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Parigi-Roubaix 2014: Bradley Wiggins e una sfida infinita - Ottimo anche Geraint Thomas, giù Boasson Hagen

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La maschera di fango di Bradley Wiggins a fine gara © teamsky.com

Nei velodromi ci è nato, ci ha vinto a ripetizione, ci è ritornato. Ma Roubaix ha molto di diverso per tutti, anche per Bradley Wiggins. Il padre, Gary, era un seigiornista, e del Belgio amava sia le seigiorni che la birra (non disdegnando le belle donne). Bradley vede così la luce a Gand, in un giorno d'aprile del 1980, dopo alterne vicende sceglie il ciclismo. Su pista naturalmente. E vince. Ori olimpici, ori mondiali, altre medaglie qui e là. Non basta.

Non è solo una macchina - Wiggo è quanto di più lontano ci sia da un automa - da medaglie, ma un ragazzo curioso, talentuoso, con un motore fuori dal comune. E sempre alla ricerca di nuove esperienze, nuove sfide. Quando si mette in testa di vincere il Tour, i risolini non son pochi. Eppure già nel 2009 chiude ai piedi del podio. Sei minuti e passa alle spalle di Contador, certo, ma sulle salite della Grande Boucle brilla.

La fortuna non è una sua compagna di viaggio né nel 2010 (solo 23°) né nel 2011 (ritirato). In quest'ultimo anno emerge la figura di Chris Froome alla Vuelta e Wiggo, per molti giorni in maglia roja, chiude 3°, con quel popò di salite alle spalle.

Poi il 2012, l'anno olimpico, la Sky tutta per lui alla Grande Boucle, la maglia gialla, l'oro su strada ai Giochi di Londra (su pista, come detto, non mancavano le medaglie), nella cronometro. Una stagione fantastica che non trova continuità. L'anno scorso ogni obiettivo di Bradley s'è infranto contro la sfortuna, o l'avversario più forte, o qualcosa che non gli ha permesso di mantenersi ai livelli del 2012. Viene al Giro per contrastare Nibali - altra sfida della carriera - ma cade, va nel pallone, nel panico, si ritira. In discesa nessuno lo smuove, bye bye Italy.

Il Tour non lo corre, lasciando di fatto la scena a Froome. Salta pure la Vuelta, preferendo un Tour of Britain in cui, sì, finalmente vince. La crono iridata lo vede secondo dietro Tony Martin, troppo superiore. L'entusiasmo e la voglia di spaccare che aveva nel 2012 sono perduti e chissà da dove (e se) li ripescherà, si dice, si pensa, si mormora. Ma Wiggins è un pistard, è un ciclista, ha sette vite e mille obiettivi. Quando dichiara il primo dell'anno di grazia 2014, la Roubaix, c'è più scetticismo che entusiasmo.

Anche perché Bradley non arriva a Compiègne sfoderando le prestazioni di Sagan o Cancellara. Appena 15 giorni di corsa per lui nel 2014, nulla di memorabile e tanti allenamenti, tanta fatica (come al solito). Anche a costo di saltare corse come la Volta a Catalunya, Wiggo si allena. Se, come lui stesso sostiene, la Roubaix è più importante del Tour de France, cosa può una garetta a tappe catalana al cospetto dell'Inferno del Nord? Il Fiandre lo disputa, quello sì. Non perché pensi a centrare il risultato, né perché ci creda. Bisogna fare la gamba in vista della Roubaix.

Una corsa che Wiggo guardava sin da bambino, ricordando quello sprint tra Gilbert Duclos-Lassalle e Franco Ballerini, nel '93. Un ragazzino inglese nato a Gand che voleva essere come Johan Museeuw e andava a cercare il pavé attorno a casa. Un uomo, oggi, che si emoziona provando il percorso, quando attraversa la Foresta di Arenberg, e che ammette candidamente che non sa se potrà vincere. Probabilmente no. Gli basterebbe restare con i migliori e divertirsi un po'.

Boonen voleva la quinta vittoria su queste pietre, Cancellara la terza personale doppietta con il Fiandre. Wiggins, dopo tre ritiri ed altrettante edizioni in cui il meglio che ha potuto cogliere è stato un 25° posto, aveva in testa quello che poi è accaduto. Tutta la gara con il gruppo dei migliori, qualche volta più indietro, sempre rientrato prontamente, costantemente nascosto. Ma alla fine, quando si fa la conta di chi se la giocherà, la menata forte, decisa, la rasoiata da passistone, da pistard, la dà lui.

È Wiggo che si trova nel gruppetto degli undici - mai così affollata negli ultimi anni, questa corsa amata dai belgi, odiata dal resto del mondo - e ci porta pure Geraint Howell Thomas. Anch'egli britannico (gallese, per dirla tutta) del Team Sky, anch'egli pistard e inseguitore, sei anni di meno sul groppone rispetto a Bradley, anche molte medaglie in meno, ma sulla buona strada per diventare un vincente (vorrebbe fare molto bene in un GT, un bel giorno). Vediamo come va, Geraint, siamo qui, giochiamocela, deve aver detto Wiggo al compare.

Va che Terpstra (se ne) va, che dietro nessuno ha voglia di portarsi Sagan ed altri pesanti calibri (e non colibrì, dunque) nel velodromo. Terpstra vince, pazienza. Wiggo e Thomas entrano comunque nei primi dieci: il più giovane è settimo, il barbuto Commander of the Order of the British Empire 9°.

Peccato che non sia stato della partita fino in fondo anche un giovanotto norvegese di nome Edvald, cognome doppio (Boasson Hagen), talento smisurato, risultati altalenanti, contratto con il Team Sky in scadenza. Era davanti, il norvegese che un tempo trovava spazio negli sprint ristretti, ma da quando in salita è migliorato (senza diventare un novello Pantani, ovviamente) ha perso sia la brillantezza sui percorsi mossi, che lo spunto veloce.

Era davanti, si diceva, finché una curva verso sinistra, presa malissimo, l'ha buttato in un campo, poco dopo Tilloy to Sars-et-Rosières. Senza danni fisici, ma a 71 km dalla fine addio Roubaix. Thomas invece, nella Roubaix ci si è buttato a capofitto, attaccando con Boonen prima, trovandosi davanti con i migliori alla fine. Con i migliori e con Wiggins, che lo dice chiaro: non sono uno specialista del pavé, però ci provo, mi sono allenato come un matto, chi lo sa fin dove posso arrivare. Considerando tutto, è andata molto bene.

E se la sua nuova sfida sarà tornare alle origini, alla pista, per provare a vincere di nuovo ai Giochi Olimpici di Rio, nel 2016, l'anno prossimo si ripresenterà su queste pietre terribili. Vuole prendersi l'intera posta in palio. Un vincitore di Tour a Roubaix mancava da oltre vent'anni (l'ultimo fu Greg Lemond nel 1992), Wiggins ha dimostrato - se ancora ce n'era bisogno - di essere un atleta a tutto tondo.

Tondo come l'anello di un velodromo, o come la ruota di una bici. Ciclico come la vita, che non per tutti inizia e finisce in un velodromo - men che meno quello di Roubaix, praticamente un tempio sportivo. Per tutti no, per Bradley Wiggins sì.

Francesco Sulas

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