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Vuelta a España 2014: Lo scettro torna a Contador - Battuto il grande rivale Froome. Valverde a podio, Aru speranza italiana | Cicloweb

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Vuelta a España 2014: Lo scettro torna a Contador - Battuto il grande rivale Froome. Valverde a podio, Aru speranza italiana

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Terza vittoria alla Vuelta a España per Alberto Contador © Bettiniphoto

Quante cose possono accadere in due mesi? Dipende, tutto o niente. Fatto sta che il 14 luglio scorso eravamo al Tour, a La Planche des Belles Filles, un Vincenzo Nibali sempre più in giallo, un Alberto Contador ritirato dalla corsa che avrebbe voluto tant portarsi a casa. Non solo: ritiro e microfrattura alla tibia, tornare in gara alla Vuelta era praticamente impossibile. Lo dicevano i medici, non gli appassionati. Lo diceva lo stesso Contador, ma il punto non era solo quello, ovvero la possibilità di prendere il via da Jerez de la Frontera. Il punto era vincerla, la Vuelta. Oggi, 14 settembre, 62 giorni dopo quella festa nazionale francese che per gli spagnoli - almeno quelli che hanno in simpatia Contador - fu un mezzo lutto, il fuoriclasse di Pinto è in maglia roja. Definitivamente e per la terza volta in carriera.

Mentre si attendeva con ansia una Vuelta di rivincite e conferme - Froome e Rodríguez nella prima categoria, Quintana ed Aru nella seconda - Alberto si allenava. Nell'ombra, senza far trapelare troppo il fatto che si stesse preparando, rosolando a puntino, pur nell'incertezza: riuscirò a tenere chi è più in forma di me e non ha subito infortuni? Tipo Quintana e Froome, ma pure Rodríguez, desideroso di portare a casa il primo GT della sua carriera bella ma un po' incompiuta, almeno sulle tre settimane (e pure leggermente sfigata, citofonare Hesjedal). Contador non solo ha tenuto testa a questi mostri da GT, li ha staccati, battuti, messi in fila. Sia chiaro, non abbiamo visto il miglior Contador in assoluto, a livello di gamba. C'era però la testa, quella sì, e mentalmente il Pistolero è stato ancora una volta imbattibile.

I timori più grandi rispondevano al nome di Nairo Quintana, reduce dalla vittoria nettissima al Giro, preparatosi apposta nella sua Colombia. E c'era Chris Froome, uno dei molti delusi dal Tour (si è ritirato alla quinta tappa, quella del pavé), senza dimenticare Purito Rodríguez, che la Grande Boucle l'aveva corsa appunto per fare la gamba. E Alejandro Valverde, come dimenticarlo? Uno che non avrà chissà quale colpo decisivo in canna ma non molla mai. Pure Rigoberto Urán non andava sottovalutato, dopo due piazze d'onore consecutive al Giro. Tutta gente che, finché ha potuto, ha dato spettacolo.

Quintana ha vissuto una giornata in maglia roja, poi la crono di Borja, la discesa dell'Alto del Moncayo, un volo che mette fuori gioco il colombiano della Movistar: il giorno successivo cadrà ancora e si ritirerà, ma a quel punto il campesino avrebbe dovuto recuperare a Contador oltre tre minuti. Difficile? No, impossibile. Quintana faceva tremare il madrileno, così come Chris Froome, uno a cui Alberto non ha quasi mai saputo replicare. È stato l'ultimo ad arrendersi, lo Sky, il primo ad attaccare il primato di Contador.

Conscio di aver iniziato una Vuelta con la condizione un po' così, in crescendo, Froome ha lavorato come una formichina, mettendo da parte secondi qui e là, tra frullate e traguardi volanti. Contador non sempre ha replicato: solo quando lo riteneva possibile e necessario. A La Farrapona e sul Puerto de Ancares la maglia roja ha tenuto testa alle frullate di Froome, senza tirare un metro che fosse uno. Sul più bello, all'ultimo chilometro, con Froome spompato, Alberto ha sparato le sue cartucce: due scatti a cui non si può rispondere, due tapponi portati a casa, due vittorie in maglia roja e la Vuelta a España ancora a lui, il più forte uomo da GT degli anni duemila (dal 2007 ad oggi, contando anche le vittorie, poi revocate, che ha colto dalla strada, due volte maglia rosa, tre in giallo a Parigi, altrettanti trionfi alla Vuelta).

Purito Rodríguez ha corso in modo buono ma nulla più, e per uno che aveva pianificato la corsa a tappe iberica non è un grandissimo risultato, mentre Valverde ha colto una bella vittoria a La Zubia, vestito per tre giorni la roja, lavorato da gregario di Quintana prima del ritiro, minacciato Contador, con quel secondo posto che gli stava un bel po' stretto. Ha poi ceduto a Froome, ma ha lottato come un leone.

Tra questi nomi altisonanti s'è inserito come nulla fosse Fabio Aru. Il sardo dell'Astana era venuto in Spagna forte del terzo posto al Giro, con annessa vittoria di tappa a Montecampione. Voleva fare esperienza, cogliere un piazzamento tra i primi dieci, magari tra i cinque. Il quinto posto se l'è conquistato con i denti, ma conta relativamente. Due vittorie di tappa e la dimostrazione di poter restare sempre o quasi con i migliori valgono di più. Aru s'è consacrato tra i grandissimi scalatori che sanno far bene, per non dire benissimo, in un GT: vittoria a San Miguel de Aralar, replica sul Monte Castrove.

