Vuelta a España 2013: Quei GT sul filo di pochi secondi - 6" il distacco finale nel 1984. Celebre il duello Lemond-Fignon al Tour '89
Eh, caro Vincenzo, ma ti è mai possibile correre una Vuelta semplicemente dominandola, senza dover lottare fino all'ultima tappa per mantenere quella dannata Roja? A quanto pare proprio no. Già nel 2010, per conquistare il primo GT della tua carriera, hai dovuto fare una fatica bestia a tenere al guinzaglio quel cagnaccio di Ezequiel Mosquera, che sulla Bola del Mundo sognava di recuperare i 50", e invece si dovette accontentare della vittoria di tappa. Tuttavia, quel distacco seppur limitato non si può considerare un record, e la storia recente e lontana dei GT insegna che spesso e volentieri le grandi corse a tappe si sono giocate sul filo dei secondi, Vuelta in primis; sarà per la sua natura di GT senza grandi tappe alpine, fatto sta che ben sette volte il distacco tra primo e secondo alla Vuelta è stato inferiore ai 20", a fronte delle quattro del Giro e dell'unica, ma indimenticabile, del Tour de France.
Per la legge dei grandi numeri, non ci sorprenderemo se è proprio la Vuelta a detenere il record: nell'edizione 1984 furono soltanto 6" a separare i primi due, il francese Eric Caritoux e lo spagnolo Alberto Fernández Blanco. Un duello snervante, durato una settimana: Caritoux strappò la maglia alla dodicesima tappa a Delgado sui Lagos de Covadonga, poi perse 5" nella cronoscalata del Monte Naranco e 21" nella crono della penultima tappa di 33 chilometri. Un catenaccio strenuo insomma, che portò il francese della Skil a vincere la sua unica grande corsa a tappe ad appena 24 anni: da lì in poi per lui cominciò già la decadenza. Non andarono meglio le cose per il povero Fernández, già terzo a Giro e Vuelta nell'83, che a dicembre dello stesso anno perì in un incidente stradale.
Molto più ricordata, sarà per l'importanza dei protagonisti, dello scenario, o per il ribaltone finale, la classifica finale del Tour del 1989: decisamente il finale di GT più al cardiopalma della storia. Greg Lemond batté Laurent Fignon nell'ultima tappa, una cronometro da Versailles ai Campi Elisi, dopo che per tutto il Tour i due se le erano date di santa ragione, scambiandosi la maglia già tre volte durante la corsa: un finale che più da film non si può, con la crono giudice supremo senza possibilità di replica. Lemond, che partiva con 50" di ritardo, vinse quella crono affibbiando 58" al povero Fignon in 24.5 chilometri, più di quanto fosse riuscito a rifilare nella prima crono individuale, la Dinard-Rennes di ben 73 chilometri; solo 8", in favore dell'americano, divisero alla fine i due, con Fignon che di fatto iniziò quel giorno il suo declino. Il secondo Tour più combattuto fu l'edizione 2007, quando furono solo 23" a separare Alberto Contador da Cadel Evans nella conquista del suo primo GT. Ma stiamo parlando di una situazione un po' diversa, in cui l'affaire Rasmussen smussò decisamente l'interesse per la corsa e per il duello.
