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Il mio Giro - di Paolo Viberti: All'Abetone un certo Coppi... - 1940: Fausto parte come gregario di Bartali ma vince il suo primo Giro

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Paolo Viberti, classe 1956, 35 anni a Tuttosport, un palmarès visivo ed emotivo di nove Olimpiadi, 28 Giri d'Italia, 8 Tour de France, innumerevoli Mondiali o Europei di ciclismo, basket, sci, fondo, slittino, baseball... Innamorato della bici, ha scalato da solo tutte le vette di Giro e Tour. Ha scritto quattro libri per la Sei: L'Ultimo Avversario, Coppi Segreto, Storia delle Olimpiadi e Storia delle Olimpiadi invernali. Si è visto riconoscere i seguenti attestati: - Premio Coni Ussi 2013 per la "stampa scritta-cronaca e tecnica" - Premio Coni per la saggistica 2012 per il libro "Storia delle Olimpiadi, gli ultimi immortali" - Premio Coni-Primo Nebiolo 2012, Regione Piemonte, quale miglior giornalista - Premio Fisi-Coni, premio Sala Stampa 2004 quale protagonista del giornalismo degli sport invernali. Oggi è freelance, ha adottato un cane da un canile e ha iniziato la seconda parte della sua vita, quella della testimonianza.

 

 

LA SPEZIA. Parlare di ciclismo e raccontare di Fausto Coppi appare scontato, forse presuntuoso, senza dubbio ripetitivo ma resta un excursus emozionante e passionale. Ci proverò dunque ancora una volta, anche se altri lo hanno fatto assai meglio di me, perché il ciclismo è ancora Coppi ed è stato soprattutto Coppi (oltre che Bartali e Magni...) in un periodo in cui l'Italia si stava rialzando a fatica dalle tragedie della Seconda Guerra Mondiale.

Se non altro vi parlerò di un Coppi meno conosciuto, del Coppi ventenne che vinse il suo primo Giro d'Italia come "gregario" di Bartali. Sì, proprio il Ginettaccio con il quale dopo la liberazione del 1945 inscenò una delle rivalità agonistiche più straordinarie di tutta la storia del nostro sport. E il passaggio di consegne - tutt'altro che preventivato alla vigilia di quel Giro d'Italia 1940 - si ebbe proprio alla conclusione della tappa dell'Abetone, che è anche la prima montagna vera di questa edizione in rosa, programmata oggi quale sede di arrivo.

 

Fu un Giro d'Italia particolare e malinconico, quello del 1940, perchè nel nostro Paese c'era già sentore della follia in cui il fascismo ci avrebbe portati con l'intervento nella Seconda Guerra Mondiale contro francesi e inglesi.

Era stato Bartali a notare il giovanissimo Coppi al Giro del Piemonte della stagione precedente e a convincere il patron Eberardo Pavesi a ingaggiarlo nella Legnano. Gino voleva una grande squadra attorno a sé per vendicare l'amara sconfitta patita nel Giro '39 da Giovanni Valetti, torinese di Vinovo, che secondo alcuni era stato favorito dal... regime perché iscritto alla "gioventù fascista", contrariamente al fiorentino.

Si narrò che nella Corsa Rosa del '39, quando Bartali in fuga con Valetti sul Tonale fu appiedato da una foratura, l'ammiraglia del rivale vinovese avesse finto una sbandata, mettendosi di traverso per evitare alla vettura di Gino di fornire assistenza al fiorentino.... Che proprio là perse il Giro. Così volevano i gerarchi a Palazzo.

 

Gino Bartali e Fausto Coppi al Giro del 1940 © www.bikeraceinfo.com

 

Ma rieccomi al Giro del 1940, narrato al presente. Dopo poche tappe, il favoritissimo Bartali viene tradito dalla sorte scendendo dalla Scoffera, montagna dell'entroterra ligure: un cane s'intromette nel gruppo e in molti finiscono a terra. Fra questi anche Gino, toccato duro al ginocchio destro.

Coppi sta davanti con Favalli, che lo batte allo sprint mentre Bartali accusa 5'15" di ritardo, con il medico che gli consiglia di ritirarsi. Il fiorentino ruggisce la sua rabbia e continua, ma nel ciclismo feroce di allora si susseguono le fughe degli avversari proprio per mettere in crisi il toscano, che in Maremma sprofonda a 9'12" da Coppi, inaspettatamente maglia rosa. Attimi di panico per Pavesi verso Terni, perché cade anche Fausto e retrocede al quarto posto nella generale. E Gino è messo assai peggio, perchè il suo ritardo è intorno al quarto d'ora.

 

Eccoci dunque alla Firenze-Modena che entrerà nella storia e che comprende appunto l'Abetone, allora in sterrato. Piove e fa freddo, Cecchi scatena la bagarre, lo seguono in una decina e fra questi c'è anche Fausto ma non Gino, che fatica in gruppo. A quel punto, "l'avucat" Pavesi ha un colpo di genio, affianca il futuro Campionissimo e gli dà carta bianca: «L'importante è che vinca la Legnano, provaci!».

Coppi vola e transita in testa sull'Abetone, mentre Bartali ritorna sugli altri fuggitivi ma non può forzare oltre la sua azione per non danneggiare il compagno in fuga. Coppi ha anche una leggera crisi, ma l'imperiosa figura di Bartali inquieta gli altri, che a loro volta non intensificano la pedalata. A Modena, Coppi è di nuovo leader della corsa, ma il Giro è soltanto a metà del suo cammino.

 

Ci sono ancora le Dolomiti, salite che Bartali conosce e Coppi no. E infatti Fausto va in crisi sulla Mauria, allorquando Pavesi escogita la sua seconda grande trovata: chiama Bartali e lo manda in soccorso del giovane alleato.

E Gino esegue, fa il gregario, porta acqua al tortonese e lo sprona a non mollare. Coppi vomita un boccone di pollo che aveva mangiato con troppa foga, senza digerirlo. Si sblocca anche grazie all'incitamento del più esperto rivale-compagno (Gino è di cinque anni meno giovane) e salva il primato.

Il resto del Giro è una passerella dei due meravigliosi campioni: su Falzarego, Pordoi e Sella la coppia della Legnano va in fuga, Coppi fora e Bartali lo aspetta, poi Gino ha un incidente meccanico e Fausto rallenta. Il fiorentino si aggiudica quella tappa e poi fa il bis a Verona, mentre l'Arena di Milano festeggerà il primo trionfo in rosa di un ventenne di cui si parlerà molto dopo la Seconda Guerra Mondiale.

 

In tribuna ad applaudire il suo figliolo c'è anche papà Domenico, che sviene quando vede sbucare il gruppo compatto ma non il suo Fausto, che fa il suo ingresso sull'anello dell'atletica meneghina con 39" di ritardo per un salto di catena.

Il colpo di scena è a effetto ma non compromette il trionfo del tortonese davanti al torinese Enrico Mollo (a 2'40") e al triestino Giordano Cottur (a 11'45").

È il 9 giugno del 1940. Il giorno dopo, dal balcone di Piazza Venezia a Roma, l'Italia passa dai sorrisi alla disperazione ascoltando il Duce. È la guerra!

Paolo Viberti

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