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Giro d'Italia 2013: Quanto amore per questo Giro! - Da Nibali alla folla, tre settimane memorabili per il nostro ciclismo | Cicloweb

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Giro d'Italia 2013: Quanto amore per questo Giro! - Da Nibali alla folla, tre settimane memorabili per il nostro ciclismo

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Per Vincenzo Nibali il momento della festa dopo il sospirato successo in rosa © Bettiniphoto

Lo comprenderemo appieno, il significato che questo Giro 2013 avrà avuto per il ciclismo italiano, tra qualche tempo, forse tra qualche anno. Trovandoci ora nel bel mezzo dei festeggiamenti per la sua conclusione, siamo forse influenzati per la gioia del successo di Vincenzo Nibali, a 3 anni dall'ultima nostra affermazione sul campo (Basso nel 2010, seguito da Contador e Hesjedal). Se quella di Ivan era stata la vittoria della maturità per un corridore che aveva già ottenuto grandi affermazioni in carriera, questo di Vincenzo è un Giro che sa di nuovo capitolo, di nuova partenza - oseremmo sperare.

Lo speriamo basandoci su un dato in particolare: la grande affluenza di pubblico sulle strade attraversate dalla corsa rosa. Ancora oggi a Brescia la risposta è stata esaltante, Piazza della Loggia piena all'inverosimile di appassionati, tifosi, semplici curiosi che però hanno sentito il richiamo del grande evento. Sembra che il Giro abbia riguadagnato in queste settimane lo status di elemento socioculturale del paese, prima ancora che appuntamento sportivo.

Sicuramente l'interesse intorno all'edizione 2013 è nato presto, con la presenza di Bradley Wiggins nei panni di favorito, e di Vincenzo Nibali in quelli di sfidante con ottime probabilità di ribaltare i pronostici della vigilia (che propendevano per l'inglese). E questo interesse è andato rafforzandosi di giorno in giorno, con la battaglia d'alto livello sin dalle prime tappe, con la ribalta di diversi corridori italiani, con le crescenti difficoltà dello stesso Wiggins, con la grande incertezza che è regnata anche in frazioni tutto sommato interlocutorie.

Un percorso disegnato in maniera molto intelligente (ridotte al minimo le tappe scontate), una lotta tra i protagonisti che è stata quindi distillata non solo in poche giornate campali, ma in episodi di guerriglia quasi quotidiani nella prima metà gara; e un italiano di grandi prospettive (malgrado sia allo stesso tempo già molto esperto) vestito di rosa nella seconda parte di Giro. Questo dal punto di vista sportivo.

Ma c'è dell'altro, se vogliamo capire come mai, malgrado il maltempo che ha pesantemente influenzato lo svolgimento della gara, tanta gente si è riversata nelle strade al passaggio del Giro. In maniera forse spericolata enumeriamo: fronte doping: saremo forse degli illusi, ma ci piace pensare che molti appassionati tra quelli che formavano lo zoccolo duro qualche anno fa, si siano riavvicinati anche perché si è riusciti finalmente a contestualizzare meglio lo stato delle cose nel ciclismo e negli altri sport. Magari anche grazie alle notizie rimbalzate dalla Spagna e relative al processo di Operación Puerto, all'incredibile impossibilità di giungere a una completa chiarezza su nomi e discipline coinvolte nelle pratiche illecite del dottor Fuentes, col solo ciclismo lasciato da anni sulla gogna per quella vicenda.

Ci sta che vecchi suiveur abbiano riallacciato i rapporti col ciclismo capendo che non siamo noi ad essere più sporchi, ma sono gli altri ad essere più protetti. Una sorta di senso di appartenenza rinato non perché non ci siano più scandali doping (anche qualcuno degli atleti presenti - e molto applauditi - al Giro ha avuto le sue rogne, pure recentemente), ma proprio perché, per differenza rispetto ad altri sport, è come risorto un certo orgoglio nei confronti del ciclismo. Anche il caso Di Luca, che in altri tempi avrebbe tenuto a casa molti tifosi, non ha di fatto avuto ripercussioni negative sul numero di persone presenti oggi in piazza (anche perché presto offuscato dall'impresa di Nibali alle Tre Cime ieri, va detto).

