Milano-Sanremo 2014: Quell'allievo di Erik Zabel - Perché (anche) Kristoff non diventerà una meteora
Versione stampabile«Porco Kristoff, fénditi!»: iniziava così "1.9.9.6", pezzo che introduceva Hai Paura del Buio?, pietra miliare degli Afterhours che proprio in questi giorni sta vivendo un importante riedizione a 17 anni dalla sua pubblicazione, profetizzando cosa sarebbe passato per la mente in quel momento a Fabian Cancellara, ovvero la volontà di fare a fette quel velocista norvegese che gli andava a togliere dalle mani, per l'ennesima volta, un successo alla Sanremo, corsa della quale ormai la locomotiva di Berna è una presenza fissa e imprescindibile nel podio finale, esattamente da quando han cominciato a vincerla corridori al primo successo in una Monumento, che sarebbe molto ingeneroso definire dei carneadi, ma che alla viglia, se venivano pronosticati, non erano più che degli outsider.
Va bene, la canzone degli Afterhours non faceva proprio così (anche se il testo risultava altrettanto criptico), ma ci offre lo spunto per focalizzarci su quell'aspetto che ormai da quattro anni è un leitmotiv ricorrente, ovvero il grande campione che deve soccombere all'emergente di turno. Con ogni modalità auspicabile e immaginabile, il risultato non cambia: Cancellara ogni anno cambia tattica e ogni anno finisce lì sul podio; Nibali, che si sacrifichi sul Poggio o sulla Cipressa, finisce per fare del lavoro utile ad altri; il buon Sagan, che faccia il lavoro per tutti (come l'anno scorso) o che non faccia niente, se non far muovere i suoi gregari (come oggi), non trova la chiave di volta. L'han trovata i vari Goss, Gerrans, Ciolek e Kristoff, partendo indietro nella griglia, e finendo, per i detrattori più cattivi, nella storia della Sanremo come "imbrattatori dell'albo d'oro". Una definizione ingiusta che nacque con Goss, forse per la delusione di alcuni appassionati che, dopo una delle Sanremo più belle di sempre, con la corsa che si era accesa già sulle Mànie, videro vincere un giovane velocista fino ad allora da zerotituli. Certo, il povero Matthew Harley negli ultimi due anni si è un po' perso, ma all'epoca, così come Gerrans nel 2012, seppe sfruttare al meglio il lavoro dei corridori destinati ad attaccare. Simon Gerrans aveva già un palmarès invidiabile, ma era e resta un gradino sotto due colossi come Cancellara e Nibali, eppure seppe uccellarli alla grande, dopo aver compiuto l'impresa di stare loro dietro. Gerald Ciolek era invece un predestinato, uno che aveva vinto il campionato nazionale a 19 anni davanti a Zabel e doveva esserne l'erede, ma si era talmente perso da finire in una professional sudafricana per la quale la Sanremo doveva essere una vetrina, e si trasformò invece in un inatteso successo.
Arriviamo oggi ad Alexander Kristoff, uno che predestinato non era, a differenza di un suo connazionale e coetaneo ben più noto, Edvald Boasson Hagen, che anche oggi ha abbastanza deluso (29esimo a 34"). Mentre Edvald vinceva già al Giro d'Italia, Kristoff era ancora semidilettante nella Joker-Bianchi, squadra di casa dove nel 2007 avevano corso insieme. Dopo aver affrontato la categoria Under 23 nelle Continental, Kristoff passa nel 2010 con la BMC, affermandosi come un velocista non vincente, ma con un discreto piglio per le classiche: nel 2010 si piazza 4° alla Vattenfall di Amburgo, nel 2011 vince il Campionato nazionale. La svolta avviene col passaggio alla Katusha nel 2012, dove incrocia due personaggi che insieme di Sanremo ne han vinte ben 7: Óscar Freire, all'ultimo anno di carriera, ed Erik Zabel, che ha lavorato fino a luglio 2013 come sprint coach nel team russo. A fronte di tale cumulo di esperienza con specializzazione in Mondiali e classiche primaverili, Alexander non può non trarne giovamento e gli effetti si vedono già alle Olimpiadi di Londra, dove imbrocca l'azione buona e conquista un memorabile bronzo. Nel 2013 diventa anche un vincente, con ben 7 successi, ed è l'unico atleta a piazzarsi nei 10 nelle tre monumento per passisti veloci: 8° alla Sanremo, 4° al Giro delle Fiandre, 9° alla Paris-Roubaix.
Se dunque andiamo ad analizzare con criterio la carriera di Alexander, notiamo come il suo successo fosse probabilmente il meno imprevedibile, negli ultimi quattro anni (seppur fosse quotato 40 a 1 dalle principali agenzie di scommesse): e non è casuale che lo svolgimento della gara fosse anche il più lineare. In questo arco di tempo ciò che hanno avuto in comune le diverse edizioni della Sanremo risiede nell'entropia, prima dettata dalle presenza delle Mànie e di attaccanti compiacenti, poi dal meteo infausto. Entropia che limita notevolmente il numero di papabili alla vittoria finale, e che scombussola i valori in campo dei rimanenti, facendo accadere allo sprint cose solitamente irrealizzabili, come Cavendish che finisce dietro Cancellara. A essere premiati, ancor più che nel passato, sono i cosiddetti "limatori", quei corridori che, seppure non avendo sempre punte di talento eccezionali, hanno una grande capacità nel risparmiare energie e portarsi ad uno sprint più freschi di altri sulla carta più potenti. Prendete Greipel: sulla carta, un velocista fortissimo, e anche un corridore di gran potenza sul passo (a La Panne nel 2011, vinse la prima tappa da signore, correndo tutto il giorno all'attacco), ma nelle classiche, e specialmente in questa, si sgretola sistematicamente nel finale. Eppure Greipel davanti in corsa si è visto parecchio. Kristoff, quelle poche volte che si è visto, era a ruota di Paolini o di altri suoi compagni. Oggi Kristoff ha vinto perché ha rappresentato al meglio quell'ottimo tra velocità (cosa che manca a Cancellara) e limatura (cosa che manca a Greipel): ha davvero ricordato Oscarito nella conduzione della corsa, e non ci sarebbe niente da stupirsi se diventasse l'erede di Freire e Zabel, magari non per quel che riguarda prettamente la Sanremo (non sappiamo ancora quanto la Pompeiana, che dovrebbe entrare il prossimo anno, cambierà l'andamento di questa corsa), ma per le altre classiche.