DéTour 2014: Era lo spauracchio, ora è lo spaurito - Froome, le cadute e l'eresia necessaria nel ciclismo
Versione stampabileQuel che risulta difficile capire, nella vicenda di Chris Froome, è come si possa in due giorni di disattenzione buttare alle ortiche mesi di preparazione in vista dell'obiettivo centrale della propria stagione. Due giorni, tre cadute, e si torna dritti a casa, con un polso (il destro) molto dolorante, tanto che si parla di possibile frattura. Si vocifera addirittura di possibile frattura PRIMA della tappa del pavé, ovvero: Chris è partito da Ypres nonostante fosse più che acciaccato, nonostante fosse proprio rotto.
Ma il dubbio iniziale si pone a un livello superiore a quello del singolo episodio che indirizza una corsa. Perché, avessimo visto Froome cadere per responsabilità non sue, e magari mentre era gagliardamente in testa alla corsa, avremmo avuto ragione di parlare di episodi, di sfortuna, di circostanze. Ma il Chris adocchiato qua e là tra le pieghe della corsa, al di là di un piccolo scattino al Gpm di una salitella domenica (scattino che non ha fatto la differenza), non è che avesse destato chissà quale impressione.
Sembrava spento, poco calato nella parte del "defender", colui che deve rintuzzare i possibili attacchi dei rivali di classifica. Già domenica, poco dopo il citato scattino, Froome si è trovato ad esempio a inseguire un avversario diretto come Vincenzo Nibali, ma ha fallito su tutta la linea, rimbalzando indietro dopo poche pedalate mentre il siciliano andava a vincere la frazione di Sheffield. Le altre tappe prima di oggi, abbastanza facili, non avevano le caratteristiche per evidenziare eventuali limiti attuali dell'inglese.
Ma anche il fatto che corresse spesso nelle retrovie, lontano dalle posizioni che contano in gruppo, dava da pensare. Quando poi martedì è capitombolato su un tratto in rettilineo senza apparenti difficoltà, abbiamo capito che la buona predisposizione che aveva esibito lo scorso anno era tutta da ritrovare. E andava ritrovata in fretta, prima delle montagne.
In un normale Tour degli anni scorsi, magari Froome sarebbe riuscito a superare il momento nero e poi a far valere la sua legge nella seconda metà della corsa; ma quest'anno c'era di mezzo questa tappa del pavé, disegnata proprio per far saltare tutti gli schemi, e resa ancor più dura e imperscrutabile dalla pioggia battente che l'ha flagellata (spingendo pure gli organizzatori a segare due dei nove tratti di pavé previsti). E qui il campione uscente della Grande Boucle ha vissuto la sua più grande Caporetto.
Manifestando gravi difficoltà di guida del mezzo a causa dei guai fisici e della pioggia, Froome è caduto non una ma ben due volte. E se dopo la prima si è rimesso in sella ed è riuscito a rientrare sul gruppo, dopo la seconda la luce si è spenta definitivamente e nella sua mente non rimaneva che un pensiero: "sali sull'ammiraglia, sali sull'ammiraglia".
Il ritiro di Froome - inutile nasconderselo - piace moltissimo a molti tifosi di Vincenzo Nibali, che in maglia gialla avrà da curare un pezzo da 90 in meno, nei prossimi giorni. L'appassionato in questi casi non si tiene, non perché sia bello (non lo è) godere dalle disgrazie altrui, quanto perché Chris è stato obbligato ad abbandonare il Tour per errori propri. E gli errori è sempre lecito imputarli, quando ci sono.
Già la vigilia non era stata un granché per Froome, con tanto di querelle che l'ha opposto a Bradley Wiggins. Il Sir, innamoratosi nell'ultima primavera della Roubaix e delle sue pietre, avrebbe tanto voluto esserci, ieri. Ieri così come oggi e domani, insomma avrebbe voluto fare il Tour, con l'intento - diceva lui - di aiutare Chris sdebitandosi per quanto da lui ricevuto nel 2012. Ma l'anglokenyano è stato di tutt'altro avviso, non aveva punto voglia di tenersi tra i piedi un soggetto difficile come Brad nelle tre settimane più importanti dell'anno.
