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Tour de France 2015: Finalmente gli occhi del Nibali che vogliamo - Vincenzo all'attacco: il suo Tour non è finito!

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Vincenzo Nibali all'attacco sulla salita di Plateau de Beille © Bettiniphoto

Se dovessimo definire con un solo aggettivo il Tour de France di Vincenzo Nibali, sarebbe difficile resistere alla tentazione di usare il termine "schizofrenico". Vigilia da favorito (in compartecipazione con altri tre), primo giorno promettente, al secondo (ventagli) già mezzi disastri... al terzo (Huy) si risale, al quarto (pavé) ci si deprime per la mancata occasione, al sesto (Le Havre) si cade, all'ottavo (Mûr-de-Bretagne) si va in difficoltà, al nono (Plumelec) si riprende un po' di colore...

Al decimo giorno, il tracollo, su quella maledetta salita di La Pierre-Saint-Martin; in casa Astana volano gli stracci (almeno questo è ciò che traspare), l'indomani la schizofrenia è massima, visto che gli alti&bassi si consumano nel giro di pochi chilometri, tra il Tourmalet (affrontato ottimamente) e lo strappetto di Cauterets (su cui si torna a piangere).

Stamattina rimbalzano dappertutto voci su una presunta fine del rapporto tra Nibali e il suo general manager Alexandre Vinokourov, voglioso (stando agli spifferi) di sbolognare quanto prima un ingaggio così oneroso a fronte di risultati che lui ritiene ridicoli. Fine della storia?

 

Un segnale troppo forte per venire da un corridore in crisi
Poi la tappa, la dodicesima del Tour, la terza dei Pirenei. Il capitano-ombra della formazione kazaka, Jakob Fuglsang (che in realtà non sembra avere i garretti adatti a guidare la squadra), va in fuga da lontano, e sarà bravissimo a resistere fino alla fine, piegandosi solo a un rabbioso Joaquim Rodríguez; il capitano ufficiale, invece, resta nel gruppo dei migliori, e per tre salite su quattro in quel gruppo non succede praticamente nulla.

Sulla quarta e ultima scalata, quella conclusiva a Plateau de Beille, accade invece qualcosa: accade che qualcuno decida di osare l'inosabile, attaccare l'inattaccabile, ovvero Chris Froome, leader e padrone della Grande Boucle (almeno fin qui).

Ci prova dapprima Alberto Contador, poi a 8 km dalla vetta si muove proprio lui, Vincenzo. Il suo attacco non è di quelli che spaccano il mondo, dura lo spazio di un chilometro senza che il suo autore possa - nel frangente - mettere più di qualche secondo tra sé e quel che resta del gruppo maglia gialla. Ma è un segnale forte, da parte di un corridore che due giorni fa sembrava sull'orlo del suicidio e che solo ieri pareva non riuscire a dar seguito alle buone intenzioni che pure parevano animarlo. Un segnale amplificato da quello sguardo, da quegli occhi finalmente cattivi, convinti, battaglieri.

 

Nibali, buona gestione di sé e obiettivi ancora in piedi
Dopo il suo tentativo, Nibali non è andato alla deriva, ma è rimasto col gruppetto buono fino al traguardo, e ci è rimasto nonostante qualche altro attacco abbia tirato il collo a quel drappello, tra uno scatto di Quintana e un allungo di Froome.

Magari Nibali perdeva qualche metro sul cambio di ritmo, ma poi puntualmente si rifaceva sotto, urlando sommessamente con lo sguardo un liberatorio "io ci sono!". Questo ritorno dello Squalo a quote più normali non è stato peraltro nemmeno disutile, visto che la tappa di Plateau gli ha regalato un doppio balzo in classifica, laddove è risalito dall'11esimo al nono posto, scavallando il confine ideale della top ten.

