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Giro d'Italia 2014: Te queremos, hijo de la tierra! - Innamorati di Nairo Quintana, un grande vincitore per la corsa rosa | Cicloweb

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Giro d'Italia 2014: Te queremos, hijo de la tierra! - Innamorati di Nairo Quintana, un grande vincitore per la corsa rosa

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Nairo Quintana, vincitore del Giro d'Italia 2014 © Bettiniphoto

Nairo Quintana entra nel club. Quello esclusivissimo (comprendente non più di una decina di atleti ancora in attività) dei vincitori di grandi giri. A 24 anni si innalza sul gradino più alto del podio del Giro d'Italia, primo colombiano nella storia a riuscirci, e a Trieste l'abbraccio del suo popolo - quello che nemmeno lui si aspettava rappresentato in maniera così numerosa in Italia - l'ha finalmente sciolto, insieme alla felicità di una vittoria voluta, cercata e meritata, e insieme all'affetto dei suoi familiari, giunti a festeggiarlo nel giorno del trionfo.

Qualche distratto ha avuto il coraggio di sentenziare che il capitano della Movistar abbia vinto il Giro senza fare una grande impresa, ma quasi correndo in maniera sparagnina. A parte che vincere una cronoscalata della difficoltà di quella del Monte Grappa è senz'altro un'impresa, ma speriamo che non passi sottotraccia quanto realizzato da Quintana nella frazione di Gavia e Stelvio: sull'arrivo di Val Martello ha avuto compimento una delle azioni più rilevanti degli ultimi 15 anni, un attacco di 70 km alla maglia rosa, coronato da successo totale: tappa vinta, classifica ribaltata.

Da lì in avanti a Nairo è bastato controllare gli avversari più vicini in classifica, impresa non proibitiva viste le sue doti da scalatore; e il colpo di grazia assestato sul Grappa ha reso superfluo anche attaccare sullo Zoncolan, anche se - dovessimo proprio muovere un appunto al colombiano - gli rimprovereremmo di non aver voluto coronare il suo Giro con il successo più atteso, quello nella tappa decisiva.

Quintana è un antipersonaggio, dice qualcuno. Se essere personaggi significa necessariamente essere dei divi dei social network, avere sempre la battuta pronta, essere fighi (secondo la concezione occidentale e consumistica del termine), circondarsi di modelle e gente che conta, allora Quintana è un antipersonaggio. Il suo profilo Twitter è una splendida sintesi di questo concetto: aperto (perché proprio non ne poteva fare a meno) quando si è ritrovato a lottare per il Tour dello scorso anno, consta (al momento) di appena 14 tweet, 13 dei quali (in parte dei retweet di contenuti altrui) inviati proprio in quell'ultima settimana di Tour (non mancano il saluto di benvenuto, il ringraziamento a Dio, i complimenti a Froome e una sentenza: "Gli obiettivi si perseguono con impegno e dedizione"), e l'ultimo in novembre, per complimentarsi col fratello Dayer per l'ingaggio in Movistar. Nient'altro.

Quintana parla poco ma agisce. Quando non deve correre, torna ad allenarsi a casa, a Cómbita in Colombia, dove la moglie (di cui è innamoratissimo) gli «rende la vita bella», e dove può stare vicino alla figlioletta appena nata. Dove può vivere vicino alla famiglia, attaccato come un tenacissimo arbusto andino a quella terra da cui proviene e che si porta dentro in giro per il mondo quando è impegnato in gara.

Non è glamour, tutt'altro, Nairo è all'apparenza introverso e i suoi lineamenti precolombiani scolpiti nella pietra non ne faranno mai una star dei rotocalchi rosa. È un uomo tranquillo, un uomo di 24 anni che ha conosciuto le difficoltà della vita e le ha dominate, come oggi fa con le vette alpine. I suoi connazionali lo chiamano "campesino, hijo de la tierra", a sottolinearne le origini contadine, e lui non fa nulla per apparire introdotto nel bel mondo globalizzato della supercomunicazione di massa. Volterà sempre le spalle alle luci della ribalta per andare a cercare la tranquillità delle sue strade, in Colombia, è un prodotto fortemente alternativo al mercato unico, lui è un prodotto locale, con scritta nel sangue la storia di popoli da secoli vessati e mai prossimi al totale riscatto rispetto al padrone di turno.

Ed è attraverso imprese sportive come quelle di Nairo che si sublima questa rivalsa nei confronti del mondo esterno e colonizzatore, è qui che il pittoresco nazionalismo latinoamericano si salda all'orgoglio etnico mai sopito. E il catalizzatore di tutto ciò, colui che incarna lo splendore della diversità al cospetto del grigiore dell'uniformazione, sarebbe un antipersonaggio? Chi lo dice non ha capito nulla di Quintana.

A livello ciclistico, il colombiano è fortissimo, inutile dirlo. In salita ha pochi rivali (in questo Giro l'unico a lui avvicinabile è stato Fabio Aru), e soprattutto dà l'impressione di poter ancora crescere molto. Attentissimo in gara, sa leggere ottimamente tra le pieghe della corsa, e fa sempre quel che è bene fare con la naturalezza di chi non vede altre opzioni che quelle più giuste. Anche contro il tempo il ragazzo sa il fatto suo (ha un'invidiabile posizione sulla bici da crono), ma è soprattutto la sua espressione imperscrutabile a far ammattire i suoi avversari: sta bene, sta male, come sta? Impossibile capirlo guardando quella faccia secolare, in cui qualcuno legge i tratti ancestrali di un sacerdote inca.

Non ha avuto cedimenti, da quando la sua condizione ha preso a crescere in maniera vertiginosa. La febbre, l'otite (utile per non sentire le radioline sulla discesa dello Stelvio!), il mal di stomaco: se non li avesse comunicati la Movistar, di questi problemi probabilmente non ci saremmo accorti. Nairo ha avuto la pazienza di aspettare che il ciclo si compisse, che i mali fisici lasciassero il posto all'impetuosa emersione della terza settimana, quella terza settimana che qualcuno vorrebbe decurtare nei grandi giri, e che invece è determinante perché i più forti vengano fuori.

Inutile nasconderselo: l'amore sbocciato nei confronti di Nairo trascende addirittura il ciclismo stesso. È l'amore nei confronti di quello che il mondo può regalare a se stesso, un mondo che non ha bisogno di velocità supersoniche per essere misura del presente. Un mondo alternativo, come il ciclismo indio strepitosamente affermato oggi da Nairo, primo latinoamericano a vincere il Giro, destinato a un decennio di fantastici voli: el condor pasa!

Marco Grassi

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