E allora, con atto di forza, ha imposto al management la scelta di lasciar fuori Wiggo. Un momento, abbiamo scritto atto di forza? No, è stato chiaramente un atto di debolezza, presupponente un certo tirmore, da parte di Froome, di subire la personalità del compagno-rivale, o addirittura di patirne la buona riuscita in classifica. E se Wiggins si fosse rivelato più in palla dello stesso Chris? Se si fosse clamorosamente ripreso i gradi di capitano sul campo?
Possiamo dire senza troppa paura di essere smentiti che, sul punto, Froome non aveva da temere: Wiggins è ancora capace di exploit limitati (vedi appunto la Roubaix), ma tre settimane di gara sono tutt'altro che uno spazio limitato. In compenso Brad avrebbe potuto attirare a sé tutta una serie di attenzioni da parte della stampa, togliendo un po' di peso a Chris, e ieri, chissà, magari sarebbe davvero riuscito a rendersi utile alla causa. Come invece sono andate le cose, l'abbiamo visto tutti.
Il Tour dello svagato e sbadato Froome è durato quattro tappe e mezza; insomma si è fermato agli stuzzichini di aperitivo, alzandosi da tavola ben prima che arrivassero le portate per lui più appetibili e sostanziose. Un gran peccato, perché viene a mancare uno dei protagonisti annunciati della Grande Boucle; ma d'altro canto, anche l'occasione per cercare di capire un altro pezzetto della vita di questi corridori iperprogrammati, costantemente collegati con qualche diavoleria (nel caso di Chris, il computerino da bici...), ma estremamente fragili non appena le cose non vanno per il verso immaginato.
Non sapremo (se non tra qualche anno, probabilmente) i motivi della svagatezza di Froome in questi giorni; ma qualunque ragione ci sia, è stata da lui reputata talmente rilevante da permetterle di mettere in ombra l'obiettivo della vittoria al Tour. Che questo meccanismo sia scattato a livello inconscio, o che Chris ne sia stato impotentemente consapevole, il succo del discorso non cambia. La variabile non è contemplata nei piani del corridore iperprogrammato; o meglio, sono contemplate tot possibilità di variabile, e a quelle si sa rispondere. Ma appena qualcuno o qualcosa agisce (o accade) fuori dagli schemi consolidati, c'è il rischio che tutto vada all'aria.
Aveste provato a chiedere a Froome se l'anno prossimo non pensava magari di fare Giro e Tour, avrebbe risposto con delle semplici spallucce, come a dire "non diciamo eresie". Invece Nibali (tanto per citare il nome più in voga in questo momento) è uno che sin da ora sta annunciando urbi et orbi che il prossimo anno forse vuol provare l'accoppiata (e magari, se Vinokourov non si fosse fieramente opposto, l'avrebbe già tentata quest'anno). Nibali è l'eretico della nostra piccola storia ciclistica, è uno che va a cercare di vincere anche corse lontanissime dalle sue corde, è uno che poi un bel giorno, all'esordio sul pavé, scopre di esserci stato tagliato sin dalla nascita. Froome è uno che vince sempre o quasi, quando gareggia nelle brevi gare a tappe o in quelle lunghe, ma lo fa praticamente sempre nell'ambito di uno schema mandato a memoria e pronto ad essere applicato ogni volta.
La differenza è la stessa che passa tra il giorno e la notte. Nell'attesa che Froome si rimetta fisicamente e torni a battagliare sulle strade della Vuelta, l'unico consiglio virtuale che gli possiamo dare è proprio quello di diventare anche lui un po' eretico. Ne guadagnerebbe lui, ne guadagnerebbe tutto il ciclismo.