Il record del Giro d'Italia è molto più antico e resiste da ben 65 anni, per la precisione dal 1948, quando Fiorenzo Magni riuscì ad imporsi su Ezio Cecchi per appena 11". Un record "falsato" da una decisione della giuria, che visti i risvolti che ebbe, sa davvero di decisione di comodo. La storia è questa: Fiorenzo Magni, assieme ad Ezio Cecchi ed altri atleti, conquistò 13' in una fuga bidone alla nona tappa, la Bari-Napoli. Sebbene il Leone delle Fiandre non fosse propriamente uno scalatore, per Gino Bartali e Fausto Coppi non era una cosa da poco recuperare quel distacco dal capitano della Wilier. Coppi si scatenò sulle Dolomiti, andando a vincere la tappa di Trento con 2'38" sul secondo classificato, mentre Magni andò in rosa, strappando la maglia a Cecchi. La Bianchi presentò ricorso alla giuria, sostenendo che Magni sulla salita del Pordoi aveva ricevuto spinte irregolari, e la giuria optò per una soluzione di comodo, assegnando 2' di penalità che comunque permettevano al pratese di rimanere in rosa. Per protesta, la Bianchi si ritirò, mentre Magni legittimò la sua vittoria finale vincendo in maglia rosa al Vigorelli, seppur contestato dal pubblico. Lo stesso Magni si ripeté nel 1953 e soprattutto nel 1955, quando battè proprio Coppi per appena 13". Stavolta però i due erano alleati e lo sconfitto fu un altro, l'astro nascente Gastone Nencini, attaccato sulla salita di San Pellegrino Terme alla penultima tappa da entrambi. Altre situazioni memorabili al Giro sono i 12" tra Merckx e Baronchelli nel 1974 e, tornando ai tempi recenti, i 16" tra Hesjedal e Joaquim Rodríguez con ribaltone, seppur telefonato, nell'ultima tappa del Giro 2012 durante la crono di Milano.
Tornando alla Vuelta, nella storia il "distacchino" più antico risale all'edizione del 1956, vinta da un corridore italiano dimenticato dalla storia, il torinese Angelo Conterno. Conterno riuscì di fatto in un record, quello di tenere la maglia dalla seconda tappa alla fine mantendo un vantaggio risicatissimo, di 13", su Jesus Loroño. Nel 1974, meglio di Merckx e Baronchelli fecero José Manuel Fuente e Joaquim Agostinho, autori di un duello quasi a sorpresa: Fuente arrivò a fine corsa con un vantaggio che sfiorava i quattro minuti, ma una caduta nella penultima tappa gli fece perdere quasi un minuto. L'ultima tappa era una crono di 35 km a San Sebastián. Agostinho sfoderò la prestazione della vita, rifilando 2'24" a Fuente: tuttavia, non fu sufficiente per conquistare quella Vuelta, vinta da "El Tarangu" per appena undici secondi. Spettacolare il ribaltone avvenuto l'anno dopo, nella stessa location, per mano di Augustin Tamares: l'atleta della Super Ser, terzo in classifica prima dell'ultima crono, beffò i due portacolori della KAS Domingo Perurena e Miguel Maria Lasa che gli erano davanti in classifica, e vinse la corsa con 14" su Perurena e 34" su Lasa. La vittoria del 1982 di Lejarreta per 18" su Pollentier è invece "virtuale", visto che il vincitore "sul campo" di quella Vuelta fu Angel Arroyo, poi però penalizzato di 10' per uso di Ritalin. Stesso dicasi per il successo del 2005 di Menchov su Sastre per 18", frutto della squalifica che di fatto sancì la fine della carriera di Roberto Heras (che si era imposto nella corsa).
E veniamo a due anni fa, quando Chris Froome e Juan José Cobo animarono le strade spagnole con un vivo quanto inatteso duello. Due veri e propri oggetti del mistero all'epoca: da una parte il kenyano che partiva come gregario di Bradley Wiggins ma che poi la strada nominò (troppo tardi) capitano, e che ad oggi è l'uomo da battere per le corse a tappe; dall'altra quel triste atleta spagnolo che solo una volta ogni 5 anni, possibilmente sotto la guida di Matxin Fernández dall'ammiraglia, si ricorda di essere un signore scalatore. Sull'Angliru Cobo distrugge i rivali e strappa la rossa a Wiggins, con Froome che insegue in classifica a 20". Lo stesso Chris inscena con l'iberico un feroce duello a Peña Cabarga, dal quale esce vincitore solo di tappa: con gli abbuoni riesce a far scendere il vantaggio di Cobo solo a 13", sufficienti a quest'ultimo per arrivare in rosso a Madrid.
Dunque, Nibali e Horner con gli appena 3" odierni che li separano, e con abbuoni da assegnare ristretti rispetto al passato, hanno tutte le carte in regola per strappare un nuovo record, sempre che uno dei due non riesca nettamente a prendere il largo sull'Alto de Naranco o a schiantare l'avversario sull'Angliru.