Il podio, a voler essere fiduciosi, non è poi roba dell'altro mondo: è distante "appena" 4'38", che sono sì un'eternità, ma non poi così eterna se ragioniamo nell'ottica di un Vincenzo che, entrando (si spera) finalmente nel momento di massima forma, possa essere disposto a giocarsi quell'insulso nono posto in nome di un'impresa che lo rifiondi nei quartieri alti della classifica.

 

Il concetto che ritorna: il Tour non è ancora finito!
L'errore che spesso si commette parlando di grandi giri è di pensare che ciò che vale oggi varrà fino alla fine. Nella storia del ciclismo ci sono giusto poche centinaia di evidenze che dovrebbero suggerire maggiore cautela in sede di previsioni: tra i 15 giorni di corsa e i 21 cambia esattamente tutto, si parla proprio di due sport diversi. Se poi nella terza settimana ci sono due-tre tappe che già prese da sole sarebbero sufficienti a rivoltare la classifica come un calzino, si capisce bene come tutto o quasi sia ancora in gioco, e che quello che oggi Nibali ha dimostrato a tutti (e a se stesso prima che agli altri) è che lui in questo gioco ci sta eccome.

Fiducia, fiducia, fiducia: è il mantra che non abbiamo voluto mollare dopo La Pierre-Saint-Martin, e che oggi più che mai rilanciamo: se era peraltro prevedibile che, dopo le mazzate di Froome l'altro giorno, sia ieri che oggi ci potessero essere legittime reticenze, da parte dei suoi rivali, a fare il passo più lungo della gamba, non è pensabile che anche sulle Alpi i rivali dell'anglokenyano rimangano a guardare, avendo per di più a disposizione tappe che maggiormente si prestano a trabocchetti e trappole, e che offrono la possibilità di destrutturare per tempo l'apparentemente inscalfibile macchina da guerra Sky: isolare Froome col percorso di oggi non era facile, ma in un paio di occasioni sulle Alpi la musica sarà tutta diversa.

 

La mandrakata di Vinokourov
Come si riverbera tutto ciò negli equilibri interni dell'Astana? Dopo le buriane degli ultimi due giorni, stasera la situazione pare essersi rasserenata: Vinokourov ha prodotto qualche tweet conciliante, il procuratore di Nibali, Alex Carera, ha smentito che il suo assistito sia stato messo sul mercato dalla squadra, e anche Fuglsang ha tenuto a precisare che il capitano era, è e resterà Vincenzo.

L'ipotesi - tra il romantico e il massimamente realistico - che Vino abbia voluto mettere il pepe al culo (ops, scusate) a Nibali per stimolarlo a una reazione "da uomo" l'abbiamo lanciata l'altro giorno e la teniamo in piedi: perché, se non altro, sarebbe verificata ex post, dato che quella reazione c'è stata eccome: ieri accennata sul Tourmalet, oggi compiuta a Plateau de Beille. E a mettere sul campo tale reazione è stato un corridore che due giorni fa era sull'orlo del ritiro, perché non si sentiva fisicamente a posto. La squadra diceva che il problema era di testa. Oggi un corridore fisicamente non a posto avrebbe potuto fare quello che ha fatto Nibali sulla salita finale? Difficile. Probabile, allora, che il management avesse davvero ragione sul punto.

I metodi, quelli rimangono rivedibili, ma se il fine giustifica i mezzi, possiamo dire che il Tour di Vincenzo è stato salvato proprio da questa mandrakata di Vino, che ha indotto il messinese allo scatto d'orgoglio. Uno con un altro carattere si sarebbe ulteriormente depresso, di fronte ai metodi spicci e ingenerosi del Grande Kazako, e avrebbe buscato altre vagonate di minuti tra Cauterets e oggi, avrebbe forse lasciato la corsa.

Nibali è andato avanti, invece, perché per il suo carattere a quel punto non poteva fare a meno di dimostrare a chi lo metteva in discussione che stava sbagliando in pieno nel giudicarlo così male, nello scaricarlo così presto. 1-0 per Vinokourov, allora. Palla al centro, e Vincenzo, adesso, facci davvero divertire!

Marco Grassi

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