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Dubai Tour 2014: Kittel completa l'opera in tre atti - Guardini terzo, a Phinney la generale

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Marcel Kittel è primo ed esulta, accanto a lui Andrea Guardini, terzo © BettiniphotoA dire il vero, siamo dalle parti del cane che morde l'uomo: nel senso che ci saremmo stupiti se Marcel Kittel non avesse vinto anche la quarta e ultima tappa del Dubai Tour, dopo aver ottimamente incamerato le due precedenti; e il fatto che in effetti il tedesco della Giant abbia completato al meglio l'opera non fa che confermare i facili pronostici della vigilia. Con superiorità quasi esagerata, il 25enne di Erfurt si è imposto anche all'ombra del Burj Khalifa: il grattacielo più alto al cospetto del ciclista più veloce.

Certo, se a uno così forte la sorte concede pure un paio di bonus, nella forma della caduta di uno dei rivali più insidiosi (Sagan) e di un guaio meccanico per un altro di essi (Cavendish), il compito diventa ancor più facile: e può capitare di vedergli fare una volata lunghissima, presa in testa e condotta con successo fino alla linea d'arrivo, mentre dietro nessuno riesce quasi a uscire di ruota. In questa affermazione conclusiva di Kittel (davanti a Mark Renshaw) si è vista anche un bel po' d'Italia, visto che abbiamo piazzato quattro uomini nei primi sette: e se per Guardini (terzo) si è trattato di un gradito ritorno nelle fasi calde di una volata, e per Ferrari (quarto) un risultato che conferma la tendenza a piazzarsi ma quantomeno a fare capolino negli ordini d'arrivo, per Daniele Ratto il sesto posto ottenuto oggi rappresenta il tentativo di capitalizzare al massimo l'assenza del capitano Sagan, mentre per Niccolò Bonifazio la top ten è proprio una primizia assoluta: 20enne cuneese, appena passato al professionismo con la Lampre, il ragazzo ha conquistato un bel settimo posto. Già l'anno scorso, da stagista, aveva centrato un undicesimo posto alla Coppa Bernocchi, dimostrando di non avere grossi timori reverenziali, e oggi ha confermato l'assunto, collaborando alla volata del capitano Ferrari e riuscendo comunque a piazzarsi.

La tappa, inutile dirlo, ha avuto un andamento alquanto scontato: la fuga del giorno è partita al km 18 (dei 123 totali) con Paco Mancebo (già in azione nella seconda tappa), Jay McCarthy, Keon Woo Park e pure un italiano, Pierpaolo De Negri. Visto il percorso molto veloce, il gruppo non ha fisiologicamente lasciato spazio all'azione, la quale non è andata oltre il minuto e mezzo di vantaggio massimo (raggiunto già al km 33); al km 48, poi, il 22enne coreano s'è rialzato, lasciando al comando un terzetto che ha resistito fino a 13 km dalla conclusione, quando si è consumato il ricongiungimento. A Mancebo rimane la soddisfazione di aver vinto i due traguardi volanti di giornata, per la gioia degli emiri che sponsorizzano la sua SkyDive, squadra di casa.

Con le grandi manovre per lo sprint già in atto, a 5 km dalla fine abbiamo perso un possibile protagonista per la volata: Peter Sagan è infatti caduto, e anche se non s'è fatto niente di male, ha dovuto abbandonare ogni velleità di chiudere questa 4 giorni araba con una soddisfazione. Intanto l'Astana organizzava un treno di tutto rispetto per Guardini, che evidentemente sentiva di essere arrivato bene al finale di tappa; una gran bella lotta di treni, quella che ha caratterizzato la corsa fino all'ultimo chilometro: abbiamo visto ordinate vagonate di Lampre (per Ferrari), Movistar (per Lobato), Katusha (per Porsev), quindi Omega Pharma (per Cavendish) e Giant (per Kittel).

È stata la Omega Pharma a uscire meglio dall'ultima curva a destra, in prossimità dell'ultimo chilometro, ma di lì a poco Cavendish ha avuto l'intoppo meccanico cui accennavamo sopra, e se la responsabilità di sprintare è passata al suo apripista Renshaw, è indubbio che il meccanismo del treno OPQS sia stato fortemente influenzato dall'imprevisto. Ad ogni buon conto, è probabile che Kittel avrebbe messo comunque ognuno al proprio posto. Il tedesco è infatti partito lungo, gestendo al meglio (lèggasi: con la traiettoria ideale) i metri finali su una semicurva a destra, e non ha lasciato possibilità agli altri, arrivando ancora una volta a braccia alzate (e mettendo in cassaforte il successo nella classifica a punti).

Renshaw ha comunque conquistato un ottimo secondo posto, davanti a Guardini (che mancava da un podio dal Giro di Turchia 2013), Ferrari, il russo Porsev, gli altri due italiani Ratto e Bonifazio, e - a completare la top ten - il giapponese Miyazawa, l'altro SkyDive Lucas Haedo, e Juanjo Lobato. Senza alcun patema Taylor Phinney ha concluso in gruppo la frazione e di conseguenza ha vinto il primo Dubai Tour, che poi rappresenta pure la sua prima gara a tappe vinta da professionista (l'ultimo precedente, da Under, era stato l'Olympia's Tour del 2010). Sul podio finale l'altro BMC Stephen Cummings (a 15" dal compagno) e il giovin danese Lasse Norman Hansen (a 17"). A seguire nella generale Tony Martin a 23", Fabian Cancellara e Marcel Kittel a 30", Adriano Malori a 37" (il migliore degli italiani, settimo), Maciej Bodnar a 40", Peter Velits e Dylan Van Baarle a 42". Molti dei protagonisti della corsa emiratina li ritroveremo già a partire da domani nel Tour of Qatar, sempre in zona penisola arabica.

Un bilancio del Dubai Tour? Non possiamo dir male di una corsa che in questa stagione offre la possibilità a diversi big di "far la gamba" in un clima ideale (caldo ma non troppo). Certo, poco pubblico (ma è una costante delle corse arabe), ma la volontà di crescere, negli anni, pare non manchi. Una volta che verranno riequilibrate alcune cosette anche a livello tecnico (troppo lunga la cronometro o troppo miseri gli abbuoni - 3" al vincitore di tappa, 2" al secondo, 1" al terzo - per non avere un eccessivo sbilanciamento in classifica in favore di chi è andato bene contro il tempo), e magari inserita una tappa con finale più impegnativo della pur insidiosa frazione di ieri, potremmo avere un nuovo bell'appuntamento febbraiolo nel calendario dei prossimi anni.

Marco Grassi

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