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Storie&Memorie: 20 anni da un Giro meraviglioso - Esplose Pantani, volò la classe '70, vinse Berzin, perse Indurain | Cicloweb

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Storie&Memorie: 20 anni da un Giro meraviglioso - Esplose Pantani, volò la classe '70, vinse Berzin, perse Indurain

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Miguel Indurain, Evgeni Berzin, Marco Pantani e Claudio Chiappucci al Giro d'Italia 1994 © Bettiniphoto

Un paio di decenni fa il Giro d'Italia partiva ancora verso la fine di maggio e si proiettava fino a giugno inoltrato, tenendo al riparo le sue vette alpine dalla neve e dai rigori delle ultime propaggini invernali. Intendiamoci, ciò non avveniva sempre, il ricordo del Gavia 1988 era ancora fresco (anzi, gelido...), e anche quell'edizione 1994 avrebbe avuto i suoi bravi (e non ininfluenti) fiocchettoni. Fu la rosseggiante Bologna a dare il battesimo alla corsa rosa, il 22 maggio del 1994, e fu un ragazzo dal nome non usuale, Endrio Leoni, a vincere la prima volata e indossare la maglia rosa inaugurale.

Il buon Endrio avrebbe vinto anche un'altra frazione, la quinta, a Melfi (davanti allo stabilimento Fiat inaugurato di fresco: in quell'epoca le delocalizzazioni erano ancora perlopiù transregionali...); e tra le due affermazioni di Leoni, passò di mezzo un po' del meglio che il ciclismo dell'epoca offriva. Nel senso che assistemmo a successi uno più bello e interessante dell'altro: la semitappa pomeridiana del primo giorno, una breve cronometro, fu appannaggio del promettente e un po' bizzarro francese Armand De Las Cuevas, il quale proprio quell'anno sperimentava il ruolo di capitano (nella Castorama) dopo aver lasciato male la Banesto di sua maestà Indurain. «Ringrazio la lumière», disse De Las Cuevas dopo aver battuto di pochi secondi Berzin e lo stesso Miguelón, e aver così indossato il simbolo del primato. A 20 anni di distanza, ancora ci chiediamo che diavolo intendesse Armand con quella lumière.

La seconda tappa, Bologna-Osimo, fu uno spettacolo per finisseur, Moreno Argentin arrivò da solo precedendo Andrea Ferrigato e un corridore che ancora oggi pedala in gruppo, ovvero Davide Rebellin. A seguire un gruppetto con Bugno, Ugrumov e alcuni giovani dai nomi nuovi: Casagrande, Berzin, Tonkov, Belli... Pantani. Argentin prese la rosa e la difese il giorno dopo, quando a Loreto Aprutino fu Gianni Bugno, con un colpo da maestro, a rispondere per le rime all'affermazione dell'esperto Moreno: il monzese confermò di essere un possibile favorito per la vittoria finale (a 2" da lui, in un ordine d'arrivo regale, Zanini precedette Rebellin, Casagrande, Indurain, Berzin, De Las Cuevas, Chiappucci).

La splendida tre giorni dei giganti si concluse a Campitello Matese, arrivo in salita su cui Berzin, fresco trionfatore della Liegi-Bastogne-Liegi, raggiunse nel finale Oscar Pellicioli, reduce da una lunga fuga, e lo beffò in volata; classe '70 Evgeni (ma già all'epoca lo chiamavamo tutti Eugenio), classe '70 Wladimir Belli che fu terzo, classe '70 il quinto di quella tappa (Pantani), classe '70 l'attesissimo Francesco Casagrande (che però pagò più di quanto si pensasse); di poco più grande ('69) Pavel Tonkov (ottavo), mentre addirittura del '71 era Davide Rebellin, che fu quarto. Nel drappello dei big, Bugno teneva senza problemi il passo di Indurain, mentre Chiappucci era abbastanza più lontano.

