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DéTour 2014: Il mondo brucia, Nibali è un'isola - L'orrore impera mentre noi siamo assorti nella Grande Boucle

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Un'immagine dei bombardamenti di Gaza da parte di Israele © www.siyasethane.comPer chi segue il Tour de France il giorno di riposo è una vera iattura. Non tanto per il fatto di rimanere per poche ore senza ciclismo pedalato, vissuto, palpitato; non tanto per non avere la nostra quotidiana infornata di serene considerazioni di Vincenzo Nibali dopo la tappa, né per il fatto di non potersi beare della vista di questa maglia gialla italiana che domina la corsa col suo carisma e la sua forza.

No, il giorno di riposo, anzi, i due giorni di riposo, sono stati in questo Tour una parentesi cupa in tre settimane di gioia e divertimento. Perché nel giorno di riposo non c'è la possibilità di staccare dalla realtà e di immergersi in questa bolla senza tempo che è un grande giro ciclistico. Una bolla segnata da scadenze tutte proprie, in cui il tempo non si misura in giorni e ore ma in minuti e secondi (di vantaggio o di distacco), e in cui lo spazio cambia forma ogni giorno a seconda degli scenari proposti dal disegno del percorso.

È un gran bel rifugio, il ciclismo, il Tour de France. Ci permette di sintonizzarci sulla sua lunghezza d'onda che ci porta lontani dall'orrore circostante. Quello che traspare dalla Grande Boucle sembra addirittura un bel mondo, idilliaco quasi, in cui ci si confronta lealmente e si accettano serenamente i rovesci e pacatamente le vittorie. Un'Utopia a cui ci aggrappiamo inconsapevolmente, dalla quale ricaviamo la scusa per non volgere gli occhi al brutto che è ovunque, alla morte, alla guerra.

Non siamo più dalle parti di "vai al cine, vacci tu", ma di "guarda il tg, guardalo tu", che intanto "io sto qui e aspetto Nibali". Una consolazione magrissima e meschina, anche se umana, comprensibile, financo giustificabile. È attutita, silenziata l'eco di quel che avviene in Palestina, a Gaza, con la soverchiante forza invasiva israeliana che uccide civili (e bambini) a decine e centinaia, in maniera indiscriminata; e l'eco di quel che avviene al confine tra Russia e Ucraina con rapporti di forza tra superpotenze messi in discussione come negli anni della Guerra Fredda (inutile ricordare che la "partita" è tra Russia e Usa), con aerei di linea abbattuti per errore (o forse "per errore", con tanto di virgolette).

E addirittura l'eco di quel che avviene in Italia, con una crisi economica mai superata (gli ultimi dati di ieri sulla produzione industriale sono da mani nei capelli), con le mitizzate riforme che non si fanno e se si fanno sono da brividi, anche questi nostri minimi miseri problemi ci giungono attutiti, in questi giorni di Tour. "Massì, la bolletta la pagheremo poi, alla rata del mutuo ci penseremo, il modulo F24 lo compileremo...", intanto gustiamoci i Pirenei, c'è ancora spettacolo ciclistico ad attenderci.

Non vogliamo azzardare che lo sport sia il nuovo oppio dei popoli, né tantomeno qui ci si picca di voler approfondire vicende per affrontare le quali un sito di ciclismo non è certo la sede adatta. Ma tra 6 giorni il Tour de France sarà finito, e per noi che stiamo qui e aspettiamo Nibali sarà un gran brutto risvegliarsi, nel mondo terribile che ci è toccato in dote.

Marco Grassi

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