Tour de France 2014: C'è un Trentin che a Nancy brilla! - Matteo davanti a Sagan, ma serve il fotofinish
Qualunque sia l'esito finale di questo Tour de France noi italiani possiamo già ritenerci ampiamente soddisfatti. Una considerazione forse banale e che non è figlia del naturale momento di esaltazione prodotto dalle giornate tinte di giallo da un Vincenzo Nibali che fin qui non ha sbagliato nulla. Se stiamo vivendo giornate di assoluto godimento dobbiamo ringraziare anche Matteo Trentin, che quest'oggi ci ha regalato un finale denso di un'elettricità particolare, che ci ha probabilmente detto, una volta di più, che siamo davanti ad un grande corridore che avrebbe tutto per arrivare al rango di grandissimo.
Trovateli voi in giro altri ragazzi che nelle prime due partecipazioni al Tour de France riescono a lasciare il segno in entrambe le occasioni e dopo aver speso anche l'ultima stilla di sudore per i propri capitani nelle tappe precedenti. A dire il vero uno ci sarebbe, anche se di professione non fa il gregario ma appartiene già al rango di fuoriclasse, nonostante le vittorie fin qui ottenute siano decisamente poche in rapporto al talento, vale a dire quel Peter Sagan su cui probabilmente andrebbe fatto un bel discorso a parte su come sia possibile che uno come lui riesca sempre a trovare un qualcuno in grado di batterlo.
Se però quel qualcuno è il Matteo Trentin ammirato oggi non si può far altro che gioire convintamente e togliersi il cappello per la capacità di gestire un finale così complicato e mettersi dietro, ancora una volta, avversari di tutto rispetto. Semmai se per il campione slovacco di verde vestito facciamo determinati ragionamenti, verrebbe da chiedersi che cosa sarebbe ulteriormente capace di fare il giovanotto di Borgo Valsugana se avesse maggiormente l'opportunità di poter fare la propria corsa, senza stare a macinare chilometri in testa al gruppo o a fare tirate impressionanti negli ultimi chilometri per preparare uno sprint. Eppure, se Matteo Trentin è già la bellissima realtà che possiamo ammirare, il merito è anche molto del vento in faccia preso, delle tirate allo spasimo, del fango che lo ricopre da cima a fondo dopo aver affrontato una dura giornata sul pavé. A ricordarci che un corridore italiano di classe si forma anche così, con la fatica e il sacrificio votate alla ragion di squadra e la lealtà verso capitani da cui può esserci solo da imparare.
Adesso però non consideratelo un semplice gregario, perché quelli come lui sanno avere l'istinto del killer, annusano quell'aria sanguigna da grande battaglia (in proposito: la lunga traversata verso Nancy oggi evocava tristemente le tremende giornate del primo conflitto mondiale) in cui più è elevato il livello dei contendenti, più gusto c'è nel batterli o almeno provarci. Quattordici tappe aveva impiegato lo scorso anno per realizzare un sogno, gestendo da autentico veterano il complicato finale di Lione, dove seppe avere ragione di Albasini e Talansky (l'americano, suo malgrado, era lì anche oggi ma con tutt'altro destino) che non erano certo gli ultimi arrivati. La prima vittoria da professionista proprio al Tour, che volete di più? Appunto, in un ciclismo che vuole sempre di più, Trentin quest'oggi ci ha dato ancora di più e non tanto per aver impiegato esattamente la metà delle tappe per andare a bersaglio, quanto perché il finale è stato ancor di più da uomini veri, senza che il traguardo finale si risolvesse in una tenzone rusticana tra ottimi e onesti mestieranti da fuga a lunga gittata.
Non bastassero 220 chilometri scarsi già percorsi infatti, la Cote de Maron prima e quella di Boufflers (quest'ultima a 5 km solamente dall'arrivo) erano messe lì con il chiaro intento di creare sparpaglio a profusione. Nel mentre si osservava Van Garderen finire malamente a terra, nel mentre Contador scalpitava e sguinzagliava Roche in testa al gruppo e Sagan dava l'impressione di far quel che voleva, Matteo era già lì in seconda ruota, pronto ad entrare in azione per assecondare magari le intenzioni di Kwiatkowski, che pure in un finale simile poteva sentire profumo di divertimento. Michal invece ha finito per essere l'ago della bilancia in un finale tiratissimo, con altre cadute a scombinare i metri conclusivi e con l'azione di Sagan e Van Avermaet andata ad esaurirsi proprio sulla flamme rouge.