Dopo lo sprint di Melfi, un paio di frazioni interlocutorie in cui il Commissario Marco Saligari fece fruttare al meglio una fuga (a Caserta) e in cui Lale Cubino anticipò tutti a Fiuggi (in quelle due tappe un altro baldanzoso classe '70 iniziava a farsi vedere nei quartieri alti degli ordini d'arrivo: Michele Bartoli), ed ecco che a Follonica, crono di 44 km, il primo vero redde rationem della corsa chiamava all'appello tutti i protagonisti. Se all'epoca avessimo avuto le scommesse sul ciclismo, in pochi avrebbero azzardato a puntare su un nome diverso da Indurain; e in generale, va detto che alla vigilia di quel Giro, probabilmente Miguelón non sarebbe stato nemmeno quotato: veniva da due doppiette Giro-Tour (1992 e 1993) nelle quali non è che aveva vinto, no, aveva proprio annientato la concorrenza (a parte il digrignoso Ugrumov, che gli tenne quasi testa al Giro '93).

Facilissimo immaginare che, nell'appuntamento contro il tempo in Toscana, Indurain avrebbe rimesso le cose al proprio posto, ricacciando indietro il malizioso biondino venuto dalla Russia che vestiva la maglia rosa già da Campitello Matese. Il biondino in questione, però, aveva tutt'altri progetti: e la vinse lui la tappa, volando a oltre 52 di media e affibbiando 1'16" a De Las Cuevas, secondo; Indurain addirittura non riuscì neanche a centrare il podio di giornata, rimanendo quarto (a 2'34") e preceduto pure da Bugno, che a quel punto, volendo considerare ancora Berzin un outsider, assumeva su di sé il ruolo di primo favorito. I tifosi di Gianni sognavano, masticavano amaro quelli del rivale Chiappucci, già lontanissimo in classifica; tutti gli altri speravano forse che - o l'uno o l'altro dei contendenti - qualcuno riuscisse comunque a spodestare Indurain. Berzin, molto simpatico di suo, bucava lo schermo (di marca Fininvest: erano gli anni del Giro su Italia1), duettando complice con Raimondo Vianello (che conduceva lo Studio Tappa dopo ogni frazione), e conquistava aficionados giorno dopo giorno: era decisamente nata una stella.

Dopo la cronometro, con Berzin primo in classifica con 2'16" su De Las Cuevas, 2'38" su Bugno e 3'39" su Indurain, era giusto lasciare spazio ai velocisti, che si papparono le tre tappe successive (Svorada a Pontedera e a Bibione, e in mezzo il mitico Abdujaparov a Marostica), mentre il disegno della corsa riportava il gruppo verso nord, verso le Alpi. Nelle volate, come si vede, non spunta mai il nome di Cipollini, già all'epoca sprinter principe del ciclismo mondiale: SuperMario non c'era nemmeno, a quel Giro, visto che era alle prese coi postumi di un'orrenda caduta patita alla Vuelta a España (che all'epoca si disputava prima della corsa rosa), una caduta provocata da Adriano Baffi e che aveva messo fine all'amicizia che fin lì aveva legato i due corridori. Ma questa è un'altra storia.

Riprendendo il racconto del Giro 1994, arriviamo allo sconfinamento (doppio) delle tappe di Kranj e di Lienz. In Slovenia s'impose allo sprint un giovanotto (andava per i 25) che in seguito si sarebbe dimostrato più che un velocista, Andrea Ferrigato; la strada per l'Austria vide invece una maxifuga, e al traguardo sembrò d'assistere all'arrivo di una classica: i corridori transitarono alla spicciolata, e il primo di tutti, bravo ad andarsene su una salita a 30 chilometri dalla fine e a difendere il grande margine guadagnato, fu Michele Bartoli. Alcuni uomini meno marcati di altri riuscirono a guadagnare qualcosina sul gruppo, e tra questi di nuovo trovammo Marco Pantani.

I tempi erano maturi perché lo scalatore di Cesenatico, ancora sconosciuto ai più, apponesse il suo timbro nella corsa rosa. L'occasione si presentò al futuro Pirata il giorno dopo, nella Lienz-Merano, quando, approfittando ancora una volta dello scarso controllo di cui era fatto oggetto (diversi minuti lo separavano dalla maglia rosa Berzin), il romagnolo attaccò sul Giovo, raggiunse un gruppetto di fuggitivi, e s'involò nella successiva discesa, andando a chiudere con 40" sul gruppo dei migliori (nel quale un Bugno ancora perfettamente "sul pezzo" regolò nello sprint per il secondo posto Chiappucci, Rebellin, Berzin e Indurain).

