'allenamento riprendiamo la macchina, doccia, massaggi e via».
Con corridori di sette nazionalità diverse c'è una "lingua ufficiale" in squadra?
«Diciamo che la lingua ufficiale della squadra è l'inglese perché è quella che viene usata per tutte le comunicazioni più importanti, però alla fine tra di noi parliamo un po' di tutto. Il francese lo capisco abbastanza bene e lo parliamo soprattutto con i ragazzi nordafricani, poi vado bene anche lo spagnolo visto che sono in camera proprio con uno spagnolo e con un portoghese. Arabo invece zero: purtroppo dei corridori locali solo uno o due parlano un po' di inglese, gli altri quindi non li conoscono bene».
Lingue e culture diverse, ma anche religioni diverse: non dovrebbe esserci il bisogno di chiederlo ma, visto il momento difficile, come vi trovate tra di voi?
«Assolutamente nessun problema, la maggior parte dei corridori è di religione musulmana e andiamo perfettamente d'accordo. Magari noi, come forma di rispetto visto che siamo ospiti, stiamo attenti a non bere o a mangiare maiale davanti a loro: però a volte capita che entrano e trovano una bottiglia di vino sul tavolo, ma sono loro i primi a scherzarci su e a fare battute».
Parliamo un po' della tua stagione, non è ancora finita, vero?
«Vero! Infatti adesso sono ancora qui a Dubai perché sabato inizia una corsa a tappe internazione qui nella zona e appena finita ci sarà un altra gara di un giorno, dopo invece andremo a chiudere l'anno in Malesia. È stata una stagione molto particolare perché dopo il Tour of Japan sono stato quasi cinque mesi senza correre, ma non in inverno come sono abituati solitamente i corridori: la squadra aveva mandato molte richieste ma alla fine gli inviti non sono arrivati, io non me lo aspettavo e quindi ho continuato a tenermi pronto anziché staccare un po' e magari andare a fare qualche camminata in montagna; adesso infatti inizio ad essere un po' cotto, la stanchezza si fa sentire anche perché avevo iniziato a correre già a gennaio. È una preparazione diversa, il prossimo anno però non mi farò trovare impreparato».
Nel complesso comunque sei soddisfatto dei risultati?
«Sì, molto soddisfatto. Purtroppo tante volte è mancato quel pizzico di fortuna in più che in volata spesso fa la differenza: quando avevo le gambe mi trovato chiuso, quando invece ero messo bene non c'erano le gambe, tutte e due le cose assieme quasi mai! Adesso per queste ultime corse non so cosa aspettarmi perché ho una mezza tendinite e a volte il ginocchio mi dà fastidio: va a giornate ma durante gli allenamenti appena sento un po' di dolore mi fermo subito perché queste gare sono molto importanti per il nostro sponsor, loro ci tengono e quindi anche io voglio fare bene».
Come è Mancebo come compagna di squadra e di stanza?
«Si vede che è un corridore di grandi esperienza ma non te lo fa mai pesare, anzi, con lui ridiamo e scherziamo spesso. Dice che anche lui era un velocista perché una volta alla Parigi-Nizza o al Delfinato, non ricordo, ha vinto una volata ma non la tappa perché davanti era arrivata la fuga: e allora scherziamo sullo scambio dei ruoli con io che gli tiro lo sprint».
Con la SkyDive, ma anche con le tue squadre precenti, hai girato il mondo finendo a gareggiare anche in Africa: cosa ci puoi raccontare su quelle gare?
«Quella in Gabon è una bellissima corsa e lo staff dell'organizzazione è tutto molto professionale: come qui a Dubai abbiamo le persone di RCS e del Giro d'Italia, lì hanno personale francese e tutto è praticamente perfetto: io ci ho corso già due volte e ho sempre vinto una tappa. Quest'anno ho fatto anche il Giro d'Egitto ma quello è un altro mondo e probabilmente gli manca un po' di esperienza: l'albergo era ottimo, ma due o tre tappe sono state praticamente improvvisate all'ultimo momento; ricordo che un giorno dovevamo andare nell'interno a fare una tappa con una salita abbastanza dura, poi non so perché ma è salto tutto e abbiamo fatto un circuito sulla costa. C'è da dire che però alla fine nessuna tappa è stata cancellata».
La Cina invece ormai è una colonia bresciana
«Eh sì! Correre in Cina non è male: a volte i trasferimenti sono pesanti, ma generalmente gli alberghi sono buoni, solo a Hainan ne è capitato qualcuno meno bello. Poi è bello trovarsi sempre tutti lì tra noi che ci conosciamo bene: ovviamente non è che stiamo lì a metterci d'accordo su chi deve vincere, la corsa è corsa e ognuno fa la sua, però siamo tutti veloci quindi è più facile trovare interessi comuni in gara e in volata c'è grande rispetto».
Correndo tanto in paesi "esotici" pensi che i tuoi risultati rischino di passare un po' inosservati?
«Non lo so, non credo: ormai le squadre World Tour hanno uno staff che tiene d'occhio tutto. Però ormai comandano ovunque gli sponsor ed è più dura per noi corridori: anche nel World Tour uno sponsor che mette nella squadra qualche milione di euro magari vuole determinati corridori. Per quanto mi riguarda io resterò qui alla SkyDive anche nel 2016: non ho ricevuto altre offerte concrete, ma qui c'è un progetto molto interessante, il calendario è buono, c'è fiducia e io mi trovo bene».
Un'ultima curiosità visto che lo sponsor della squadra è SkyDive, ti sei già lanciato con il paracadute?
«No no, preferisco rimanere con i piedi per terra! Un giorno eravamo andati a fare uno shooting fotografico lì da loro e c'era la possibilità, qualcuno forse è andato: magari un giorno proverò quello indoor che ti spara aria da sotto e ti tiene sollevato».