Il mio Giro - di Paolo Viberti: Hinault, Beppe Conti e la biondina - Il Tasso al Giro 1982, uno dei tanti tasselli di una carriera favolosa
Versione stampabile
Paolo Viberti, classe 1956, 35 anni a Tuttosport, un palmarès visivo ed emotivo di nove Olimpiadi, 28 Giri d'Italia, 8 Tour de France, innumerevoli Mondiali o Europei di ciclismo, basket, sci, fondo, slittino, baseball... Innamorato della bici, ha scalato da solo tutte le vette di Giro e Tour. Ha scritto quattro libri per la Sei: L'Ultimo Avversario, Coppi Segreto, Storia delle Olimpiadi e Storia delle Olimpiadi invernali. Si è visto riconoscere i seguenti attestati: - Premio Coni Ussi 2013 per la "stampa scritta-cronaca e tecnica" - Premio Coni per la saggistica 2012 per il libro "Storia delle Olimpiadi, gli ultimi immortali" - Premio Coni-Primo Nebiolo 2012, Regione Piemonte, quale miglior giornalista - Premio Fisi-Coni, premio Sala Stampa 2004 quale protagonista del giornalismo degli sport invernali. Oggi è freelance, ha adottato un cane da un canile e ha iniziato la seconda parte della sua vita, quella della testimonianza.
Oggi il Giro arriva a Campitello Matese, località che mi riporta a una delle tante imprese dell'ultimo dei grandissimi, il bretone Bernard Hinault, nato il 14 novembre del 1954 a Yffignac.
La mia storia d'amore con il ciclismo in rosa iniziò proprio 33 anni fa, in occasione del Giro d'Italia del 1982, quando Tuttosport mi scelse quale terzo inviato, in appoggio ai maestri Mario Cagliero, che recentemente ci ha lasciati, e Beppe Conti, tutt'oggi nella mischia quale opinionista e storico in Rai. Da quell'anno rimpiazzai Amedeo Goria, che era riuscito a entrare anche lui nella Televisione di Stato. E il mio approccio con il Giro si chiamò proprio Bernard Hinault. E che approccio!
Da cronista d'assalto, sin dalle operazioni preliminari nella città di Milano, sede di partenza di quel Giro, mi diressi immediatamente e con una certa baldanza verso il Grande di Francia, presentandomi con nome, cognome e testata di appartenenza: «Sono Paolo Viberti di Tuttosport».
Non andai oltre, perchè Bernard mi fulminò con uno sguardo di fuoco. «Ah sì? Bene, allora io ti rispondo che non ho niente da dire e che con Tuttosport parlerò soltanto dopo il mio divorzio. Adieu!». Tornai deluso da Beppe (Conti), il quale si mise a ridere a crepapelle: «Hai detto di essere di Tuttosport - mi rispose - e con questo ti sei fregato da solo, perchè due settimane fa avevo scritto di una possibile storia di Hinault con una "biondina" e quell'articolo era stato ripreso dalla France Presse e ovviamente letto anche dal diretto interessato e soprattutto da sua moglie. Che non deve averla presa bene, a quanto pare....».
Tornai da Hinault due giorni dopo, gli spiegai che cosa fosse accaduto e aggiunsi che un campione come lui non avrebbe mai dovuto confondere un giornalista con la sua testata. Perché io di sua moglie Martine e della presunta biondina proprio non sapevo nulla, oltre a non ritenere che fosse un buon tema di conversazione.
Aggiunsi che sarei stato onorato di poter intervistare un fuoriclasse che era venuto per la seconda volta al Giro per rivincere la Corsa Rosa come aveva fatto due anni prima, nel 1980. Bernard capì e da quel giorno abbiamo scritto pagine importanti (le sue) e pagine almeno fedeli e discrete (le mie) di uno stesso romanzo, quello della bicicletta.
È proprio pensando a Campitello Matese e al successo di Bernard su quella montagna il 27 maggio del 1982 che oggi ho deciso di parlare di lui, Hinault, soprannominato Le Blaireau (il Tasso) perché come il piccolo mammifero era capace di memorizzare luoghi e persone in modo indelebile per poi tirare fuori le unghie e raggiungere il suo scopo.
Vinse anche quel Giro, il bretone, e rivinse anche la maglia rosa del 1985, centrando tre trionfi su altrettante partecipazioni, un record! Il nostro diventò un rapporto corretto e leale, come quando l'anno seguente, alla Vuelta 1983 che allora si disputava in aprile, Bernard mi permise di entrare nella sua camera l'albergo grazie anche all'intercessione di Maurice Le Guilloux, suo compagno di squadra e di stanza.
