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Il mio Giro - di Paolo Viberti: Binda pagato per non correre - Ma i soldi non arrivano e lui abbandona il Tour

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Paolo Viberti, classe 1956, 35 anni a Tuttosport, un palmarès visivo ed emotivo di nove Olimpiadi, 28 Giri d'Italia, 8 Tour de France, innumerevoli Mondiali o Europei di ciclismo, basket, sci, fondo, slittino, baseball... Innamorato della bici, ha scalato da solo tutte le vette di Giro e Tour. Ha scritto quattro libri per la Sei: L'Ultimo Avversario, Coppi Segreto, Storia delle Olimpiadi e Storia delle Olimpiadi invernali. Si è visto riconoscere i seguenti attestati: - Premio Coni Ussi 2013 per la "stampa scritta-cronaca e tecnica" - Premio Coni per la saggistica 2012 per il libro "Storia delle Olimpiadi, gli ultimi immortali" - Premio Coni-Primo Nebiolo 2012, Regione Piemonte, quale miglior giornalista - Premio Fisi-Coni, premio Sala Stampa 2004 quale protagonista del giornalismo degli sport invernali. Oggi è freelance, ha adottato un cane da un canile e ha iniziato la seconda parte della sua vita, quella della testimonianza.

 

 

Oggi il 98° Giro d'Italia farà tappa a La Spezia, città che ci riporta all'edizione del 1929, quando il varesino Alfredo Binda pensò che sul traguardo della città ligure - quando mancavano quattro giorni alla fine della corsa - fosse meglio far vincere un proprio compagno di squadra della Legnano, Alfredo Dinale, per non inquietare troppo gli avversari. In quel Giro, infatti, il primo fuoriclasse del ciclismo italiano si era già aggiudicato otto frazioni, generando un sopito malcontento tra i rivali. Perché da sempre nello sport colui che si dimostra troppo forte diventa antipatico...

 

Grande personaggio, l'Alfredone: decimo di quattordici figli, emigrò giovanissimo a Nizza, dove uno zio materno lo aveva preso a lavorare nella sua ditta di stuccatura insieme al fratello Primo. In Costa Azzurra scoprì due passioni: quella per la musica (da qui il soprannome di "Trombettiere di Cittiglio") e quella per la bicicletta. Venne ciclisticamente scoperto da quel manager-genio di Eberardo Pavesi, patron della Legnano, che gli propose di unirsi alla sua squadra offrendogli 12 lire al chilometro per le classiche e 15.000 lire per la vittoria al Giro.

Binda prese la palla al balzo: pur senza gregari a sostegno, nel 1925 diventò il numero uno del ciclismo italiano, mettendo in riga Costante Girardengo e Gaetano Belloni. Non pago, vinse anche il Giro di Lombardia, ripetendosi nel 1926, dopo essersi vantato di aver ingoiato 26 uova fresche poco prima di prendere il via! Erano quelle le teorie dell'alimentazione di allora...

 

Alfredo Binda in maglia iridata © 141expo.com

 

Ma torniamo a quel Giro del '29, che prevedeva la tappa di La Spezia. Come detto, Binda aveva vinto la classifica finale nel '25, ma soprattutto si era ripetuto negli anni successivi: se nel '26 era caduto nelle tappe iniziali, perdendo tantissimo tempo e decidendo poi di correre per il compagno di squadra Giovanni Brunero (da Ciriè), che trionfò, nel '27 Binda aveva fatto sue 12 tappe su 15, staccando lo stesso Brunero di 27'24" nella graduatoria finale.

L'anno successivo, il 1928, l'Alfredone si era ripetuto approfittando dell'assenza di Costante Girardengo e ovviando anche a un fattaccio che avvenne che corso della frazione che portava a Roma, quando venne colpito da un sasso al volto, rischiando addirittura di abbandonare la corsa. Reagì con la tempra che tutti gli riconoscevano e alla fine anche quel Giro su suo, con sette successi di tappa su dodici e il secondo arrivato in ritardo di 18'13", nella persona di Giuseppe Pancera.

Tutto ciò aveva fatto sì che l'interesse attorno alla più importante corsa a tappe italiana fosse in qualche modo scemato, proprio per la manifesta superiorità del cittigliese, che in effetti anche in quel 1929 si confermò imbattibile con otto tappe vinte su quattordici (ne vinse una nona, ma venne retrocesso per scorrettezza...) e la decisione presa dall'ammiraglia di lasciarne almeno due all'amico e compagno Dinale, fra cui appunto quella di La Spezia oltre a quella finale a Milano. Binda vinse quasi senza impegnarsi, finendo con 3'44" su Domenico Piemontesi, un distacco ridicolo per quei tempi, ma incredibilmente il suo poker al Giro fu sonoramente fischiato dal pubblico durante la premiazione («Non c'è gusto, sei troppo forte, stattene a casa!»).

 

Fu proprio la reazione dei tifosi a suggerire agli organizzatori di trovare quanto prima una soluzione per le edizioni future. Si pensò di appesantire la bici del varesino, ma l'idea parve poco sportiva. Quindi, al vulcanico Emilio Colombo - direttore della Gazzetta dello Sport - venne una folgorante idea: convincere Binda a restare a casa attribuendogli premi in denaro come se avesse vinto il Giro diventando capoclassifica sin dalla prima tappa e sino alla fine (la maglia rosa non c'era ancora, venne introdotta nel '31 e per primo la indossò Leardo Guerra nella sua Mantova).

In totale al varesino fu promessa la somma di 22.500 lire di allora, circa 60.000 euro di oggi, con una clausola supplementare: la possibilità per Alfredo di correre circuiti con lauti ingaggi nel corso di quel Giro che fu vinto da Luigi Marchisio, piemontese di Castelnuovo don Bosco, un giovane di appena 21 anni che apparteneva anche lui alla Legnano.

 

Assente al Giro, Binda affiancò il rivale Learco Guerra al Tour '30, che per la prima volta attuò una formula vincente e spettacolare, quella delle squadre Nazionali. La nostra coppia dominò la prima parte dell'edizione della Grande Boucle, perché il mantovano fu presto leader mentre mentre il varesino trionfò nelle tappe pirenaiche. Poi, all'improvviso, Binda decise di tornarsene a casa indispettito perché i soldi promessi per il suo forzato forfait al Giro non erano ancora arrivati.

E senza il suo fortissimo alleato, Guerra alla fine dovette cedere il successo finale al francese André Leducq. La federciclo italiana gettò acqua sul fuoco, dicendo che Binda aveva lasciato il Tour per preparare il Mondiale di Liegi, ma Alfredo fu assai più esplicito: «Niente soldi del Giro, niente conclusione del Tour». Detto fatto, la cifra pattuita di 22.500 lire venne "improvvisamente" recapitata in tempo per permettere al Trombettiere di Cittiglio di vincere il titolo di campione del mondo per la seconda volta.

E non fu certo quello il canto del cigno: nel '32 Binda conquistò il suo terzo Mondiale e nel '33 calò il pokerissimo al Giro: in più di un secolo di storia soltanto Fausto Coppi ed Eddy Merckx seppero fare altrettanto. Ma l'Alfredone ne avrebbe conquistati sei, di Giri, senza quel premio per non correre... E magari anche un Tour, con la prima accoppiata della storia nella stessa stagione...

Paolo Viberti

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