Un altro elemento da prendere in esame è la crescita di cicloamatori, di persone che vanno in bici, che hanno scoperto i benefici della pratica di questo sport. È risaputo che non sempre chi pedala in proprio segue le vicende del professionismo, ma una pur minima corrispondenza c'è, e al crescere del numero dei ciclisti, ci sarà una crescita percentuale del numero di appassionati di questo sport.

Ancora: il fatto che un meridionale come Nibali abbia giocato un ruolo così importante in questo Giro ha senz'altro riscosso l'attenzione e l'interesse di un pubblico di regioni (quelle del sud, appunto) che in altri momenti si sarebbero sentite meno coinvolte dal Giro. Le immagini dello Squalo vincente nella neve delle Tre Cime, poi, hanno scatenato reazioni emotive forti, come sempre succede quando la gente riconosce l'impresa umana in situazioni difficili, critiche. Vedere un fuscello di ciclista domare la tormenta tra le montagne è qualcosa che colpisce l'immaginario non solo di chi ama e segue il ciclismo, ma di tutti, in maniera indistinta; e la foto di Nibali irriconoscibile tra i fiocchi di neve mentre taglia il traguardo dolomitico è senza ombra di dubbio l'immagine simbolo di questo Giro 2013.

Infine, una nota sociopolitica: può essere che in tempi di crisi il cittadino medio (e in difficoltà maggiori rispetto a qualche anno fa) faccia fatica a riconoscersi nei miliardari assi del pallone, sentendosi invece maggiormente rappresentato da questi oscuri faticatori malpagati frustrati repressi, spesso in passato insultati, i quali, per dar spettacolo di sé e della propria attività, non chiedono nemmeno che si paghi il costo di un biglietto? In fondo, a ben pensarci, c'è quasi sempre stata una correlazione tra situazione del paese e popolarità del ciclismo, col picco massimo raggiunto quando avevamo campioni che incarnavano il senso del riscatto postbellico della nazione; quando la condizione media italiana è migliorata a livello socioeconomico, il ciclismo ha perso terreno rispetto a sport più "borghesi" (l'eccezione è data dalla straordinaria parentesi pantaniana, ma lì parliamo di un campione che trascendeva i limiti stessi del suo sport).

Un ciclismo pronto a tornare realmente sport di massa (quanto spazio in più rispetto alle scorse edizioni ha avuto il Giro sui media generalisti?) avrà bisogno di nuove leve che possano raccogliere tra qualche anno il testimone da Nibali, ormai da tempo indiscusso numero uno di questo sport nel nostro paese. Senza aspettare quei ragazzi che, sull'onda dell'eccitazione per il successo di Vincenzo, magari proveranno a diventare ciclisti, possiamo guardare al futuro prossimo con una fiducia che pedala sulle ruote di Aru, Battaglin, Rosa, Viviani, Puccio, insomma dei tanti giovani che per un motivo o per l'altro si sono messi in luce nel corso delle tre settimane appena trascorse, presentandosi così al grande pubblico che ha potuto così familiarizzare con alcuni dei nomi da cercare nelle cronache ciclistiche che verranno.

Quanto al Giro in sé, visto da fuori scoppia di salute, dato che si dimostra in grado di superare di slancio problemi logistici (il maltempo, le tappe modificate in corsa, quella completamente annullata della Val Martello) e di altro genere (la vicenda Di Luca). Certo, andrà usata maggiore accortezza in sede di disegno del Giro, evitando ad esempio di accumulare montagne a rischio neve in tappe che offrano poche alternative valide a quote più basse (è il caso della frazione del Galibier, ad esempio, con Moncenisio e salita d'arrivo che erano difficilmente sostituibili data la conformazione orografica delle zone interessate).

Soprattutto, RCS Sport dovrà fare i conti coi problemi interni di RCS, società che attraversa una grave crisi e che speriamo non voglia tagliare su uno dei suoi asset migliori, anche dal punto di vista del ritorno economico (quello relativo all'organizzazione di eventi ciclistici, appunto). Una doppia sfida per Michele Acquarone e il suo staff: i buoni risultati messi in campo sul fronte esterno e internazionale (il Giro è stato molto seguito all'estero, ad esempio) dovranno essere replicati da successi che il direttore generale del Giro dovrà perseguire sul fronte interno, al cospetto di azionisti e amministratori dell'azienda.