Quel giorno compresi quale atleta straordinario fosse, Bernard Hinault: preso sotto il tiro incrociato degli spagnoli Gorospe, Lejarreta e Laguia, il bretone era andato a fondo, anche per problemi intestinali, ed era stato salvato dall'allora suo gregario Laurent Fignon, entrambi in maglia Renault e diretti da Cyrille Guimard. «Questa Vuelta la vincerò io, perché io conosco i punti deboli dei miei avversari!», mi disse il Tasso seduto sul suo letto. Fu implacabile, deciso, quasi spietato: e infatti trionfò.
È un palmarès straordinario, quello di Hinault, nel quale colpisce soprattutto la versatilità dei successi e la fermezza con cui sono stati conquistati. L'impressione è che Bernard sapesse sempre quello che voleva e come l'avrebbe ottenuto. Decise di ritirarsi a soli 32 anni e anticipando quella decisione di cinque stagioni. Davvero come se conoscesse già tutto in anticipo.
La caratura dei suoi successi fa riferimento a una serie straordinaria di record: 29 corse a tappe vinte, unico capace di conquistare Tour, Giro e Vuelta alla prima partecipazione; tre partecipazioni alla Corsa Rosa e altrettanti successi (nessuno ha il 100% fra adesioni e successi); è l'unico con Coppi, Merckx e Indurain ad aver conquistato due volte sia il Giro che il Tour; soltanto Anquetil come Hinault ha vinto nello stesso anno Vuelta e Tour; e solo il Tasso, Bobet e Merckx hanno trionfato al Tour indossando la maglia iridata; e unicamente Merckx oltre a lui in uno stesso Tour ha conquistato Gran Premio della Montagna e classifica a punti, oltre a quella a tempi.
Alcuni suoi successi, poi, hanno stupito il mondo per come sono stati ottenuti: nel Campionato del Mondo 1980 a Sallanches, per esempio, il Tasso arrivò da solo dopo aver debellato le resistenze dell'unico avversario che avesse osato impensierirlo, il nostro Gibì Baronchelli.
Nel corso di quella prova iridata - considerato ancora oggi il Mondiale più massacrante della storia - a un certo punto Hinault si affiancò all'ammiraglia azzurra per parlare con il nostro citì Martini: «Alfredò, s'il te plait: devi dire a Baronchelli di collaborare nella fuga, perché non è giusto che m'impegni soltanto io!». Il nostro grande saggio rispose con reverenza: «Certo, Bernard, ora glielo dico, hai ragione!».
Quindi Martini chiamò il Tista: «Gibì, il francese vorrebbe una tua collaborazione. Non sia mai! Non tirare neppure un metro perché quello è un mostro!». Hinault trionfò da solo con 1'01" su Baronchelli. Gli altri arrivarono dopo la banda.
Sempre in quel 1980, ma in primavera, Bernard aveva sgretolato il gruppo in una Liegi-Bastogne-Liegi da tregenda, corsa in gran parte con neve e gelo. Il bretone se ne andò a 84 chilometri dal traguardo dove giunse 9'24" prima di Hennie Kuiper, secondo classificato. E dei 174 partiti sopravvissero sino all'epilogo appena 21 corridori intirizziti.
Passò un anno e il Tasso si presentò al via della Parigi-Roubaix con la maglia iridata addosso. Lo fece soltanto perché la stampa francese lo aveva criticato più volte per la sua avversione nei confronti della classica delle pietre. Bernard aveva sempre risposto che quello non era ciclismo, bensì ciclocross. Ma siccome i cronisti avevano preso quella sua idea come una scusa e una giustificazione, decise di partecipare proprio a quell'edizione perché aveva la maglia iridata addosso: sul velodromo di Roubaix s'inventò una volata magistrale battendo due specialisti come De Vlaeminck e Moser.
Fortissimo nelle corse a tappe, il Tasso vanta anche una quarantina di vittorie a cronometro, oltre a successi in corse con arrivi in salita. Fece scalpore la sua fuga a mezzanotte dal Tour del 1980, quando comunicò agli organizzatori che avrebbe lasciato per problemi a un ginocchio.
Si era all'hotel Continental di Pau, a poche ore da una tremenda tappa pirenaica. Bernard era in maglia gialla e secondo alcuni avrebbe chiesto il permesso al Tour di poter utilizzare prodotti cortisonici per alleviare i dolori a un ginocchio, senza con questo incorrere nella positività all'antidoping. I patron della Grande Boucle risposero di no. E Hinault se ne andò a mezzanotte, da leader! Era esagerato in tutto, l'ultimo dei grandissimi.