La vittoria di Pantani fu salutata come l'ennesima affermazione di quella baldanzosa classe '70 che si stava conquistando in maniera spettacolare la scena. Il passaggio dall'essere considerato "uno dei giovani più interessanti del Giro" al diventare tout-court "Marco Pantani", non ancora immaginabile quel 4 giugno, diventò improvvisamente realtà l'indomani, in una delle giornate ciclisticamente più belle, emozionanti, indimenticabili degli ultimi decenni.

La 15esima tappa portava il gruppo da Merano ad Aprica, attraverso il Passo dello Stelvio (affrontato prima di metà frazione) e i successivi passaggi dal Mortirolo (dal versante di Mazzo, durissimo), da Aprica (versante facile da Edolo) e dal Valico di Santa Cristina. I ricordi di quella frazione si affastellano colorati di mille sensazioni. Franco Vona, egregio scalatore laziale che viveva una bella maturità agonistica, transitò per primo sullo Stelvio; e rimase al comando fino al Mortirolo, salita sulla quale vedemmo sbocciare quel che non osavamo credere, sperare, immaginare, in quel ciclismo dei grandi giri tutto orientato alle cronometro.

"Non si può più vincere un Giro in montagna", pensavano in molti, influenzati dalle mostruose prestazioni di Indurain contro il tempo. Ma quei molti non avevano ancora visto uno come Pantani. I più giovani scoprirono un atleta in grado di sconvolgere ogni convinzione riguardante il ciclismo; i più anziani faticarono a cercare, nella memoria, corridori capaci di tanto. Il Mortirolo di Pantani fu esaltante. Scattò secco, staccò tutti (anche Berzin che - illuso! - aveva provato subito a mettersi alla sua ruota) e andò a riprendere, uno per uno, tutti i tanti fuggitivi della prima ora, fino a chiudere su Vona e a staccare pure lui. Scollinò per primo. Dietro, Berzin non sapeva che pesci pigliare; Indurain aveva capito che non c'era verso di seguire Marco e si era in qualche modo gestito, sperando di rientrare in seguito, e nel frattempo curandosi di staccare la maglia rosa in crisi.

Andò proprio aveva previsto Indurain: Pantani, saggio come un ultratrentenne, capì che se fosse rimasto da solo al vento del fondovalle, avrebbe rischiato di esaurirsi e di rimbalzare sul Santa Cristina. Attese. Miguelón, forse convinto che il ragazzino della Carrera avesse già dato il meglio di sé, si riportò su di lui, e collaborò senza indugio all'azione, visto che la maglia rosa era in affanno e bisognava guadagnare il più possibile. Col navarro rientrò pure l'indomito Cacaito Rodríguez.

Pantani, Indurain e Rodríguez attraversarono l'Aprica, e sul Valico di Santa Cristina il romagnolo aprì un'altra volta il gas. Lo spagnolo provò a tenerlo, ma ancora una volta fu amaramente staccato. Tanto fu il contraccolpo, tale il fuorigiri, che l'imbattibile uomo di Pamplona vide le streghe. Mentre Pantani volteggiava verso la vetta e la successiva picchiata su Aprica, Miguel in affanno si vedeva staccare pure da Cacaito e poi raggiungere e superare da un Chiappucci rinfrancato e anche da Belli. Fu una festa Carrera, il capitano Chiappucci, secondo al traguardo, andò immediatamente a felicitarsi col giovane delfino, non capendo subito che quel giorno si era consumato un clamoroso, spettacolare passaggio di consegne in squadra. Indurain pagò 3'30" a Pantani, Berzin addirittura 4'06", Bugno prese 5'50" sul groppone e uscì dai giochi. Con Marco risalito fino al secondo posto in classifica, a 1'18" di distacco (oltre 6' recuperati in tre tappe!), e un'altra due giorni di dure salite in programma nei giorni successivi sulle Alpi Piemontesi, il Giro era del tutto riaperto, e lo scalatore prometteva di ribaltarlo in proprio favore, in barba a tutti quelli "delle cronometro".

