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Giro d'Italia 2014: La mossa del giaguAru - Grande vittoria di Fabio, il campioncino sbocciato per caso | Cicloweb

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Giro d'Italia 2014: La mossa del giaguAru - Grande vittoria di Fabio, il campioncino sbocciato per caso

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Fabio Aru esulta sul traguardo di Plan di Montecampione © Bettiniphoto

Vorremmo tanto non pomparlo, questo ragazzo, ma la cabala non aiuta proprio. A Montecampione si sale una volta ogni 16 anni dal 1982: all'epoca vinse Bernard Hinault, nel 1998 toccò a Marco Pantani. In entrambi i casi, il vincitore solitario della tappa portò a casa il Giro ed entrò nella storia del ciclismo come fuoriclasse. Inoltre, esattamente 10 anni fa si consumava un'altra impresa di un corridore giovane al Giro d'Italia: quella firmata da Damiano Cunego nella San Vendemiano-Falzes, che lo portava a conquistare la maglia rosa e successivamente il Giro d'Italia. In ammiraglia anche allora Giuseppe Martinelli, così come per Pantani, cosa che contribuì all'epoca ad affermare Cunego come "l'erede di Pantani". Quel Cunego che oggi era in fuga e non è riuscito ad essere competitivo neanche tra i fuggitivi.

Nei giorni scorsi ne avevamo parlato, di Fabio Aru. Avevamo parlato del suo modo di correre da professionista navigato, di una certa sicurezza dei suoi mezzi mal celata dietro una apparente e ostentata umiltà. Ne abbiamo avuto conferma ad Oropa, dove ha dimostrato che in questo Giro avrebbe fatto facilmente classifica. Oggi Aru si rivela in toto al grande pubblico per quello che è: uno scalatore grintoso, gasato, aizzato da una tappa di montagna che fino ad allora aveva prodotto solo tatticismo tra i big. Tatticismo che in realtà celava un certo affanno. Aru capisce che può essere la sua giornata, ed esattamente ai -3 , quando le pendenze sono tra l'8 ed il 9 %. Fa partire una progressione devastante, alla quale si accodano Urán ed Evans. L'australiano capisce subito che sta andando dritto verso un fuori giri e si lascia sfilare, la maglia rosa prova a restargli incollato a ruota. Mentre Rolland e Duarte vengono ripresi, anche Quintana tende a riportarsi su di loro, con quel suo fare un po' da ragioniere che ha caratterizzato finora il suo correre al Giro. Ma, fuori dalla galleria ai 2.2 km, Aru produce un ulteriore scatto, quello definitivo. Si rialza sui pedali con frequenza, ogni 200 metri, ogni volta con più cattiveria. Quintana prova a riportarsi su di lui, ma la sua reazione non ha effetto. Per Aru è cominciata una cavalcata gloriosa. Nei suoi rilanci, non si può non notare una cosa: la scarsa grazia in bicicletta. Aru è un atleta ancora immaturo in molte cose, anche a livello fisico. Il che significa che può ancora crescere e migliorarsi, e questo dà la portata potenziale del fenomeno al quale oggi abbiamo assistito.

E pensare che Fabio Aru a correre su strada ci è arrivato quasi per caso. Per raccontare questa storia dobbiamo fare un salto indietro di quasi 6 anni, al Giro di Lunigiana 2008. È un importante vetrina per i corridori juniores, al via sono presenti dei talenti oggi affermati, come Peter Sagan, Wilco Kelderman, Moreno Moser, Mattia Cattaneo, Manuel Bongiorno. Invitate varie formazioni nazionali e regionali, ma anche il "Piano Ciclismo Solidale", che è una specie di squadra mista delle regioni ciclisticamente meno sviluppate, come Sardegna e Puglia. Per completare la squadra, l'accompagnatore oristanese Salvatorangelo Attene convoca anche un atleta che stradista esattamente non era, ma un crossista che alternava un po' di attività su strada nell'isola. Ebbene, nella seconda tappa da Ceparana a Bolano, di 100 km, Moreno Moser vince, ed appena a ridosso dei principali protagonisti arriva 13esimo un atleta dal passo a dir poco sgangherato ma grintosissimo, con la maglia del Piano Ciclismo Solidale. Nella giornata successiva, altra tappa dura ed il copione si ripete. Tra i molti Ds dilettanti presenti alla corsa c'è quello della Palazzago, Olivano Locatelli, il quale non appena apprende che il tenace ragazzo appena visto è alla prima esperienza assoluto nella pancia di un gruppo vero, capisce di avere tra le mani un talento da sgrezzare e fiutando l'affare lo prende con sé.
Il ragazzo, come si potrebbe intuire, non è un personaggio banale. Studia con profitto al liceo classico, ed è appassionato di latino e greco. Quando non corre o si allena si diletta spesso nel tradurre versioni, oppure nelle letture di Orazio. Il carattere, anche se non è evidente, c'è, ed emergerà tra i dilettanti, quando durante il Terra di Toscana 2011 si svilupperà una forte rivalità sportiva tra lui e Francesco Manuel Bongiorno, altro talento dal carattere decisamente più spaccone. La causa sta nel mancato gioco di squadra, nonostante si corresse tutti con la maglia della nazionale italiana: e difatti Aru riuscirà sì a vincere, ma sarà determinante più l'aiuto del bielorusso Bazhkou, all'epoca compagno di squadra. Da allora in poi sarà marcamento costante tra i due, in ogni arrivo in salita. Se anche Bongiorno riuscisse a fare quel salto di qualità, state pur certi che questa rivalità tornerà in auge.

Torniamo a Montecampione: siamo nei 200 metri finali. Aru si gira, per l'ultima volta. Capisce che nessuno, neanche Quintana, ha le gambe per riprenderlo. A quel punto si gasa ancora di più, rilancia un'ultima volta e sull'arrivo lascia partire un urlo da giaguaro: dentro questo ragazzo c'è una vera bestia. Ai suoi tecnici, il compito di controllarla: la cabala che citavamo prima non è del tutto favorevole, e su Martinelli aleggia il ricordo di un Cunego diventato troppo presto un numero 1. A detta di Olivano Locatelli, che l'ha seguito negli Under 23, la maturazione fisica di Aru non è completa ed il rischio di bruciarsi c'è. E francamente, se nel Giro 2024 vedessimo un Aru trascinarsi in una fatica degna del più normale dei comprimari nel decennale della sua vittoria più bella, anche la figura di Martinelli come direttore sportivo verrebbe parecchio ridimensionata.

Agli avversari presenti e futuri, invece, il compito ingrato di domarla, quella bestia.

Nicola Stufano

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