Dal punto di vista tecnico, la corsa a un certo punto ha preso un indirizzo chiaro con Nibali nelle vesti del dominatore, e si è conclusa con la maglia rosa che ha continuato non solo ad amministrare il vantaggio sui rivali, ma a guadagnare terreno quasi ogni giorno. È stato il Giro delle due vittorie di Nibali e delle cinque di Cavendish, del Visconti ritrovato (due successi parziali per lui, in un trionfo di Sicilia) e del Paolini consacrato (vittoria di tappa, maglia rosa), della Sky dalle mille risorse (ritirato Wiggins, ha piazzato Urán sul podio oltre che vincente in una tappa) e dei tanti protagonisti che hanno un po' deluso, per motivi diversi (oltre a Wiggo, come non citare i ritiri di Hesjedal, vincitore un anno fa, o di Gesink, oppure le prestazioni variamente insufficienti di Sánchez, Henao, dei francesi in generale, per non parlare dei vari Pozzato, Bennati, Rabottini, Goss, Cobo?).

Il Giro della lotta accesa per le varie maglie, quella rossa conquistata con merito da Cavendish su Nibali ed Evans, quella azzurra tenacemente inseguita e fatta propria da Pirazzi, quella bianca oggetto di una sfida all'ultimo chilometro tra Betancúr e Majka. Il Giro di Gianni Savio che non vince mai ma mette insieme - coi suoi Androni - il record di chilometri in fuga, il Giro di Roberto Reverberi che polemizza con gli sceriffi del gruppo (per via della corsa neutralizzata sul Moncenisio, domenica scorsa) e poi per far pace offre la pizza a tutte le ammiraglie, il Giro di Luca Scinto che accarezza a lungo sogni di podio con Santambrogio (ottimo per due terzi di gara, in calo nel finale) e il Giro di Beppe Martinelli che vede per la quinta volta vestire di rosa un suo corridore (e la prima, nel 1998, fu con un certo Marco Pantani!).

Il Giro dei vecchietti, di Garzelli che saluta la compagnia dopo 17 anni di professionismo, e di Scarponi che raccoglie intorno a sé e alla propria simpatia ancora tanti tifosi, di Evans che va sul podio un'altra volta a 36 anni, e di Pellizotti che fa la sua degnissima figura in maglia tricolore chiudendo appena fuori dalla top ten finale. Il Giro dei polacchi (due nei quartieri alti della classifica, Niemiec e Majka) e il Giro soprattutto dei colombiani: ce n'erano tre dietro a Nibali alle Tre Cime (Duarte, Urán, Betancúr), due di loro li ritroviamo tra i primi cinque della generale (Urán e Betancúr), altri due (Henao e Atapuma) sono nella top 20, di sicuro la più fragorosa esplosione di talenti degli ultimi anni (insieme a quella francese, invisibile però sulle nostre strade).

Un Giro da promuovere, insomma, un Giro da rilanciare ancora perché può essere ancora più bello di così, non c'è dubbio: con un po' di pioggia e freddo in meno, con tanta battaglia non solo nelle tappe di media montagna ma anche sulle vette più alte (quelle che purtroppo - e per assurdo - negli ultimi anni tendono a sterilizzare un po' la corsa), con una partecipazione che deve continuare ad essere di altissimo livello, con la presenza ai nastri di partenza di almeno un paio di top rider da GT (stavolta avevamo Nibali e Wiggins, l'anno prossimo magari bisognerà fare in modo di avere Froome e Contador, questo è un fronte su cui va tenuta alta l'asticella). L'impressione, magari distorta dall'amore che da sempre proviamo per il nostro Giro, è che le distanze col Tour si stiano riducendo. Procedere su questo percorso, valorizzando al massimo le risorse del nostro paese (anche e soprattutto dal punto di vista paesaggistico), è un imperativo a cui non si potrà derogare.

Marco Grassi

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