Nella prima sembra che i grandi - di cui lui fa parte e lo sa benissimo - lo lascino andare, tanto non è un pericolo per la generale. Sul Monte Castrove, però, approfitta delle scaramucce tra i tre spagnoli diversamente amigos (Contador, Rodríguez e Valverde), scatta in faccia a tutti ed aspetta Froome, non mollando la ruota dell'anglo-kenyano. Anzi, sul traguardo, con una grinta che ha pochi eguali ed una cattiveria decisiva, lo stacca, seppur di un solo secondo, esultando, quasi incredulo. Tre vittorie di tappa in due GT diversi dopo un paio di stagioni da professionista, diciamo che le basi da cui si parte sono ottime.

È stata anche la Vuelta in cui Damiano Caruso ha dimostrato che la costanza è una delle sue virtù migliori, mentre l'altro Caruso, Giampaolo, ha fatto da secondo angelo custode (il primo è Dani Moreno, pare abbia l'esclusiva) di Joaquim Rodríguez. E che dire di Alessandro De Marchi? In fuga con tutta la naturalezza del mondo, vittorioso ad Alcaudete appunto dopo una fuga da lontano, lavoratore e gregario. Insomma, una moto (e non c'entra il caso Hesjedal, che proprio nella tappa vinta dal DeMa fu accusato di ave il motorino nella bici). La Vuelta di Adriano Malori, treno in gruppo per i capitani (o nella cronosquadre vinta dai Movistar), treno da solo nella prova contro il tempo finale, quella vinta a Santiago de Compostela.

Per chi va in fuga e vince anche c'è chi prova la sortita ma niente, non riesce. È il caso di Damiano Cunego che però ci è piaciuto. Un paio di volte davanti, gli è sempre mancato il colpo di pedale giusto, quello che ti porta a vincere una tappa e magari anche il lasciapassare per il Mondiale di Ponferrada. Peccato per la prova iridata a cui il veronese non sarà presente, ma un Cunego così arrembante, voglioso di far bene, la testa che dice vai, le gambe che chiedono pietà, non può che essere apprezzato. Almeno per lo sforzo.

È poi, al solito, la Vuelta di chi lo prepara, il Mondiale. Da Sagan, mai visto, e ciò può preoccupare gli aspiranti all'iride, a Gilbert, anche lui raramente in luce. Da Bouhanni, che dopo le tre tappe vinte al Giro ne porta a casa altre due qui, facendo quasi a cazzotti con Degenkolb a Ronda. Il franco-algerino fa vedere quant'è in palla, poi sfancula la FDJ.fr in un'intervista e Marc Madiot lo caccia: «Mai più in maglia FDJ». E lui, che ha già firmato per la Cofidis, da qui a fine stagione si allenerà solo sui suoi Vosgi, per preparare al meglio la prova iridata di Ponferrada.

È stata la Vuelta di Michael Matthews, che dopo quasi una settimana in maglia rosa ha vestito per tre giorni anche la roja, tanto ci ha preso gusto (con tanto di vittoria ad Arcos de la Frontera). E Degenkolb? Ad oggi è il nome più gettonato per il Mondiale, e non per nulla: quattro vittorie di tappa (alla Vuelta sono nove in due partecipazioni), una superiorità schiacciante, uno stantuffo da volata che in salita tiene alla grande. Batterlo sarà dura, sul tracciato iridato.

Ma questa Vuelta, in cui abbiamo assistito al ritorno di due talenti come Winner Anacona ed Esteban Chaves, è stata davvero divertente? In passato ne abbiamo vissuta qualcuna di più esaltante; in questa, in particolare, il percorso non era questa meraviglia a cui Unipublic ci ha spesso abituati, però ha fatto una bella selezione. Altro discorso è quello tecnico e la riprova è la classifica generale, con cinque grandi campioni e poi il vuoto, con altri buonissimi corridori ma nulla più.

Da un certo punto di vista, però, sì, la 69a Vuelta a España ci è piaciuta: fino alla penultima tappa Alberto Contador aveva solo 1'19" su Chris Froome, una frullata come si deve o una giornata di crisi del madrileno (o entrambe) potevano risultare letali alla maglia roja. La certezza della vittoria s'è avuta solo sul Puerto de Ancares, insomma. Poi però vedi che quando nei GT Contador prende la maglia di leader non la molla mai (e non è un modo per descriverne la tenacia, è proprio un fatto), conosci bene la forza mentale del fuoriclasse di Pinto, sai che se c'è un desiderio che Alberto avrà espresso è vincere un GT, e vincere contro Froome, dimostrando di essergli superiore.

Lo sai, in cuor tuo, che se Alberto Contador, dopo un brutto infortunio, prende parte ad un GT (avendo fatto sforzi indicibili e sacrifici pazzeschi per esserci), non lo fa per un piazzamento, né per un paio di vittorie parziali. Contador, come tutti i vincenti, è partito per tornar a casa con il bersaglio grosso. Centrato! Quello s'è portato a casa, al termine di un cammino che dal sud della penisola, da Jerez della Frontera, pur senza sfiorare una salita pirenaica neanche per sbaglio ha portato alla fine del Camino. Quello di Santiago de Compostela.

Camino che per Alberto Contador è stata una marcia trionfale (la prima volta che Oleg Tinkov, vulcanico proprietario della Tinkoff-Saxo, vince un GT), da quando ha capito che poteva vincere sul serio in poi. Dall'abbandono del Tour e la prospettiva di una stagione quasi da buttare ad un bello, bellissimo successo. Un riscatto, una rivincita, che arriva due mesi dopo quel crac della Grande Boucle. Perché con Alberto Contador, nell'arco di due mesi ne possono succedere di tutti i colori. Rosa, giallo, rojo...

Francesco Sulas

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