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GP Harelbeke 2015: Il marketing? Non è solo culo - La discutibile scelta degli organizzatori belgi, il moralismo, la comunicazione

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La locandina del prossimo GP di Harelbeke

Oggi Cicloweb non aveva certo in programma un articolo sull'E3 Harelbeke. Se ne stiamo scrivendo (non a livello tecnico-sportivo, ma questo nome oggi circolerà parecchio sui motori di ricerca, sui social network, sulla stampa e sul web in generale) il motivo è facilmente intuibile e risiede nella foto in cima a questo pezzo.

Questione complessa e che va ben al di là di un "semplice" sedere schiaffato sull'ammiccante locandina di una corsa ciclistica. Non conosciamo il fiammingo, ma il claim recita più o meno "Chi lo strizzerà ad Harelbeke?", e il riferimento è ovviamente alle bravate da podio di Peter Sagan (la più celebre è quella del Fiandre 2013, con la famosa palpatina, ma ad Harelbeke si era già prodotto pochi giorni prima in una gag in cui si limitava a mimare il gesto) ma anche allo sguardo "indiscreto" che Niki Terpstra lanciò l'anno scorso alla stessa parte anatomica di una miss su quel podio.

Il podio di Harelbeke nel 2013 e nel 2014Da qui, da tali riferimenti più o meno goliardici o innocenti, al costruire una campagna pubblicitaria, ce ne passa. E ce ne passa dalla foto di un corridore buzzurro che tocca un culo o finge di farlo, a un'immagine "di laboratorio", un po' photoshop, in cui la gonnellina si alza e scopre ciò che nessuno si scandalizza di vedere su una spiaggia (due chiappe coperte da mutandina), ma che nel contesto completamente differente di una pubblicità di una corsa ciclistica fa più scalpore.

 

Ma allora il buzzicone non era solo Sagan?
La gara ciclistica, nell'immaginario popolare, ha un'aura di intangibilità che ad esempio i prodotti commerciali non hanno. Nessuno o quasi fa caso a un sedere in una foto pubblicitaria di una bicicletta o di un telaio, ma vedere tale immagine accostata a una gara in qualche modo rompe un tabù e intacca ciò che finora era rimasto sostanzialmente intoccato.

Qui si va però oltre, perché si prende un gesto che era stato esecrato praticamente a tutti i livelli e lo si eleva al rango di brand, spingendo forte sull'acceleratore (o sul ventilatore che alza la gonna). Qualcuno la interpreterà come una rivendicazione ex post del diritto di essere sessisti nel ciclismo. Qualcun altro resterà inorridito di fronte a tanto cattivo gusto. Qualcuno si lamenterà per l'ennesima reiterazione del concetto di donna trattata come un oggetto.

Noi, che all'epoca del Fiandre 2013 contestammo l'eccesso di moralismo nei confronti di Sagan (perché a ben vedere l'esistenza stessa del concetto di "miss da podio" è un uso oggettistico e ornamentale della donna, ma forse fino a quel momento non avevamo prestato troppa attenzione a ciò), non possiamo che confermare oggi che contro Peter si esagerò. Perché poi passano due anni e succede che quel gesto solo maldestro diventi un gesto maldestro su cui si investe per fini commerciali: non solo oggettificazione della donna, ma commercializzazione dell'oggettificazione. Indubbiamente abbiamo salito (anzi, sceso) un altro scalino. (E, nota a margine: ciò non avviene nella svergognata e corrotta Italia, ma nel misurato e compassato Belgio).

 

Quel sedere e il giornalismo
Detto ciò, detto che non ci piace questo modo di fare marketing, detto che non avremmo mai usato un'immagine del genere per fare pubblicità alle nostre attività, rimane il fatto che oggi abbiamo messo anche noi un culo in homepage, e qui il discorso si fa metareferenziale. Stiamo dando una notizia o stiamo sfruttando anche noi quell'immagine? La notizia oggi È quell'immagine, indubbiamente. Se ne può parlare senza pubblicarla? Se ne può parlare pubblicandola solo in parte, un po' di nascosto e senza darle il risalto che sta avendo oggi anche su questo sito, o sarebbe un comportamento tacciabile di ipocrisia?

Se ne può parlare male, ben sapendo che chiunque sta leggendo questo articolo una volta o l'altra su Facebook ha cliccato sull'immagine di un sedere (o di un addominale maschile scolpito, il discorso è il medesimo) e probabilmente è arrivato a questa pagina per lo stesso meccanismo (in realtà non gliene frega niente di Harelbeke e quasi certamente non è arrivato nemmeno a questo punto dell'articolo)?

In definitiva, è possibile prendere le distanze da una cosa di questo tipo (pur senza scadere nel moralismo: lungi da noi l'idea) senza alimentarla e addirittura - nella comunicazione superconnessa di oggi - beneficiarne in qualche misura noi stessi?

In questa domanda, nelle istanze che scatena e nelle questioni di metodo che pone, sta tutta la perversa efficacia della discutibile scelta degli organizzatori belgi. Dal loro punto di vista, hanno fatto centro, fedeli al motto del "se ne sparli purché se ne parli". E la cosa buffa, o per qualcuno fastidiosa, è che nessuno - in coscienza - può oggi avere tutte ma proprio tutte le carte in regola per condannarli davanti al tribunale internazionale della moralità.

Marco Grassi

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