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Vuelta a España 2014: Pensa da grande, corre da Aru - Fabio è sempre con i migliori. Bene anche i due Caruso

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Fabio Aru con Purito Rodríguez verso Puerto de Ancares © Bettiniphoto

Bastava seguire le categorie giovanili negli scorsi anni, tener d'occhio non solo Nibali in casa Astana, lo scorso anno, per capire che Fabio Aru aveva un futuro da grande. Da grandissimo. Se come proposito - ma più che altro auspicio - di inizio anno avessimo chiuso gli occhi e sognato di vedere il ragazzo di Villacidro sul podio del Giro, alle spalle di Quintana ed Urán, con una tappa vinta, e poi ancora alla Vuelta, due centri con i big (di cui fa parte lui stesso) che non lo lasciano andare, no, lo vedono partire e non gli possono star dietro...

Ecco, se avessimo chiuso gli occhi all'inizio dell'anno, sognando tutto questo, ci saremmo svegliati con un sorriso grande così, ma consci che Fabio doveva ancora farne di strada. E invece Aru sa il fatto suo e fa un balzo che lo porta da bella promessa a campione non più in erba. Già al Giro aveva dato segnali incoraggianti, altroché: vittoria a Montecampione, un po' come quello là, show sul Grappa, podio finale. Ma alla Vuelta andava per fare esperienza, vincere, certo, ed entrare nei primi dieci, magari qualcosa in più. Ebbene, ha tenuto il ritmo dei migliori, e non dei primi dieci.

Quinto, e adesso come adesso andare a podio - ormai è impossibile - o restare dov'è, come sarà, conta poco. Fabio su tutte le salite è stato con gente che risponde al nome di: Froome, Contador, Rodríguez, Valverde. I magnifici quattro, Aru è il quinto, ha vinto meno degli altri, ma solo per adesso. Tempo al tempo, perché il ragazzo la fame ce l'ha, eccome. Qualche passaggio a vuoto, giusto per spaccare il capello, c'è stato, ma impercettibile; Aru si fa conoscere bene, uno che i cambi di ritmo di Froome (non di un Signor Nessuno) ancora li patisce, ma pian piano recupera, rientra, a volte pure si piazza.

Sul Puerto de Ancares oggi non ha potuto seguire i due più forti, Contador e Froome. Alla terza progressione del kenyano bianco Fabio di bianca ha alzato la bandiera, ma la resa non è cosa sua. È venuto su del suo passo, recuperando Purito Rodríguez strada facendo, ai -5. Era stanco, il catalano, ma probabilmente anche Aru non aveva la forza di staccarlo, di dargli quei 46" di distacco che gli avrebbero aperto le porte del quarto posto. Finezze, tornerà presto, e per prendersi tutto, Fabio.

Del resto, quando la salita s'è fatta dura, i grandi scalatori da GT se li è messi alle spalle. A San Miguel de Aralar andò via, nessuno alle spalle: va bene, ha ricevuto il via libera, Contador non marca certo lui. Però sul Monte Castrove Fabio ha attaccato ancora. E, si badi, non attacchi da 500 metri, quelli che tanto di moda vanno, dalla maglia roja in giù. No, Fabio attacca sfrontato ai -4, ancora nessuno lo segue. E chi gli va dietro? Froome, quello che oggi ha provato a ribaltare la Vuelta ma è caduto (seppur in piedi).

Poteva accontentarsi, fare un favore all'anglo-kenyano, portare a casa un piazzamento di prestigio e guadagnare su Purito e Valverde, che con Contador gigioneggiavano più indietro. Ma Fabio Aru non è nato per piazzarsi, anche questo l'abbiamo capito. Scatto in faccia a Froome, una cattiveria che per forza, o presto o tardi, ti porterà alla vittoria. Ed Aru vince, quel giorno. Poco importa se oggi non ha scalato classifiche, non è finito sul podio, e via discorrendo.

Non carichiamo il ragazzo - sempre di un 24enne si tratta - di responsabilità più grandi di lui. È rimasto con i quattro più forti della Vuelta, con Quintana, finché c'è stato. mancava solo VIncenzo Nibali. Ha dimostrato di valere molto, moltissimo, e di avere davanti a sé un futuro roseo (ma pure a tinte gialle, per non parlar di quella roja...). Non si parla più di rivelazione, per Fabio Aru, ma si piacevolissima conferma di un piccolo, giovane ma già grande corridore. Non di solo Aru campa l'Italia in Vuelta, visto che oggi, quando si è venuti al dunque, c'era ancora un grande atleta come Giampaolo Caruso.

Lui aveva il compito di scortare Purito Rodríguez ed aiutarlo a vincere quella Vuelta che aveva messo nel mirino sin dal Tour de France, corso in preparazione. Ottimo gregario, se l'è potuta giocare in qualche arrivo un po' nervoso, complicato, trabocchetto, ma mai senza uscire dai suoi compiti di gregariato. Altro Caruso, non fratello di Giampaolo (forse non tutti sanno che: il Presidente della FCI lo crede, o lo credeva, chi lo sa), anche lui un siciliano: Damiano Caruso. Il corridore della Cannondale, che nel 2015 passerà alla BMC, a braccetto con quell'Alessandro De Marchi che se lo mandano in fuga, lo rivedono dopo il traguardo (ad Alcaudete l'ha ampiamente dimostrato), è stato l'emblema della regolarità.

Sei volte nei primi dieci, s'è buttato nelle volate, ha tenuto duro in salita ed anche oggi, sul Puerto de Ancares, ha chiuso decimo. Peccato per essere dietro a Daniel Navarro di soli sei secondi, ma anche qui, come per Aru, sono quisquilie. Nell'unico GT corso in questa stagione coglie una bella top ten, ad ottobre spegnerà 27 candeline, dall'anno prossimo proverà a cogliere altri importanti risultati.

Nel frattempo, insieme a De Marchi, a Giampaolo Caruso e Fabio Aru, vestirà un azzurro che si augura venga confermato per Ponferrada. Perché sì, Fabio Aru ci ha fatti proprio divertire, esaltare, perfino sognare, durante queste tre settimane spagnole, ma anche gli altri italiani non hanno affatto scherzato.

Francesco Sulas

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