Proprio lì aveva deciso che il momento fosse propizio Richie Porte e contro la stoccata del tasmaniano era necessaria proprio la chiusura di un passista dalle qualità notevolissime, com'è appunto Kwiatkowski, poi toccava a Teo. Partito in maniera convinta a centro strada, mentre Talansky finiva malamente a terra nel contatto con Gerrans e quell'ombra verde che minacciosamente si palesava al suo fianco. Dieci metri, poi cinque, quindi il traguardo e un colpo di reni che era più un inno alla grinta indomita che alla disperazione ma con la naturale prontezza nel congratularsi con l'avversario nella convinzione momentanea di non averla spuntata. Invece il fotofinish capovolge il responso o meglio lo sposta di piccoli, decisivi millimetri. Quelli necessari per decretare il trionfo, il secondo alla Grande Boucle a 24 anni (tra poche settimane saranno 25), con Tony Gallopin, Tom Dumoulin e tutti gli altri a far da corollario ad un pomeriggio senz'altro radioso, in cui anche il sesto posto di Daniel Oss illumina ulteriormente la scena.
Reggere un confronto simile toccando determinate punte di velocità non è cosa da tutti e tanto per gradire un'autorevolissima dimostrazione ci era giunta già a Delemont, al Giro di Svizzera il 19 giugno scorso: ok che quel giorno un Tony Martin mostruoso lo aveva portato in una posizione da stoccata che più ideale non si poteva ma anche in quella situazione c'erano pur sempre i Ben Swift e lo stesso Peter Sagan della situazione (oltre ai nostri Bennati e Francesco Gavazzi). Vittorie quindi tutte contrassegnate da un'elevata qualità degli sconfitti che dice molto sulla capacità di prendersi le proprie responsabilità quando occorre. Del resto anche la formazione ciclistica di Trentin parla abbastanza chiaro: formatosi per anni nel ciclocross, dove ha vestito il tricolore ed ha fatto anche a lungo parte della nazionale (cogliendo risultati lusinghieri), ha vissuto le annate dilettantistiche senza l'eccessiva pressione che magari ci può essere in alcuni noti squadroni e poi ha colto al volo l'occasione, quando in 2011 strepitoso, contrassegnato dalle vittorie al Gran Premio Liberazione e poi nel Campionato Italiano, andò a far parte dell'universo Quick Step già nel mese di agosto.
Boonen, Cavendish, nell'ultimo anno Petacchi, poi anche un giovane di talento come Kwiatkowski: ne ha di compagni da cui poter imparare, assecondandoli al meglio ma l'infaticabile gregario al momento si sposa meravigliosamente con un corridore i cui margini di miglioramento sono probabilmente ancora molto ampi e potrebbero consentirgli (qualora fosse possibile) di essere competitivo tanto in una Milano-Sanremo (e nella prima disputata il gran piazzamento, senza quella caduta sul più bello, era praticamente cosa fatta) quanto in un Giro delle Fiandre o una Parigi-Roubaix. Il pavé, appunto: due giorni fa ad Arenberg siamo rimasti ammaliati dalla prestazione di Nibali ma non possiamo certo dimenticare che in nona posizione, a 1'21" e al termine di una giornata complicatissima per tanti, è terminato proprio lui, che un giorno quelle pietre sogna di farle cantare a dovere.
Magari adesso, goduti i bei momenti post vittoria con quell'espressione felice e quasi incredula sul podio, a cui fa da contraltare il rammarico di Sagan, che ha imposto la sua dittatura in verde senza esser ancora potuto sfrecciare in prima posizione come lui vorrebbe, lo rivedremo presto in testa al plotone, già domani che si inizierà a salire e ci sarà senz'altro da rendere il favore a Kwiatkowski, che oggi tanto ha saputo essere prezioso per lui (come anche Martin, Petacchi ed anche Renshaw). Viene però da chiedersi se in questo mese di luglio non sia ancora il caso di tenere i tricolori appesi fuori dai balconi delle case. Che seppure avremo una nazionale di calcio uscita mestamente dai mondiali brasiliani abbiamo almeno due splendidi ragazzi (Nibali e Trentin) che stanno sicuramente trovando la miglior via per rendere un italiano realmente orgoglioso di esserlo. Lì dove la guerra stendeva il suo tetro mantello e dove italiani allegri spopolavano, tra quei francesi che una volta s'incazzavano e che oggi applaudono anche loro, con convinta ammirazione.