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Il mio Giro - di Paolo Viberti: Alfonsina in quota rosa - Storia dell'unica donna che disputò il Giro maschile: la Strada nel 1924

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Paolo Viberti, classe 1956, 35 anni a Tuttosport, un palmarès visivo ed emotivo di nove Olimpiadi, 28 Giri d'Italia, 8 Tour de France, innumerevoli Mondiali o Europei di ciclismo, basket, sci, fondo, slittino, baseball... Innamorato della bici, ha scalato da solo tutte le vette di Giro e Tour. Ha scritto quattro libri per la Sei: L'Ultimo Avversario, Coppi Segreto, Storia delle Olimpiadi e Storia delle Olimpiadi invernali. Si è visto riconoscere i seguenti attestati: - Premio Coni Ussi 2013 per la "stampa scritta-cronaca e tecnica" - Premio Coni per la saggistica 2012 per il libro "Storia delle Olimpiadi, gli ultimi immortali" - Premio Coni-Primo Nebiolo 2012, Regione Piemonte, quale miglior giornalista - Premio Fisi-Coni, premio Sala Stampa 2004 quale protagonista del giornalismo degli sport invernali. Oggi è freelance, ha adottato un cane da un canile e ha iniziato la seconda parte della sua vita, quella della testimonianza.

 

 

MONTECATINI. Ieri notte ho dormito in vetta all'Abetone, assaporando il garbato silenzio della montagna dopo che il vociante carrozzone in rosa se n'era andato per riguadagnare la pianura toscana e da lì spiccare il volo verso Castiglione della Pescaia. Il Passo dell'Abetone è per alcuni metri in provincia di Modena, che è poi la terra natia dell'unica donna che prese parte a un'edizione della Corsa Rosa maschile, quella del 1924. Si chiamava Alfonsa Rosa Maria Morini, ma per il mondo delle due ruote è Alfonsina Strada, dal cognome acquisito dopo il primo matrimonio. Era nata a Riolo di Castelfranco Emilia nel 1891.

 

Vado con ordine, incominciando col dire che quell'edizione del Giro era nata sotto pessimi auspici, con i campioni di allora (Girardengo, Belloni, Bottecchia, Brunero...) che pretesero lauti ingaggi dalle proprie squadre per prendere il via della vetrina nazionale, come attori sul proscenio in attesa che si aprisse il sipario.

E le squadre che si chiamavano Bianchi, Legnano, Atala, Maino... rivolsero la stessa richiesta agli organizzatori, che risposero picche. Ecco che allora quell'edizione del Giro '24 venne disputata soltanto dai cosiddetti "indipendenti", corridori ufficialmente non accasati in nessun team ufficiale, mentre i campioni se ne stettero a casa.

Per ravvivare l'interesse di un Giro di seconde linee, che fu poi vinto da Giuseppe Enrici, nato a Pittsburg ma trapiantato in Piemonte, gli organizzatori nella persona di Emilio Colombo decisero di accettare l'iscrizione della 33enne signora Alfonsina Morini, che nel frattempo aveva sposato Luigi Strada.

 

Personaggio da romanzo ottocentesco, Alfonsina: arrivava da una famiglia di contadini e sin da bimba aveva manifestato un amore viscerale per la bicicletta da corsa. Nella sua carriera che era iniziato a soli dieci anni si cimentò 36 volte in corse maschili, vincendo in alcune occasioni e facendo spesso assai meglio dei suoi avversari.

Come accennato aveva sposato il cesellatore Luigi Strada, era il 1915, l'unico che veramente non la ostacolasse in quella sua passione considerata irriverente. In quegli anni, è bene sottolinearlo, la promiscuità sportiva era assolutamente bandita. Un esempio? Alla grande Ondina Valla fu impedito di partecipare alle Olimpiadi di Los Angeles '28 perché nella trasferta sulla nave diretta oltreoceano sarebbe stata l'unica donna fra innumerevoli uomini!

 

La mitica Alfonsina Strada © plazilla.com

 

In quel Giro '24 Alfonsina sopportò fatiche inenarrabili e offese che avrebbero tramortito chiunque: tappe superiori anche ai 400 chilometri, bici pesanti venti chili e senza cambio di velocità, partenze nel cuore della notte, necessità fisiologiche che scatenavano l'ilarità e il ludibrio di avversari e tifosi (e lei che non trovava mai un posticino appartato....).

Eppure Alfonsina non arrivò mai ultima, almeno sino a metà del cammino di quel Giro che iniziò a risalire la Penisola dopo Taranto. Indossava calzoni alla Zuava, cavalcava una bici da uomo ma a Perugia arrivò fuori tempo massimo, complici anche il meteo infame, le pessime condizioni delle strade, un incidente meccanico e ben cinque cadute.

A quel punto, Colombo s'intenerì per quella donna che faceva fatica doppia rispetto ai suoi colleghi uomini, dovendo oltretutto aspettare che tutti gli altri avessero finito di lavarsi prima di avere accesso ai bagni comuni; oppure che era costretta a dormire nei fienili perché le stanze da letto erano riservate ai maschietti.

 

Il pubblico, d'un tratto, si schierò dalla sua parte. Alfonsina arrivò a Fiume con 25' di ritardo dal vincitore di tappa, ma trovò le tribune ancora piene di spettatori pronti ad applaudirla. Gli organizzatori le consentirono di proseguire quella fatica immane, pagandole di tasca propria l'alloggio e il massaggiatore ma a patto che proseguisse il Giro fuori classifica.

A Milano, come detto, la maglia rosa finale finì sulle spalle di Enrici, con 30 corridori classificati dei 90 partiti. Arrivò anche lei, Alfonsina Strada, in condizioni pietose ma accolta come un'eroina, dopo essere stata protagonista di un episodio da libro Cuore lungo la strada.

Si narra infatti che a L'Aquila avesse accettato una colletta di 500 lire (allora una somma considerevole...) da un gruppo di tifosi; e che il giorno dopo avesse spedito metà della somma presso un manicomio dov'era ricoverato il marito e l'altra metà a un collegio di suore, dove studiava la figlia di sua sorella.

 

Non corse altri Giri d'Italia, Alfonsina, perché dal 1925 i campioni ritornarono al via: ma viaggiò per il mondo, sfruttando quella sua capacità di pedalare fortissimo esibendosi sui rulli nei circhi. Nel 1938 nella parigina Longchamp conquistò il record femminile dell'ora (35,28), poi rimase vedova di Luigi Strada e si risposò a Milano alla fine del 1950 con un ex ciclista, il gigantesco Carlo Messori, con il quale aprì un negozio di biciclette.

Con l'età rimase sulle due ruote, ma aggiungendo il... motore: comperò infatti una Moto Guzzi 500, con la quale domenica 13 settembre 1959 andò lungo il percorso della famosa "Tre Valli Varesine". Rientrò a casa di sera, felice per essersi nuovamente inebriata con i profumi del ciclismo d'élite. Salutò la sua vicina di casa, esprimendole la sua gioia, poi tentò inutilmente di riavviare la sua moto.

Non riuscendovi, spinse con forza la Guzzi che però le sfuggì di mano, inclinandosi su un lato. Senza un gemito, Alfonsina le scivolò sopra, quasi volesse abracciarla. Morì in quel modo, con il capo reclinato sul manubrio. Arresto cardiaco, aveva sessantotto anni. Fu pioniera di un'epoca ed eroina di un'idea.

Paolo Viberti

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