In questo clima di esaltazione collettiva, le due tappe seguenti volarono via con la bella affermazione di Max Sciandri a Stradella (colpo di mano nel finale con Fontanelli) e con la terza vittoria conquistata da Svorada (stavolta in una volata atipica, ristretta) a Lavagna. La cronoscalata del Passo del Bocco, alla 18esima tappa, non permise a Indurain di riavvicinare Berzin, che vinse la frazione con 20" sullo spagnolo; Pantani si difese tutto sommato bene, chiudendo al terzo posto a 1'37" dal russo, ma c'era fiducia che Marco potesse di nuovo rimettere in sesto le cose tra Les Deux Alpes e Sestrière, recuperando i 2'51" che lo separavano da Berzin.

Prima del nuovo approdo alle Alpi, Massimo Ghirotto fece in tempo a fare propria la tappa di Bra, avendo ragione di alcuni colleghi di fuga, dopodiché arrivò l'attesissimo giorno dello sconfinamento in Francia. Partenza da Cuneo, nel menù Colle dell'Agnello, Izoard, Lautaret e arrivo in quota a Les Deux Alpes: un'ennesima tappa regina di un Giro disegnato benissimo da un Carmine Castellano in stato di grazia. Pantani aveva capito che per vincere la corsa rosa doveva far saltare il banco. Farlo saltare seriamente. E allora attaccò da lontano, da lontanissimo, sin dall'Agnello, a 130 chilometri dal traguardo. Chi avrebbe potuto immaginare un'impresa del genere, se non il pelatino venuto dal mare e dalle piadine di Romagna?

Pantani si avvantaggiò su Berzin e Indurain (che stavolta, oculatamente, lasciarono fare), transitò in vetta da solo, raggiunse il classico gruppetto dei fuggitivi della prima ora, rimase coi soli Mejia e Buenahora sull'Izoard, ma non riuscì a guadagnare troppo sul gruppo dei big, tirato da un inesauribile Argentin, che quel giorno si spese in tutto e per tutto per il compagno Berzin. Il lungo fondovalle tra Izoard e Lautaret tagliò le gambe all'attacco, Marco si rialzò e di fatto lì abdicò alle speranze di scalzare la maglia rosa; ma già solo il fatto che avesse tentato una simile impresa fece capire a tutti - forse anche più di quanto accaduto per la giornata dell'Aprica - che razza di corridore fosse quel 24enne tutto nervi e cuore. Il finale di tappa vide una lotta fra comprimari, vinse Pulnikov (altro Carrera, che quel giorno fece corsa per sé più che aiutare Pantani), e Evgeni si considerò di fatto il vincitore in pectore: superata quella di Les Deux Alpes, la frazione del Sestrière era sulla carta molto più facile da gestire.

Nella realtà le cose andarono ancora meglio per il russo della Gewiss: freddo e neve flagellarono la tappa e bagnarono le polveri di chi avrebbe dovuto attaccare. Mentre lo svizzero Pascal Richard andava a conquistare il successo di giornata (esaltandosi in maglia verde di migliore scalatore...), tra i big della classifica tutto si risolse con un no contest. E il gran finale della Torino-Milano, con Stefano Zanini a trionfare su Abdu (che festeggiò comunque per la conquista della maglia ciclamino della classifica a punti), non cambiò di una virgola una classifica in cui Berzin vinceva con 2'51" su Pantani e 3'23" su Indurain. Quarto, molto più lontano, Tonkov a 11'16", solo quinto Chiappucci a 11'56", ottavo Bugno a 15'26".

Un'edizione del Giro troppo bella per poter essere dimenticata. Pensammo, all'indomani della corsa rosa, che Berzin avrebbe vinto ancora molto altro, e invece Evgeni non si ripetè più ai livelli di quel suo straordinario 1994. Indurain capì che non era più il caso di tentare di bissare Giro e Tour, e non venne più in Italia, concentrandosi sulla Boucle (per vincerla altre due volte). Pantani, beh, di Pantani non occorre spiegare granché. Continuò a entusiasmare le folle (il pubblico in quel Giro fu strabordante, sia sulle strade che davanti alla televisione), passò da tremendi traumi, risorse e visse l'anno perfetto nel 1998, riuscendo a vincere i due grandi giri principali, con grandi imprese in montagna.

20 anni esatti, quest'anno, da quel Giro magnifico. Se la corsa rosa che va a iniziare venerdì sarà bella anche solo un decimo di quella che qui abbiamo rievocato, vivremo tre settimane di grande divertimento. Dita incrociate. E, come sempre, viva Pantani!

Marco Grassi

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